Il saggio pubblicato in questo volume approfondisce uno degli aspetti più originali della ricerca sull’architettura del carcere che l’autrice porta avanti da diversi anni, con uno sguardo all'edificio carcere, un edificio pubblico forse l'unico edificio pubblico abitato in cui si entra in buona salute e consapevolmente, in cui lo Stato – in taluni casi anche per tutta la vita che rimane da vivere – ti mantiene, ti nutre, ti cura. Per capire fino in fondo di cosa si parla quando si parla di carcere e per introdurre questa forma peculiare di “abitare” si rilegge il senso di questa parola, la cui radice etimologica è la stessa di avere (habitare, habere), abitare come massima espressione di possesso di uno spazio, che diviene «espressione del sé dell’abitante, manifestazione del suo essere nell’hic et nunc del proprio vissuto» ; questa interpretazione, che risponde peraltro al superamento di una idea novecentesca del luogo dell'abitare, dell'abitazione, come massima espressione del benessere, pone al centro di tutto l'abitante, colui che si appropria di questo spazio, con il suo corpo, i suoi movimenti, i suoi tempi, il suo sistema di relazioni con il luogo e con gli altri. Il progetto del carcere si misura con le condizioni e i principi generali, in relazione al tipo di detenuti da ospitare, agli ordinamenti, alle richieste complessive; l'impianto, elemento centrale nella maggior parte delle nuove realizzazioni, quale matrice progettuale; l'architettura è vista come chiave di lettura e campo di sperimentazione di nuove istanze sociali e civili.
L'edificio pubblico abitato: il carcere / Santangelo, MARIA ROSARIA. - (2018), pp. 69-78.
L'edificio pubblico abitato: il carcere
Maria Rosaria Santangelo
2018
Abstract
Il saggio pubblicato in questo volume approfondisce uno degli aspetti più originali della ricerca sull’architettura del carcere che l’autrice porta avanti da diversi anni, con uno sguardo all'edificio carcere, un edificio pubblico forse l'unico edificio pubblico abitato in cui si entra in buona salute e consapevolmente, in cui lo Stato – in taluni casi anche per tutta la vita che rimane da vivere – ti mantiene, ti nutre, ti cura. Per capire fino in fondo di cosa si parla quando si parla di carcere e per introdurre questa forma peculiare di “abitare” si rilegge il senso di questa parola, la cui radice etimologica è la stessa di avere (habitare, habere), abitare come massima espressione di possesso di uno spazio, che diviene «espressione del sé dell’abitante, manifestazione del suo essere nell’hic et nunc del proprio vissuto» ; questa interpretazione, che risponde peraltro al superamento di una idea novecentesca del luogo dell'abitare, dell'abitazione, come massima espressione del benessere, pone al centro di tutto l'abitante, colui che si appropria di questo spazio, con il suo corpo, i suoi movimenti, i suoi tempi, il suo sistema di relazioni con il luogo e con gli altri. Il progetto del carcere si misura con le condizioni e i principi generali, in relazione al tipo di detenuti da ospitare, agli ordinamenti, alle richieste complessive; l'impianto, elemento centrale nella maggior parte delle nuove realizzazioni, quale matrice progettuale; l'architettura è vista come chiave di lettura e campo di sperimentazione di nuove istanze sociali e civili.File | Dimensione | Formato | |
---|---|---|---|
patrimoni_inattesi_SANTANGELO.pdf
accesso aperto
Descrizione: Articolo
Tipologia:
Documento in Post-print
Licenza:
Dominio pubblico
Dimensione
656.58 kB
Formato
Adobe PDF
|
656.58 kB | Adobe PDF | Visualizza/Apri |
I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.