Molti discorsi sono stati fatti su Intendere l’Europa. Intendere l’Europa non significa soltanto comparare popoli e Paesi, risorse economiche, dimensioni e strutture, ideologie e modelli statuali e/o politico-istituzionali, potenzialità di integrazione. Intendere l’Europa vuole dire identificarla nella sua ontologia, nella sua essenza morale, spirituale; (vuole dire) coglierne il valore come si rivela nella sua storia, nel modo in cui essa, dai Greci in poi, è stata pensata, sentita, soprattutto è stata costruita come una comunità civile prima che politica. L’insegnamento è antico. Rimanda alle opere di Benedetto Croce, di Carlo Curcio, di Federico Chabod, di Adolfo Omodeo, di J. Baptiste Duroselle, in cui traspare la passione civile degli Autori per un’Europa ancora tutta da costruire; sentita come mito e come utopia da cui trarre ragioni e sollecitazioni per affidare un messaggio di vibrante vigore alle generazioni future; come termine non meramente geografico; come espressione di una peculiare tradizione giuridica, che arricchisce, integrandole, l’autorità normativa delle fonti del diritto degli Stati membri. In questo contesto, l’Unione europea è tradizione giuridica, in quanto è fattore formativo del diritto; è diritto vivente di una comunità, soggetta a continua evoluzione. Specularmente, essa non è il prodotto di alcuna specifica civiltà, giacché all’interno del medesimo territorio convivono, interagiscono, si integrano diversi ordinamenti; i quali, a loro volta, si riducono ad unicum quando la dimensione del diritto diventa sovranazionale. Dunque, la tradizione europea è un sistema vitale, dinamico, sempre in movimento; che, perciò, travalica i limiti delle sistemazioni categoriali in sistemi giuridici, preferendo loro le relazioni tra diritto, diritti, legislazioni, giurisdizioni; raccorda gli ordinamenti sulla funzione sociale del diritto; mitiga la separazione tra civil law e common law adattandosi ad entrambi; compendia le loro specifiche diversità pur non alterando l’ontologia identitaria di ciascuno. Non è un caso che l’art. 6, paragrafo 3, TUE riconosca alle «tradizioni comuni agli Stati membri» il valore di principi generali dell’ordinamento unionistico e che l’art. 4, paragrafo 2, TUE rassicuri sul rispetto della «identità nazionale» di ciascuno di quegli Stati. Ciò significa che il paradigma ordinamentale proposto dall’Unione non va ricondotto esclusivamente al modello di sovranità statale, identificando nel secondo il limite invalicabile per il primo in una prospettiva di continuo, latente, potenziale conflitto tra le due sovranità. Al contrario, bisogna convincersi che l’Unione configura «un altro (e diverso) modello di sovranità, pensato non come supremazia su un territorio o su un popolo, o nella identificazione tra imposizione fiscale e rappresentanza politica, ma ordinato dall’integrazione d’una pluralità di ordinamenti nazionali che si “aprono” e concorrono alla formazione d’un unico spazio giuridico»; che nella tradizione europea, civil law e common law manifestano identità interdipendenti, piuttosto che essenzialiste e separate, perfettamente in linea con un ordinamento giuridico che si innerva di principi più che di norme, risultante da una storia comune, appunto, da una tradizione comune in continua evoluzione. Le ricadute sul modello istituzionale sono di facile intelligibilità: l’Europa non propone agli Stati membri la composizione di codici europei comuni; l’integrazione europea esalta la funzione della giurisprudenza, il ruolo dei giudici nella creazione di un diritto comune europeo che si affianca – e in casi particolari, si sostituisce – a quello dettato dal legislatore nazionale per assicurare la miglior tutela dei diritti fondamentali individuali.

Sistema integrato di fonti e di interpretazioni / Falato, Fabiana. - unico:(2018), pp. 3-31.

