Dettati diversi per intenzioni e sviluppo legati da un sintagma, cioè a dire “verticale” che, se nelle teorie dell’evoluzione gioca un ruolo decisivo, soprattutto quando si tratta dell’evoluzione umana, contiene una gamma di riflessi, fa esplodere una serie di scintille semantiche che possono rideterminare, almeno in senso categoriale, il discorso del filosofo intorno alla biologia. Charles Darwin, Raymond Ruyer, Friedrich Nietzsche e Peter Sloterdjik. In un passaggio decisivo del dettato di Peter Sloterdjik, la filosofia di Nietzsche sarebbe – senza scarti e senza mezzi termini – una rivoluzionaria istanza metabiologica, che va a insidiosamente a insediarsi, après lui, nella teoria della verità. La “metafisica dell’acrobata” proposta da Nietzsche può collegarsi indisturbata alle conquiste della biologia darwinista. Sotto l’aspetto dell’attenzione per l’improbabilità, le specie naturali e le “culture” (queste ultime definite come gruppi umani dalle forti tradizioni, con un elevato fattore di addestramento e abilità) sono fenomeni appartenenti allo stesso spettro. Nella storia naturale dell’artificialità, la soglia natura-cultura non rappresenta una cesura particolarmente rimarchevole, ma semmai una gobba in una curva, che a partire da quel punto aumenta la pendenza. L’unico privilegio della cultura rispetto alla natura consiste nella sua capacità di accelerare l’arrampicata evolutiva sul Mount Improbable, per dirla con Dawkins. Nel passaggio dall’evoluzione genetica a quella simbolica o “culturale”, il processo morfologico accelera fino al punto in cui gli uomini si accorgono che la nuova forma compare già durante l’arco della loro stessa vita. Lo Übermensch è quell’essere vivente in continuo addestramento che esegue sul proprio corpo degli adattamenti «all’improbabile», la sua vena è artistica, ma di un’arte fisica: come il funambolo precipitato al suolo – la “prima conquista” di Zarathustra in cammino sulle “alture” – che di se stesso dice di non perdere nulla, perdendo la vita, di non essere mai stato più di una bestia e che ha imparato «a danzare a forza di botte e di magri bocconi». Il funambolo, l’acrobata, animale autopoietico per autoaddestramento, sta lì-su, vive in alto sopra la piattezza dell’uomo borghese, sopra la quotidianità del tempo e del giorno borghese, alla cui illusoria sicurezza oppone il rischio perenne del baratro. Il funambolo vive allo scopo di attrarre e costringere lo spettatore a guardare in alto, di sorprendere in ordine all’abisso perennemente spalancato a destra e a sinistra di una corda, costringe colui che guarda su – che gli piaccia o meno – alla vertigine, e il suo vacillare non è incertezza, ma cultura fisica, muscoli e nervi, allenamento e bravura. Limite del possibile, ponte, “transizione” e “tramonto”, per dirla con Zarathustra. Mostro che ammonisce (“mostro” dal monere latino), sovversione dell’umano perché il principio dell’acrobata, preminenza di altezza e imposizione di sguardo dal basso, è principio extra-umano, post-umano, dal da-sein all’oben-sein. La vita, sembra dirci già Nietzsche, trova la sua dimensionalità naturale nell’“improbabile”, e di un “improbabile” sempre crescente. Lo über del sopravvivere e lo über del superuomo indicano questa “crescente” eccedenza, dal probabile all’improbabile: per una specie che vive, l’estinzione rappresenta il risultato più probabile della lotta; e l’essere-umano che conosciamo è perciò la stagnazione di una forma destinata all’epilogo storico.

L'evoluzione stravagante. "Spettacoli di varietà" tra morfogenesi e sopravvivenze innocenti / Amodio, Paolo. - (2018), pp. 201-227.

