A partire dai decenni successivi le due guerre le nuove generazioni, riscoprendo tanto il valore quanto il fardello della memoria, si sono a lungo interrogate su quali fossero i metodi più corretti per rievocare gli anni bui del totalitarismo e delle persecuzioni. Un particolare ruolo all’interno di questi esperimenti di testimonianza indiretta lo ricoprono le seconde e terze generazioni di sopravvissuti all’Olocausto che hanno costituito un vero e proprio filone letterario nell’ambito del Trauma Novel (Luckhurst, 2008) a cavallo tra il XX e il XXI secolo. Ciò che accomuna le voci che si cimentano con tale difficilissimo processo di narrativizzazione dell’esperienza traumatica è il desiderio di elaborare un trauma storico ereditato, attraverso un linguaggio che possa parlare alla contemporaneità della propria appartenenza familiare e culturale, segnata da profonde ferite mai del tutto rimarginate. I racconti post-traumatici, soprattutto se condivisi nella prima fase della crescita, finiscono spesso per diventare, infatti, tracce familiari difficilmente integrabili (Abraham e Torok, 1993). Non stupisce che le narrazioni che nascono da tale processo di narrativizzazione del trauma assumano quindi spesso le sembianze della fiaba, in parte come racconto situato in un altrove spazio temporale, in parte come mito fondante del metodo conoscitivo (Bettelheim, 1991). Nel mondo codificato e riconoscibile della fiaba diventa più facile ragionare sull’appartenenza e sulla memoria, poiché le metafore che la caratterizzano si prestano anche al racconto delle cose più atroci attraverso un approccio narrativo simbolico (Hunter, 2013). Decodificare tali foreste di simboli richiede però una costante analisi metanarrativa che non può mai prescindere dal contesto storico in cui queste narrazioni nascono e da un’analisi del pubblico a cui si rivolgono. In tale direzione che si stanno sviluppando sempre più gli studi critici che si muovono a cavallo tra psicanalisi e storytelling (Calabrese, 2009): perdersi nei boschi incantati delle fiabe post-traumatiche non è infatti difficile visto che quello memoriale è un linguaggio già di per sé molto frammentario, che genera identità ed eredità complesse, divise tra il proprio presente e il passato altrui (LaCapra, 2001). L’articolo si propone di applicare tali strumenti critici all’analisi, in ambito prevalentemente anglofono, delle voci femminili della letteratura contemporanea che stanno attraversando i tortuosi territori della memoria grazie alla riconversione in racconto fiabesco (da Judy Budnitz a Nicole Krauss, da Jane Yolen a Esther Safran Foer). Lo scopo di tale indagine è riuscire a individuare come nei romanzi di pugno femminile il mondo metaforico da una parte fornisca un escamotage per il racconto storico e la sua analisi, dall’altra trasformi la voce di ogni autrice in quella di una Sherazade contemporanea nell’atto non solo di riscoprire il valore salvifico delle storie, ma anche il terrore di rimanervi intrappolate.

"Uscire dal bosco incantato: il linguaggio della fiaba nel racconto del trauma" / Natale, Aureliana. - II:(2023), pp. 1179-1190.

"Uscire dal bosco incantato: il linguaggio della fiaba nel racconto del trauma"

Aureliana Natale
2023

Abstract

A partire dai decenni successivi le due guerre le nuove generazioni, riscoprendo tanto il valore quanto il fardello della memoria, si sono a lungo interrogate su quali fossero i metodi più corretti per rievocare gli anni bui del totalitarismo e delle persecuzioni. Un particolare ruolo all’interno di questi esperimenti di testimonianza indiretta lo ricoprono le seconde e terze generazioni di sopravvissuti all’Olocausto che hanno costituito un vero e proprio filone letterario nell’ambito del Trauma Novel (Luckhurst, 2008) a cavallo tra il XX e il XXI secolo. Ciò che accomuna le voci che si cimentano con tale difficilissimo processo di narrativizzazione dell’esperienza traumatica è il desiderio di elaborare un trauma storico ereditato, attraverso un linguaggio che possa parlare alla contemporaneità della propria appartenenza familiare e culturale, segnata da profonde ferite mai del tutto rimarginate. I racconti post-traumatici, soprattutto se condivisi nella prima fase della crescita, finiscono spesso per diventare, infatti, tracce familiari difficilmente integrabili (Abraham e Torok, 1993). Non stupisce che le narrazioni che nascono da tale processo di narrativizzazione del trauma assumano quindi spesso le sembianze della fiaba, in parte come racconto situato in un altrove spazio temporale, in parte come mito fondante del metodo conoscitivo (Bettelheim, 1991). Nel mondo codificato e riconoscibile della fiaba diventa più facile ragionare sull’appartenenza e sulla memoria, poiché le metafore che la caratterizzano si prestano anche al racconto delle cose più atroci attraverso un approccio narrativo simbolico (Hunter, 2013). Decodificare tali foreste di simboli richiede però una costante analisi metanarrativa che non può mai prescindere dal contesto storico in cui queste narrazioni nascono e da un’analisi del pubblico a cui si rivolgono. In tale direzione che si stanno sviluppando sempre più gli studi critici che si muovono a cavallo tra psicanalisi e storytelling (Calabrese, 2009): perdersi nei boschi incantati delle fiabe post-traumatiche non è infatti difficile visto che quello memoriale è un linguaggio già di per sé molto frammentario, che genera identità ed eredità complesse, divise tra il proprio presente e il passato altrui (LaCapra, 2001). L’articolo si propone di applicare tali strumenti critici all’analisi, in ambito prevalentemente anglofono, delle voci femminili della letteratura contemporanea che stanno attraversando i tortuosi territori della memoria grazie alla riconversione in racconto fiabesco (da Judy Budnitz a Nicole Krauss, da Jane Yolen a Esther Safran Foer). Lo scopo di tale indagine è riuscire a individuare come nei romanzi di pugno femminile il mondo metaforico da una parte fornisca un escamotage per il racconto storico e la sua analisi, dall’altra trasformi la voce di ogni autrice in quella di una Sherazade contemporanea nell’atto non solo di riscoprire il valore salvifico delle storie, ma anche il terrore di rimanervi intrappolate.
2023
9791259766373
"Uscire dal bosco incantato: il linguaggio della fiaba nel racconto del trauma" / Natale, Aureliana. - II:(2023), pp. 1179-1190.
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2023, ''USCIRE DAL BOSCO INCANTATO IL LINGUAGGIO DELLA FIABA NEL RACCONTO DEL TRAUMA'' (Editoriale Scientifica, ISBN 9791259766373, pp. 1179-1190) .pdf

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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/11588/936587
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