La melanconia rappresenta un topos letterario che attraversa trasversalmente la storia della letteratura e del pensiero. Aristotele nel Problema XXX ne parla per la prima volta come cifra del genio, unificando la nozione medica di melanconia, termine che nell'antichità includeva tutte le forme di alterazione mentale, e il concetto platonico del furor. Furor inteso sia come estasi che innalza lo spirito del filosofo, infiamma l'artista nel momento massimo della creazione, l'amante quando si sublima grazie all'oggetto amato, sia come degenerazione della stessa forza vitale che si trasforma in crudeltà e tirannia. Come si legge dal De Repubblica: “...uno diventa tiranno quando si abbandoni o per natura o per consuetudine di vita o per l'una e l'altra, insieme all'ebbrezza, all'amore, alla melanconia”. Marsilio Ficino, esponente del neo-platonismo alla corte medicea, riprende la concezione aristotelica nei suoi scritti in Il malinconico di genio :“Aristotele conferma la cosa nel libro dei Problemi: sostiene, infatti, che tutti gli uomini che si sono distinti per qualche capacità sono melanconici[…] Anche Democrito dice che non ci possono essere uomini d'ingegno grande, tranne quelli che sono scossi da una specie di follia”. Altra teoria alla quale si rifà Ficino è quella dei cosiddetti 'quattro umori', teoria che giustifica sul piano fisiologico la trasmutazione dell'energia creativa in follia o in depressione a causa di un eccesso di bile nera (la mélaina cholé, da cui nasce il termine melanconia). La fortuna di questa teoria e la figura di Democrito tornano nel momento di copiosa teorizzazione malinconica, tra la fine del XVI e l’inizio del XVII secolo, dal teatro alla letteratura, alle arti figurative con Robert Burton che nel 1621, sotto le pseudomimo di Democritus Junior, scrive il celebre trattato dal titolo The Anatomy of Melancholy. Proprio grazie all’idea di un sentire che possa essere anatomizzato dall’età elisabettiana in poi il termine malinconia non rimane circoscritto alla conditio humana, ma viene impiegato per diversi aspetti della natura. Lo sviluppo di questa tendenza, che identifica la melanconia come un manto che si posa su ogni essere vivente, si può ritrovare anche in molti dei secoli successivi. Basti pensare all’interpretazione kantiana nelle sue Osservazioni sul sentimento del bello e del sublime, o alle parole del filosofo tedesco Schelling, che, sottolineando il carattere pervasivo di questo complesso stato d'animo, scrive:“...di qui il velo della melanconia disteso sull’intera Natura, la profonda irremovibile melanconia di ogni vita”. Sarà poi questa concezione a influenzare poeti e pensatori pre-modernisti e modernisti. Baudelaire con la figura dell'ennui è certamente tra coloro i quali contribuiscono a modificare la concezione di questo umore che si tramuta in status sublime e depressivo. Gli studi che il filosofo Walter Benjamin e il critico letterario Jean Starobinski fanno su Baudelaire sottolineano come il poeta apra già a una prospettiva malinconica tutta novecentesca segnata dalla perdita traumatica e alla ricerca di un altrove spazio-temporale che sembra irraggiungibile. Sigmund Freud, poi, con il saggio Lutto e Melanconia lega indissolubilmente lo stato melanconico alla depressione, definendo la melanconia diretta conseguenza di un lutto non elaborato. Questi solo alcuni tra gli importanti rappresentati della cultura europea a cui questo topos è stato caro e grazie ai quali ha assunto sfumature di significato diverse, arricchendosi nei secoli, che ne hanno fatto e ne fanno ancora oggi un soggetto così rappresentativo e rappresentato. Il testo di Robert Burton farà da perno attorno cui le atre riflessioni verranno affrontate diacronicamente per rintracciare come il tema della melanconia abbia conquistato e preservato la sua fortuna a partire dalle opere di scrittori e i pensatori più canonici, fino alle riproposizioni contemporanee di artisti come William Kentridge o Anselm Kiefer.

Anatomie della malinconia: dal trattato di Democrito a quello di Democritus Junior e oltre / Natale, Aureliana. - (2016), pp. 101-115.