L'evoluzione stravagante. "Spettacoli di varietà" tra morfogenesi e sopravvivenze innocenti

Paolo Amodio
2018

Abstract

Dettati diversi per intenzioni e sviluppo legati da un sintagma, cioè a dire “verticale” che, se nelle teorie dell’evoluzione gioca un ruolo decisivo, soprattutto quando si tratta dell’evoluzione umana, contiene una gamma di riflessi, fa esplodere una serie di scintille semantiche che possono rideterminare, almeno in senso categoriale, il discorso del filosofo intorno alla biologia. Charles Darwin, Raymond Ruyer, Friedrich Nietzsche e Peter Sloterdjik. In un passaggio decisivo del dettato di Peter Sloterdjik, la filosofia di Nietzsche sarebbe – senza scarti e senza mezzi termini – una rivoluzionaria istanza metabiologica, che va a insidiosamente a insediarsi, après lui, nella teoria della verità. La “metafisica dell’acrobata” proposta da Nietzsche può collegarsi indisturbata alle conquiste della biologia darwinista. Sotto l’aspetto dell’attenzione per l’improbabilità, le specie naturali e le “culture” (queste ultime definite come gruppi umani dalle forti tradizioni, con un elevato fattore di addestramento e abilità) sono fenomeni appartenenti allo stesso spettro. Nella storia naturale dell’artificialità, la soglia natura-cultura non rappresenta una cesura particolarmente rimarchevole, ma semmai una gobba in una curva, che a partire da quel punto aumenta la pendenza. L’unico privilegio della cultura rispetto alla natura consiste nella sua capacità di accelerare l’arrampicata evolutiva sul Mount Improbable, per dirla con Dawkins. Nel passaggio dall’evoluzione genetica a quella simbolica o “culturale”, il processo morfologico accelera fino al punto in cui gli uomini si accorgono che la nuova forma compare già durante l’arco della loro stessa vita. Lo Übermensch è quell’essere vivente in continuo addestramento che esegue sul proprio corpo degli adattamenti «all’improbabile», la sua vena è artistica, ma di un’arte fisica: come il funambolo precipitato al suolo – la “prima conquista” di Zarathustra in cammino sulle “alture” – che di se stesso dice di non perdere nulla, perdendo la vita, di non essere mai stato più di una bestia e che ha imparato «a danzare a forza di botte e di magri bocconi». Il funambolo, l’acrobata, animale autopoietico per autoaddestramento, sta lì-su, vive in alto sopra la piattezza dell’uomo borghese, sopra la quotidianità del tempo e del giorno borghese, alla cui illusoria sicurezza oppone il rischio perenne del baratro. Il funambolo vive allo scopo di attrarre e costringere lo spettatore a guardare in alto, di sorprendere in ordine all’abisso perennemente spalancato a destra e a sinistra di una corda, costringe colui che guarda su – che gli piaccia o meno – alla vertigine, e il suo vacillare non è incertezza, ma cultura fisica, muscoli e nervi, allenamento e bravura. Limite del possibile, ponte, “transizione” e “tramonto”, per dirla con Zarathustra. Mostro che ammonisce (“mostro” dal monere latino), sovversione dell’umano perché il principio dell’acrobata, preminenza di altezza e imposizione di sguardo dal basso, è principio extra-umano, post-umano, dal da-sein all’oben-sein. La vita, sembra dirci già Nietzsche, trova la sua dimensionalità naturale nell’“improbabile”, e di un “improbabile” sempre crescente. Lo über del sopravvivere e lo über del superuomo indicano questa “crescente” eccedenza, dal probabile all’improbabile: per una specie che vive, l’estinzione rappresenta il risultato più probabile della lotta; e l’essere-umano che conosciamo è perciò la stagnazione di una forma destinata all’epilogo storico.
2018
9788883538377
L'evoluzione stravagante. "Spettacoli di varietà" tra morfogenesi e sopravvivenze innocenti / Amodio, Paolo. - (2018), pp. 201-227.
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