Nelle pagine che seguono cerco un approccio al koan che lo ricontestualizzi. Senza pretese di completezza, muovo da un’antica testimonianza che mi consente di inquadrare uno snodo fondamentale nella storia del Buddhismo Chan; passo poi al koan come testo letterario e, infine, al koan come esperienza vissuta. Come sappiamo, i koan sono “casi pubblici” ovvero - in senso meno tecnico - paradossi che non ammettono risposta puramente intellettiva; ma non sono affatto insensati. Essi svolgono una funzione che può essere descritta in termini del tutto razionali: la loro paradossalità serve proprio a mettere sotto scacco la logica dell’intelletto finito e a schiudere la possibilità di una nuova e più comprensiva esperienza dell’essere, nel solco dell’insegnamento Chan. Il Buddha stesso avrebbe detto che sono upāya, ossia mezzi, espedienti, accorgimenti attraverso cui i maestri aiutano “il discepolo a disfarsi di schemi concettuali e di condizionamenti sentimentali che gli impediscono di conoscere direttamente i caratteri di sofferenza (dukkha; giapp.: ku), di insostanzialità (anattā; giapp.: muga) e di impermanenza (anicca; giapp.: mujō) che qualificano la propria vita e la realtà tutta.” In questo senso dico che i koan sono porte affacciate sul vuoto, e chi le attraversa vede la stessa natura insondabile della vita.
Porte sul Vuoto. Un approccio filosofico ai Koan Zen / Giammusso, Salvatore. - (2021), pp. 15-38.
Porte sul Vuoto. Un approccio filosofico ai Koan Zen
Salvatore Giammusso
2021
Abstract
Nelle pagine che seguono cerco un approccio al koan che lo ricontestualizzi. Senza pretese di completezza, muovo da un’antica testimonianza che mi consente di inquadrare uno snodo fondamentale nella storia del Buddhismo Chan; passo poi al koan come testo letterario e, infine, al koan come esperienza vissuta. Come sappiamo, i koan sono “casi pubblici” ovvero - in senso meno tecnico - paradossi che non ammettono risposta puramente intellettiva; ma non sono affatto insensati. Essi svolgono una funzione che può essere descritta in termini del tutto razionali: la loro paradossalità serve proprio a mettere sotto scacco la logica dell’intelletto finito e a schiudere la possibilità di una nuova e più comprensiva esperienza dell’essere, nel solco dell’insegnamento Chan. Il Buddha stesso avrebbe detto che sono upāya, ossia mezzi, espedienti, accorgimenti attraverso cui i maestri aiutano “il discepolo a disfarsi di schemi concettuali e di condizionamenti sentimentali che gli impediscono di conoscere direttamente i caratteri di sofferenza (dukkha; giapp.: ku), di insostanzialità (anattā; giapp.: muga) e di impermanenza (anicca; giapp.: mujō) che qualificano la propria vita e la realtà tutta.” In questo senso dico che i koan sono porte affacciate sul vuoto, e chi le attraversa vede la stessa natura insondabile della vita.File | Dimensione | Formato | |
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