Convocato nell’ottobre del 1962 da papa Giovanni XXIII, il Vaticano II portava a compimento un rinnovamento teologico che modificava anche la liturgia volta a favorire la partecipazione attiva dei fedeli alla celebrazione dei Sacramenti. Superando l’antica tradizione che vedeva il sacerdote officiare di spalle all’aula, recitando a voce bassa e in latino, il Sacrosanctum Concilium del 1963 prevedeva la riconfigurazione degli spazi liturgici dove l’altare, la custodia eucaristica, l’ambone, il coro, la sede del celebrante, la cappella feriale, la penitenzieria e tutti gli arredi e le suppellettili sacre dovevano essere in diretta comunicazione con l’adunanza dei credenti. Alle gerarchie ecclesiastiche non sfuggì la difficoltà delle trasformazioni degli assetti preesistenti, ancora strutturati, a meno delle chiese di recente costruzione, sulle indicazioni del concilio di Trento (1545-1563). E se la sistemazione degli altari, dei cori, degli amboni e di tutti gli altri elementi centrali nella celebrazione eucaristica poteva apparire di più agile realizzazione per gli edifici sacri costruiti ex novo, ben altra questione era la riscrittura della figurazione architettonica e simbolica degli spazi celebrativi delle chiese storiche, in larga parte preziosi e complessi palinsesti di arte, architettura e spiritualità: un’azione complicata, chiamata a contemperare le innovazioni introdotte dal Vaticano II con il rispetto dei beni culturali. Si trattava quindi di definire criteri, elaborare pratiche operative e formulare ipotesi, costruendo un modus operandi e immaginando nuove connessioni tra architettura e liturgia.
Adeguare la Storia: le cattedrali campane e il Sacrosanctum Concilium (1963) / Di Liello, Salvatore. - (2022), pp. 203-212.
Adeguare la Storia: le cattedrali campane e il Sacrosanctum Concilium (1963)
Di Liello, Salvatore
2022
Abstract
Convocato nell’ottobre del 1962 da papa Giovanni XXIII, il Vaticano II portava a compimento un rinnovamento teologico che modificava anche la liturgia volta a favorire la partecipazione attiva dei fedeli alla celebrazione dei Sacramenti. Superando l’antica tradizione che vedeva il sacerdote officiare di spalle all’aula, recitando a voce bassa e in latino, il Sacrosanctum Concilium del 1963 prevedeva la riconfigurazione degli spazi liturgici dove l’altare, la custodia eucaristica, l’ambone, il coro, la sede del celebrante, la cappella feriale, la penitenzieria e tutti gli arredi e le suppellettili sacre dovevano essere in diretta comunicazione con l’adunanza dei credenti. Alle gerarchie ecclesiastiche non sfuggì la difficoltà delle trasformazioni degli assetti preesistenti, ancora strutturati, a meno delle chiese di recente costruzione, sulle indicazioni del concilio di Trento (1545-1563). E se la sistemazione degli altari, dei cori, degli amboni e di tutti gli altri elementi centrali nella celebrazione eucaristica poteva apparire di più agile realizzazione per gli edifici sacri costruiti ex novo, ben altra questione era la riscrittura della figurazione architettonica e simbolica degli spazi celebrativi delle chiese storiche, in larga parte preziosi e complessi palinsesti di arte, architettura e spiritualità: un’azione complicata, chiamata a contemperare le innovazioni introdotte dal Vaticano II con il rispetto dei beni culturali. Si trattava quindi di definire criteri, elaborare pratiche operative e formulare ipotesi, costruendo un modus operandi e immaginando nuove connessioni tra architettura e liturgia.File | Dimensione | Formato | |
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