Il pensiero economico nasce a Napoli alla fine del Seicento e si sviluppa fino a raggiungere la piena fioritura tra la metà e la fine del Settecento. Gli economisti del Regno, nell'arco di due secoli, si esercitano in una continua, profonda interrogazione sui caratteri e i fini dell'economia mercantile,e sulle conseguenze concrete della sua affermazione sulle gerarchie, interne e internazionali, del potere economico.In primo luogo, essi esplorano i nessi tra il nuovo modello economico-sociale e, da un lato, le motivazioni e le regole dell’agire umano (le passioni e gli interessi, il “sordido lucro”, la ragione e la virtù); dall’altro, i requisiti e gli obiettivi di una buona vita associativa (l’equità; il bene comune; la felicità). L’indagine verte sulle determinanti della ricchezza delle nazioni, e sul modo in cui i rapporti mercantili, trasformando i comportamenti individuali e le strutture economiche, influenzano tanto l’efficienza e l’efficacia del sistema produttivo quanto le relazioni sociali, modificando il significato stesso della parola “socialità”. In secondo luogo, gli economisti meridionali studiano le potenzialità e i vincoli generati dal modello mercantile nella sfera internazionale sia in generale che, in particolare, per i Paesi economicamente e politicamente dipendenti: i “Regni governati in provincia”, per dirla con Paolo Mattia Doria (1973, pp. 21-22). E propongono strategie per lo sviluppo. A questi temi si intreccia indissolubilmente la riflessione sull’Europa. Il tema acquista una nuova rilevanza perché l’Europa non è più ormai soltanto terreno di scontro militare, ma anche un grande mercato, penetrabile e potenzialmente unificato, dei prodotti e delle materie prime. D’altra parte, la consapevolezza del contesto internazionale è rafforzata dall’intensificarsi dei rapporti tra gli intellettuali, nell’ambito di un processo di circolazione delle idee sinteticamente definito dalle espressioni "repubblica delle lettere”, “repubblica degli scienziati” e, più tardi “repubblica dei filosofi”.In sintesi, tra Sei e Settecento emergono nella letteratura economica europea tre diversi modi di concepire l’Europa, vista, secondo un primo approccio, come un progetto, un’aspirazione, un “sogno di unità” , dove il collante ha soprattutto natura culturale, religiosa e politica, ma non mercantile. Secondo altri, essa è invece il luogo della divisione tra dominio imperialistico e dipendenza, dello scontro tra gli obiettivi di conquista economica delle nazioni egemoni e gli obiettivi di sviluppo degli Stati subordinati. Per questi ultimi, l’Europa costituisce un vincolo. Infine, secondo una terza visione, essa è un’entità di natura prevalentemente economica e commerciale, unita e pacificata dal doux commerce. Questi modi di concepire l’Europa affondano le proprie radici in tre concezioni alternative del mercato, sia nella dimensione interna che in quella internazionale. La prima è una concezione relativistica, che considera il mercato come inessenziale se non dannoso ai fini di una buona vita associativa, e comunque soltanto come una delle forme di organizzazione della vita economica, non l’unica possibile. Nel secondo approccio, esso è il luogo del conflitto e dell’esercizio del potere. Secondo un terzo punto di vista, esso è invece sinonimo di cooperazione, “mutuo soccorso”, pacificazione e civilizzazione. Questo saggio presenta il contributo degli economisti meridionali alla luce di questa chiave interpretativa. Si illustra dapprima il nesso tra la concezione del mercato e la concezione dell’Europa di Tommaso Campanella (1568-1639), le cui analisi di economia applicata e di teoria economica sono poco frequentate dagli economisti e dagli storici del pensiero economico : a lui è perciò qui dedicato un ampio spazio. Si passa poi ad Antonio Serra, Marc’Antonio De Santis e Gian Donato Turbolo , gli autori che all’inizio del Seicento partecipano al dibattito sulla dipendenza del Regno di Napoli. Il saggio prosegue con l’analisi del pensiero di Paolo Mattia Doria (1667-1746), Antonio Genovesi (1712-1769) e Ferdinando Galiani (1728-1787), che nella Napoli del Settecento portano l’economia politica al pieno sviluppo, sia sul piano teorico che su quello della politica economica.

Le radici del pensiero economico italiano: Napoli e l’Europa / Costabile, Lilia. - 290:(2015), pp. 25-47.

