la l. n. 134/2021 incrementa gli spazi normativi riconosciuti a taluni meccanismi a vocazione riparativa, seppure con scelte meno coraggiose di quelle suggerite dalla Commissione Lattanzi. Rispetto alle proposte avanzate da quella Commissione, scompare ogni riferimento all’archiviazione meritata, mentre si mantiene una prospettiva (pur meno) espansiva della messa alla prova, che il comma 22 vuole rendere praticabile per i reati puniti con pena edittale non superiore nel massimo a sei anni di reclusione, che si prestino a percorsi risocializzanti o riparatori. In proposito, merita segnalazione la scelta topografica coltivata tanto nel progetto della Commissione quanto nella l. n. 134/2021: la messa alla prova non viene trattata unitamente agli altri riti speciali, ma in prossimità alla giustizia riparativa, sottolineando l’intimo collegamento tra le materie. La stessa contiguità, peraltro, si ripete in tema di esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto, a conferma dell’innervatura riparativa di cui l’istituto è stato arricchito attraverso l’assegnazione del «rilievo alla condotta susseguente al reato»: il post-fatto non può incidere sulla dimensione originaria dell’offesa, bensì può contribuire al superamento delle conseguenze offensive, quando sia raggiunto a valle di un percorso riparativo, privando di giustificazione (seppure ex post) l’intervento punitivo. Ma altro è il significato della giustizia riparativa. Al riguardo, l’art. 2, comma 1, lett. d), della Direttiva del 2012, precisa che tale è «qualsiasi procedimento che permette alla vittima e all’autore del reato di partecipare attivamente, se vi acconsentano liberamente, alla risoluzione delle questioni risultanti dal reato con l’aiuto di un terzo imparziale». Anche da altre fonti si evince il riferimento al processo riparativo e al risultato riparativo. Sotto il profilo metodologico, è la dimensione consensuale, dialogica e partecipativa a caratterizzare i percorsi riparativi in termini di profonda diversità rispetto alla tradizionale giustizia penale che si atteggia in termini autoritativi, dialettici e divisivi. Il comma 18, lett. c) della legge delega fa carico al delegato di delineare i criteri generali per intraprendere percorsi riparativi e, nel solco delle previsioni sovranazionali, delinea un diritto di accesso alla restorative justice, che deve essere assicurato «in ogni stato e grado del processo e durante l’esecuzione della pena», né può andare incontro a «preclusioni in relazione alla fattispecie di reato o alla sua gravità»: insomma, l’ordinamento vuole rendere generalmente disponibile il ricorso alla giustizia che ripara, salvo una verifica in concreto sul consenso dei partecipanti e la valutazione dell’autorità procedente. Per certi versi risulta eccentrico consegnare l’instaurazione del percorso riparativo alla «iniziativa dell’autorità giudiziaria competente», La legge delega prevede alla lett. c) che questa possa essere avviata «sulla base del consenso libero e informato» e sottolinea alla lett. d) l’immanenza di quel consenso, sancendone la «ritrattabilità [...] in ogni momento». Rispetto alle tradizionali coordinate della giustizia negoziata, il consenso acquisisce i più intensi tratti dell’adesione fattiva: la volontà adesiva non solo deve essersi formata in modo spontaneo e libero da qualsiasi tipo di pressione, ma ha un rilievo giuridico che va oltre l’avvio del percorso riparativo, ac- compagnandolo fino all’accordo conclusivo.

Spazi normativi a vocazione riparativa / Iasevoli, Clelia. - (2022). (Intervento presentato al convegno Giustizia riparativa: responsabilità e nuovi modelli di partecipazione tenutosi a Dipartimento di Giurisprudenza, aula Pessina nel 6 giugno 2022).

Spazi normativi a vocazione riparativa

Clelia iasevoli
2022

Abstract

la l. n. 134/2021 incrementa gli spazi normativi riconosciuti a taluni meccanismi a vocazione riparativa, seppure con scelte meno coraggiose di quelle suggerite dalla Commissione Lattanzi. Rispetto alle proposte avanzate da quella Commissione, scompare ogni riferimento all’archiviazione meritata, mentre si mantiene una prospettiva (pur meno) espansiva della messa alla prova, che il comma 22 vuole rendere praticabile per i reati puniti con pena edittale non superiore nel massimo a sei anni di reclusione, che si prestino a percorsi risocializzanti o riparatori. In proposito, merita segnalazione la scelta topografica coltivata tanto nel progetto della Commissione quanto nella l. n. 134/2021: la messa alla prova non viene trattata unitamente agli altri riti speciali, ma in prossimità alla giustizia riparativa, sottolineando l’intimo collegamento tra le materie. La stessa contiguità, peraltro, si ripete in tema di esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto, a conferma dell’innervatura riparativa di cui l’istituto è stato arricchito attraverso l’assegnazione del «rilievo alla condotta susseguente al reato»: il post-fatto non può incidere sulla dimensione originaria dell’offesa, bensì può contribuire al superamento delle conseguenze offensive, quando sia raggiunto a valle di un percorso riparativo, privando di giustificazione (seppure ex post) l’intervento punitivo. Ma altro è il significato della giustizia riparativa. Al riguardo, l’art. 2, comma 1, lett. d), della Direttiva del 2012, precisa che tale è «qualsiasi procedimento che permette alla vittima e all’autore del reato di partecipare attivamente, se vi acconsentano liberamente, alla risoluzione delle questioni risultanti dal reato con l’aiuto di un terzo imparziale». Anche da altre fonti si evince il riferimento al processo riparativo e al risultato riparativo. Sotto il profilo metodologico, è la dimensione consensuale, dialogica e partecipativa a caratterizzare i percorsi riparativi in termini di profonda diversità rispetto alla tradizionale giustizia penale che si atteggia in termini autoritativi, dialettici e divisivi. Il comma 18, lett. c) della legge delega fa carico al delegato di delineare i criteri generali per intraprendere percorsi riparativi e, nel solco delle previsioni sovranazionali, delinea un diritto di accesso alla restorative justice, che deve essere assicurato «in ogni stato e grado del processo e durante l’esecuzione della pena», né può andare incontro a «preclusioni in relazione alla fattispecie di reato o alla sua gravità»: insomma, l’ordinamento vuole rendere generalmente disponibile il ricorso alla giustizia che ripara, salvo una verifica in concreto sul consenso dei partecipanti e la valutazione dell’autorità procedente. Per certi versi risulta eccentrico consegnare l’instaurazione del percorso riparativo alla «iniziativa dell’autorità giudiziaria competente», La legge delega prevede alla lett. c) che questa possa essere avviata «sulla base del consenso libero e informato» e sottolinea alla lett. d) l’immanenza di quel consenso, sancendone la «ritrattabilità [...] in ogni momento». Rispetto alle tradizionali coordinate della giustizia negoziata, il consenso acquisisce i più intensi tratti dell’adesione fattiva: la volontà adesiva non solo deve essersi formata in modo spontaneo e libero da qualsiasi tipo di pressione, ma ha un rilievo giuridico che va oltre l’avvio del percorso riparativo, ac- compagnandolo fino all’accordo conclusivo.
2022
Spazi normativi a vocazione riparativa / Iasevoli, Clelia. - (2022). (Intervento presentato al convegno Giustizia riparativa: responsabilità e nuovi modelli di partecipazione tenutosi a Dipartimento di Giurisprudenza, aula Pessina nel 6 giugno 2022).
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/11588/912581
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