Sistema integrato di fonti e di interpretazioni

FALATO FABIANA
2018

Abstract

Molti discorsi sono stati fatti su Intendere l’Europa. Intendere l’Europa non significa soltanto comparare popoli e Paesi, risorse economiche, dimensioni e strutture, ideologie e modelli statuali e/o politico-istituzionali, potenzialità di integrazione. Intendere l’Europa vuole dire identificarla nella sua ontologia, nella sua essenza morale, spirituale; (vuole dire) coglierne il valore come si rivela nella sua storia, nel modo in cui essa, dai Greci in poi, è stata pensata, sentita, soprattutto è stata costruita come una comunità civile prima che politica. L’insegnamento è antico. Rimanda alle opere di Benedetto Croce, di Carlo Curcio, di Federico Chabod, di Adolfo Omodeo, di J. Baptiste Duroselle, in cui traspare la passione civile degli Autori per un’Europa ancora tutta da costruire; sentita come mito e come utopia da cui trarre ragioni e sollecitazioni per affidare un messaggio di vibrante vigore alle generazioni future; come termine non meramente geografico; come espressione di una peculiare tradizione giuridica, che arricchisce, integrandole, l’autorità normativa delle fonti del diritto degli Stati membri. In questo contesto, l’Unione europea è tradizione giuridica, in quanto è fattore formativo del diritto; è diritto vivente di una comunità, soggetta a continua evoluzione. Specularmente, essa non è il prodotto di alcuna specifica civiltà, giacché all’interno del medesimo territorio convivono, interagiscono, si integrano diversi ordinamenti; i quali, a loro volta, si riducono ad unicum quando la dimensione del diritto diventa sovranazionale. Dunque, la tradizione europea è un sistema vitale, dinamico, sempre in movimento; che, perciò, travalica i limiti delle sistemazioni categoriali in sistemi giuridici, preferendo loro le relazioni tra diritto, diritti, legislazioni, giurisdizioni; raccorda gli ordinamenti sulla funzione sociale del diritto; mitiga la separazione tra civil law e common law adattandosi ad entrambi; compendia le loro specifiche diversità pur non alterando l’ontologia identitaria di ciascuno. Non è un caso che l’art. 6, paragrafo 3, TUE riconosca alle «tradizioni comuni agli Stati membri» il valore di principi generali dell’ordinamento unionistico e che l’art. 4, paragrafo 2, TUE rassicuri sul rispetto della «identità nazionale» di ciascuno di quegli Stati. Ciò significa che il paradigma ordinamentale proposto dall’Unione non va ricondotto esclusivamente al modello di sovranità statale, identificando nel secondo il limite invalicabile per il primo in una prospettiva di continuo, latente, potenziale conflitto tra le due sovranità. Al contrario, bisogna convincersi che l’Unione configura «un altro (e diverso) modello di sovranità, pensato non come supremazia su un territorio o su un popolo, o nella identificazione tra imposizione fiscale e rappresentanza politica, ma ordinato dall’integrazione d’una pluralità di ordinamenti nazionali che si “aprono” e concorrono alla formazione d’un unico spazio giuridico»; che nella tradizione europea, civil law e common law manifestano identità interdipendenti, piuttosto che essenzialiste e separate, perfettamente in linea con un ordinamento giuridico che si innerva di principi più che di norme, risultante da una storia comune, appunto, da una tradizione comune in continua evoluzione. Le ricadute sul modello istituzionale sono di facile intelligibilità: l’Europa non propone agli Stati membri la composizione di codici europei comuni; l’integrazione europea esalta la funzione della giurisprudenza, il ruolo dei giudici nella creazione di un diritto comune europeo che si affianca – e in casi particolari, si sostituisce – a quello dettato dal legislatore nazionale per assicurare la miglior tutela dei diritti fondamentali individuali.
2018
9788858208526
Sistema integrato di fonti e di interpretazioni / Falato, Fabiana. - unico:(2018), pp. 3-31.
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/11588/699482
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