Le radici del pensiero economico italiano: Napoli e l’Europa

COSTABILE, LILIA
2015

Abstract

Il pensiero economico nasce a Napoli alla fine del Seicento e si sviluppa fino a raggiungere la piena fioritura tra la metà e la fine del Settecento. Gli economisti del Regno, nell'arco di due secoli, si esercitano in una continua, profonda interrogazione sui caratteri e i fini dell'economia mercantile,e sulle conseguenze concrete della sua affermazione sulle gerarchie, interne e internazionali, del potere economico.In primo luogo, essi esplorano i nessi tra il nuovo modello economico-sociale e, da un lato, le motivazioni e le regole dell’agire umano (le passioni e gli interessi, il “sordido lucro”, la ragione e la virtù); dall’altro, i requisiti e gli obiettivi di una buona vita associativa (l’equità; il bene comune; la felicità). L’indagine verte sulle determinanti della ricchezza delle nazioni, e sul modo in cui i rapporti mercantili, trasformando i comportamenti individuali e le strutture economiche, influenzano tanto l’efficienza e l’efficacia del sistema produttivo quanto le relazioni sociali, modificando il significato stesso della parola “socialità”. In secondo luogo, gli economisti meridionali studiano le potenzialità e i vincoli generati dal modello mercantile nella sfera internazionale sia in generale che, in particolare, per i Paesi economicamente e politicamente dipendenti: i “Regni governati in provincia”, per dirla con Paolo Mattia Doria (1973, pp. 21-22). E propongono strategie per lo sviluppo. A questi temi si intreccia indissolubilmente la riflessione sull’Europa. Il tema acquista una nuova rilevanza perché l’Europa non è più ormai soltanto terreno di scontro militare, ma anche un grande mercato, penetrabile e potenzialmente unificato, dei prodotti e delle materie prime. D’altra parte, la consapevolezza del contesto internazionale è rafforzata dall’intensificarsi dei rapporti tra gli intellettuali, nell’ambito di un processo di circolazione delle idee sinteticamente definito dalle espressioni "repubblica delle lettere”, “repubblica degli scienziati” e, più tardi “repubblica dei filosofi”.In sintesi, tra Sei e Settecento emergono nella letteratura economica europea tre diversi modi di concepire l’Europa, vista, secondo un primo approccio, come un progetto, un’aspirazione, un “sogno di unità” , dove il collante ha soprattutto natura culturale, religiosa e politica, ma non mercantile. Secondo altri, essa è invece il luogo della divisione tra dominio imperialistico e dipendenza, dello scontro tra gli obiettivi di conquista economica delle nazioni egemoni e gli obiettivi di sviluppo degli Stati subordinati. Per questi ultimi, l’Europa costituisce un vincolo. Infine, secondo una terza visione, essa è un’entità di natura prevalentemente economica e commerciale, unita e pacificata dal doux commerce. Questi modi di concepire l’Europa affondano le proprie radici in tre concezioni alternative del mercato, sia nella dimensione interna che in quella internazionale. La prima è una concezione relativistica, che considera il mercato come inessenziale se non dannoso ai fini di una buona vita associativa, e comunque soltanto come una delle forme di organizzazione della vita economica, non l’unica possibile. Nel secondo approccio, esso è il luogo del conflitto e dell’esercizio del potere. Secondo un terzo punto di vista, esso è invece sinonimo di cooperazione, “mutuo soccorso”, pacificazione e civilizzazione. Questo saggio presenta il contributo degli economisti meridionali alla luce di questa chiave interpretativa. Si illustra dapprima il nesso tra la concezione del mercato e la concezione dell’Europa di Tommaso Campanella (1568-1639), le cui analisi di economia applicata e di teoria economica sono poco frequentate dagli economisti e dagli storici del pensiero economico : a lui è perciò qui dedicato un ampio spazio. Si passa poi ad Antonio Serra, Marc’Antonio De Santis e Gian Donato Turbolo , gli autori che all’inizio del Seicento partecipano al dibattito sulla dipendenza del Regno di Napoli. Il saggio prosegue con l’analisi del pensiero di Paolo Mattia Doria (1667-1746), Antonio Genovesi (1712-1769) e Ferdinando Galiani (1728-1787), che nella Napoli del Settecento portano l’economia politica al pieno sviluppo, sia sul piano teorico che su quello della politica economica.
2015
978-88-218-1110-4
Le radici del pensiero economico italiano: Napoli e l’Europa / Costabile, Lilia. - 290:(2015), pp. 25-47.
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/11588/710786
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