Anatomie della malinconia: dal trattato di Democrito a quello di Democritus Junior e oltre

Aureliana Natale
2016

Abstract

La melanconia rappresenta un topos letterario che attraversa trasversalmente la storia della letteratura e del pensiero. Aristotele nel Problema XXX ne parla per la prima volta come cifra del genio, unificando la nozione medica di melanconia, termine che nell'antichità includeva tutte le forme di alterazione mentale, e il concetto platonico del furor. Furor inteso sia come estasi che innalza lo spirito del filosofo, infiamma l'artista nel momento massimo della creazione, l'amante quando si sublima grazie all'oggetto amato, sia come degenerazione della stessa forza vitale che si trasforma in crudeltà e tirannia. Come si legge dal De Repubblica: “...uno diventa tiranno quando si abbandoni o per natura o per consuetudine di vita o per l'una e l'altra, insieme all'ebbrezza, all'amore, alla melanconia”. Marsilio Ficino, esponente del neo-platonismo alla corte medicea, riprende la concezione aristotelica nei suoi scritti in Il malinconico di genio :“Aristotele conferma la cosa nel libro dei Problemi: sostiene, infatti, che tutti gli uomini che si sono distinti per qualche capacità sono melanconici[…] Anche Democrito dice che non ci possono essere uomini d'ingegno grande, tranne quelli che sono scossi da una specie di follia”. Altra teoria alla quale si rifà Ficino è quella dei cosiddetti 'quattro umori', teoria che giustifica sul piano fisiologico la trasmutazione dell'energia creativa in follia o in depressione a causa di un eccesso di bile nera (la mélaina cholé, da cui nasce il termine melanconia). La fortuna di questa teoria e la figura di Democrito tornano nel momento di copiosa teorizzazione malinconica, tra la fine del XVI e l’inizio del XVII secolo, dal teatro alla letteratura, alle arti figurative con Robert Burton che nel 1621, sotto le pseudomimo di Democritus Junior, scrive il celebre trattato dal titolo The Anatomy of Melancholy. Proprio grazie all’idea di un sentire che possa essere anatomizzato dall’età elisabettiana in poi il termine malinconia non rimane circoscritto alla conditio humana, ma viene impiegato per diversi aspetti della natura. Lo sviluppo di questa tendenza, che identifica la melanconia come un manto che si posa su ogni essere vivente, si può ritrovare anche in molti dei secoli successivi. Basti pensare all’interpretazione kantiana nelle sue Osservazioni sul sentimento del bello e del sublime, o alle parole del filosofo tedesco Schelling, che, sottolineando il carattere pervasivo di questo complesso stato d'animo, scrive:“...di qui il velo della melanconia disteso sull’intera Natura, la profonda irremovibile melanconia di ogni vita”. Sarà poi questa concezione a influenzare poeti e pensatori pre-modernisti e modernisti. Baudelaire con la figura dell'ennui è certamente tra coloro i quali contribuiscono a modificare la concezione di questo umore che si tramuta in status sublime e depressivo. Gli studi che il filosofo Walter Benjamin e il critico letterario Jean Starobinski fanno su Baudelaire sottolineano come il poeta apra già a una prospettiva malinconica tutta novecentesca segnata dalla perdita traumatica e alla ricerca di un altrove spazio-temporale che sembra irraggiungibile. Sigmund Freud, poi, con il saggio Lutto e Melanconia lega indissolubilmente lo stato melanconico alla depressione, definendo la melanconia diretta conseguenza di un lutto non elaborato. Questi solo alcuni tra gli importanti rappresentati della cultura europea a cui questo topos è stato caro e grazie ai quali ha assunto sfumature di significato diverse, arricchendosi nei secoli, che ne hanno fatto e ne fanno ancora oggi un soggetto così rappresentativo e rappresentato. Il testo di Robert Burton farà da perno attorno cui le atre riflessioni verranno affrontate diacronicamente per rintracciare come il tema della melanconia abbia conquistato e preservato la sua fortuna a partire dalle opere di scrittori e i pensatori più canonici, fino alle riproposizioni contemporanee di artisti come William Kentridge o Anselm Kiefer.
2016
9788854899414
Anatomie della malinconia: dal trattato di Democrito a quello di Democritus Junior e oltre / Natale, Aureliana. - (2016), pp. 101-115.
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/11588/913143
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