«Métaponte est un désert et on y arrive par le désert». Ancora nel 1879, per l’archeologo François Lenormant, il luogo dove un tempo i Sibariti fondarono una fiorente colonia greca era una terra incognita, lontana in una remota marginalità di miseria e abbandono. A ricordare l’opulenta città achea e il suo rigoglioso territorio erano solo le Tavole dei Paladini, quelle quindici colonne doriche laconiche custodi di un fiabesco immaginario medievale, poi accertato dall’archeologia contemporanea che vi riconoscerà un Heraion extraurbano. La scoperta scientifica dell’antico sito nella cultura europea risale al primo sistematico scavo archeologico del duca di Luynes (1828) autore di Métaponte, un volume comparso a Parigi nel 1833 e illustrato dai disegni dell’architetto Joseph-Frédéric Debacq che l’aveva affiancato nella difficile impresa, interrotta dall’improvviso allagamento delle trincee. Il ritrovamento di alcune sime leonine in terraccotta colorata, tra le rovine di uno sconosciuto tempio allora ancora detto Chiesa di Sansone, fu tempestivamente registrato nelle prime teorie sulla policromia dell’architettura antica. Presentati all’Académie des beaux-arts già nel 1829, presto gli studi del Luynes fermentarono in nuove ricerche curate da architetti e archeologi italiani e stranieri, da Sante Simone a Michele Lacava o negli studi metrologici di Auguste Aurés, come anche nelle ‘divinazioni’ di Charles Normand (1891) e fino a Robert Koldewey e Otto Puchstein che, sul volgere dell’Ottocento, inserivano l’archeologia di Metaponto nel più ampio studio dei templi della Magna Grecia. Aggiornate ricerche in dissonante contrasto con un immutato isolamento, un distante altrove in cui, nondimeno, trova spazio la liturgia del viaggio romantico dove l’indomabile Natura continuava a prevalere sull’uomo e su ogni sua azione, come ebbe a scrivere George Gissing nel suo By the Ionian Sea (1901): «E tuttavia (…) davanti a simili resti della gloria passata degli uomini, si è posseduti da una desolazione immemoriale. (…) Sommersa in un silenzio che voce umana non ha più il potere di rompere, tra questi resti del passato la vitalità eterna della natura trionfa ormai indifferente sulla grandezza di uomini che il tempo ha dimenticato».

Mataponto e l'Europa tra Settecento e Ottocento. L'architettura antica nella terra incognita / DI LIELLO, Salvatore. - si:(2023), pp. 1-168.

Mataponto e l'Europa tra Settecento e Ottocento. L'architettura antica nella terra incognita.

Salvatore Di Liello
2023

Abstract

«Métaponte est un désert et on y arrive par le désert». Ancora nel 1879, per l’archeologo François Lenormant, il luogo dove un tempo i Sibariti fondarono una fiorente colonia greca era una terra incognita, lontana in una remota marginalità di miseria e abbandono. A ricordare l’opulenta città achea e il suo rigoglioso territorio erano solo le Tavole dei Paladini, quelle quindici colonne doriche laconiche custodi di un fiabesco immaginario medievale, poi accertato dall’archeologia contemporanea che vi riconoscerà un Heraion extraurbano. La scoperta scientifica dell’antico sito nella cultura europea risale al primo sistematico scavo archeologico del duca di Luynes (1828) autore di Métaponte, un volume comparso a Parigi nel 1833 e illustrato dai disegni dell’architetto Joseph-Frédéric Debacq che l’aveva affiancato nella difficile impresa, interrotta dall’improvviso allagamento delle trincee. Il ritrovamento di alcune sime leonine in terraccotta colorata, tra le rovine di uno sconosciuto tempio allora ancora detto Chiesa di Sansone, fu tempestivamente registrato nelle prime teorie sulla policromia dell’architettura antica. Presentati all’Académie des beaux-arts già nel 1829, presto gli studi del Luynes fermentarono in nuove ricerche curate da architetti e archeologi italiani e stranieri, da Sante Simone a Michele Lacava o negli studi metrologici di Auguste Aurés, come anche nelle ‘divinazioni’ di Charles Normand (1891) e fino a Robert Koldewey e Otto Puchstein che, sul volgere dell’Ottocento, inserivano l’archeologia di Metaponto nel più ampio studio dei templi della Magna Grecia. Aggiornate ricerche in dissonante contrasto con un immutato isolamento, un distante altrove in cui, nondimeno, trova spazio la liturgia del viaggio romantico dove l’indomabile Natura continuava a prevalere sull’uomo e su ogni sua azione, come ebbe a scrivere George Gissing nel suo By the Ionian Sea (1901): «E tuttavia (…) davanti a simili resti della gloria passata degli uomini, si è posseduti da una desolazione immemoriale. (…) Sommersa in un silenzio che voce umana non ha più il potere di rompere, tra questi resti del passato la vitalità eterna della natura trionfa ormai indifferente sulla grandezza di uomini che il tempo ha dimenticato».
2023
9788891327956
Mataponto e l'Europa tra Settecento e Ottocento. L'architettura antica nella terra incognita / DI LIELLO, Salvatore. - si:(2023), pp. 1-168.
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/11588/940584
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