Tra Otto e Novecento, il pensiero e l’opera di Giambattista Vico, anche per effetto di talune opere monografiche che ne accreditano un’interpretazione in chiave sociologica e psicologica, è assunto come riferimento da taluni degli esponenti più illustri che animano, in Italia, l’indirizzo positivo della filosofia giuridica. Soprattutto nell’opera di Alessandro Levi e, prima di lui, di Roberto Ardigò, taluni motivi vichiani – tra i quali il rapporto istituito dal filosofo napoletano tra verum e factum – sono assunti come traccia per lavorare sulle nozioni di “fatto sociale” e “fatto giuridico”, nella prospettiva di una filosofia del diritto “positiva” che privilegi il dato dell’effettività del fenomeno giuridico. Il tema del “fatto giuridico”, anche dopo il declino della scuola giusfilosofica positivistica, non cessa di rappresentare un nodo su cui si misurerà l’approccio al diritto nei primi decenni del Novecento, nelle due diverse denotazioni che Croce, per un verso, e Santi Romano, per l’altro, andranno ad imprimere all’indagine. Il sedimentarsi di problemi e tradizioni intorno a queste due Voci del primo Novecento avrà una singolare eco nel dibattito che vedrà protagonisti linguisti e giuristi, appena concluso il Secondo conflitto mondiale. Discutendo Croce, e aderendo a una prospettiva “istituzionalistica”, la linguistica italiana torna a lavorare sul “fatto giuridico”, sollecitando un celebre intervento di Pietro Piovani del 1963, dal titolo “Mobilità, sistematicità, istituzionalità della lingua e del diritto”, che ne ricostruisce la vicenda tenendo in sottotraccia, ancora, il magistero vichiano.
il diritto come "fatto". Vico e la filosofia giuridica italiana tra Otto e Novecento / Marzocco, V.. - (2021). (Intervento presentato al convegno Filosofía del Derecho e Historia Cuestiones Metodológicas tenutosi a Universidad de Madrid Carlos III - Instituto de Derechos Humanos "Peces Barba" nel 10/11.05.2021).
il diritto come "fatto". Vico e la filosofia giuridica italiana tra Otto e Novecento
V. Marzocco
2021
Abstract
Tra Otto e Novecento, il pensiero e l’opera di Giambattista Vico, anche per effetto di talune opere monografiche che ne accreditano un’interpretazione in chiave sociologica e psicologica, è assunto come riferimento da taluni degli esponenti più illustri che animano, in Italia, l’indirizzo positivo della filosofia giuridica. Soprattutto nell’opera di Alessandro Levi e, prima di lui, di Roberto Ardigò, taluni motivi vichiani – tra i quali il rapporto istituito dal filosofo napoletano tra verum e factum – sono assunti come traccia per lavorare sulle nozioni di “fatto sociale” e “fatto giuridico”, nella prospettiva di una filosofia del diritto “positiva” che privilegi il dato dell’effettività del fenomeno giuridico. Il tema del “fatto giuridico”, anche dopo il declino della scuola giusfilosofica positivistica, non cessa di rappresentare un nodo su cui si misurerà l’approccio al diritto nei primi decenni del Novecento, nelle due diverse denotazioni che Croce, per un verso, e Santi Romano, per l’altro, andranno ad imprimere all’indagine. Il sedimentarsi di problemi e tradizioni intorno a queste due Voci del primo Novecento avrà una singolare eco nel dibattito che vedrà protagonisti linguisti e giuristi, appena concluso il Secondo conflitto mondiale. Discutendo Croce, e aderendo a una prospettiva “istituzionalistica”, la linguistica italiana torna a lavorare sul “fatto giuridico”, sollecitando un celebre intervento di Pietro Piovani del 1963, dal titolo “Mobilità, sistematicità, istituzionalità della lingua e del diritto”, che ne ricostruisce la vicenda tenendo in sottotraccia, ancora, il magistero vichiano.File | Dimensione | Formato | |
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