A partire da Palmyra, paesaggio di distruzioni, ma anche paesaggio archeologico alterato e in parte sconvolto, il contributo sviluppa alcune considerazioni sui paesaggi di guerra da un’angolazione molto specifica, aprendo una riflessione interessante rispetto alla condizione generale dei territori devastati. Qui i confini delle cose diventano fragili e labili, vi è costitutivamente una condizione del tutto transitoria e subito dopo un’attesa di trasformazione piena di domande e di incognite. Da qui derivano alcune riflessioni sulle “rovine” di guerra e sulle strategie progettuali che si possono mettere in campo per comprendere pienamente cosa è accaduto durante “lo stato di eccezione” e per individuare le azioni da compiere dopo le distruzioni della guerra. Ciò rende ben consapevoli dell’estrema difficoltà del passaggio, in termini concettuali e fisici, “dai recinti che perimetrano in tempi di guerra ai limiti frastagliati da rinegoziare in tempo di pace”, che dovrà essere compiuto a Palmyra, quando il conflitto nella sua forma più cruenta sarà terminato e si porrà in termini molto stringenti la questione di come ripristinare una condizione di normalità. In questo passaggio potrà essere assorbita l’alternativa, che si pone ogni volta che si verificano distruzioni altamente traumatiche, tra la ricostruzione di quanto è stato manomesso e la “conservazione delle distruzioni”, considerando le manomissioni come un dato storico e simbolico da non cancellare. Entrambe queste interpretazioni si basano sulla considerazione del paesaggio come elemento statico, mentre lavorare sul superamento del concetto di recinto e sulla costruzione di limiti frastagliati, significa intendere il paesaggio come un elemento dinamico, che mette in crisi entrambe le impostazioni tradizionali dell’intervento dopo la distruzione. A Palmyra, in entrambi i casi ci si trova di fronte ad una situazione paradossale: “ricostruire” non significa ragionare sulla città dimenticata, ma su quella rimessa in vita dagli interventi conseguenti agli scavi archeologici; conservare significa dare valore ai frammenti che le distruzioni hanno creato, frammenti che non costituiscono una rovina della città dimenticata. Dal confronto con altri casi emblematici, come Dresda e Coventry ma anche Beirut, l’attuale campo di rovine e di frammenti di Palmyra assume i caratteri di un testo narrativo, che racconta differenti tempi, ma si configura soprattutto come un insieme di possibilità, che inevitabilmente potranno dar vita ad un nuovo paesaggio e a nuove architetture.

Paesaggi archeologici di guerra: prima, durante e dopo / Miano, Pasquale. - (2017), pp. 343-351.

Paesaggi archeologici di guerra: prima, durante e dopo

Pasquale Miano
Primo
2017

Abstract

A partire da Palmyra, paesaggio di distruzioni, ma anche paesaggio archeologico alterato e in parte sconvolto, il contributo sviluppa alcune considerazioni sui paesaggi di guerra da un’angolazione molto specifica, aprendo una riflessione interessante rispetto alla condizione generale dei territori devastati. Qui i confini delle cose diventano fragili e labili, vi è costitutivamente una condizione del tutto transitoria e subito dopo un’attesa di trasformazione piena di domande e di incognite. Da qui derivano alcune riflessioni sulle “rovine” di guerra e sulle strategie progettuali che si possono mettere in campo per comprendere pienamente cosa è accaduto durante “lo stato di eccezione” e per individuare le azioni da compiere dopo le distruzioni della guerra. Ciò rende ben consapevoli dell’estrema difficoltà del passaggio, in termini concettuali e fisici, “dai recinti che perimetrano in tempi di guerra ai limiti frastagliati da rinegoziare in tempo di pace”, che dovrà essere compiuto a Palmyra, quando il conflitto nella sua forma più cruenta sarà terminato e si porrà in termini molto stringenti la questione di come ripristinare una condizione di normalità. In questo passaggio potrà essere assorbita l’alternativa, che si pone ogni volta che si verificano distruzioni altamente traumatiche, tra la ricostruzione di quanto è stato manomesso e la “conservazione delle distruzioni”, considerando le manomissioni come un dato storico e simbolico da non cancellare. Entrambe queste interpretazioni si basano sulla considerazione del paesaggio come elemento statico, mentre lavorare sul superamento del concetto di recinto e sulla costruzione di limiti frastagliati, significa intendere il paesaggio come un elemento dinamico, che mette in crisi entrambe le impostazioni tradizionali dell’intervento dopo la distruzione. A Palmyra, in entrambi i casi ci si trova di fronte ad una situazione paradossale: “ricostruire” non significa ragionare sulla città dimenticata, ma su quella rimessa in vita dagli interventi conseguenti agli scavi archeologici; conservare significa dare valore ai frammenti che le distruzioni hanno creato, frammenti che non costituiscono una rovina della città dimenticata. Dal confronto con altri casi emblematici, come Dresda e Coventry ma anche Beirut, l’attuale campo di rovine e di frammenti di Palmyra assume i caratteri di un testo narrativo, che racconta differenti tempi, ma si configura soprattutto come un insieme di possibilità, che inevitabilmente potranno dar vita ad un nuovo paesaggio e a nuove architetture.
2017
978-88-6242-261-1
Paesaggi archeologici di guerra: prima, durante e dopo / Miano, Pasquale. - (2017), pp. 343-351.
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/11588/717818
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