Tertulliano conosce i suoi predecessori in lingua greca nel genere letterario dell’apologetica e impiega anche molti dei loro argomenti. Tuttavia il suo atteggiamento nei confronti del rapporto tra cristianesimo e impero, tra vera religione e paganesimo è totalmente differente. Tertulliano pensa soprattutto ad attaccare il paganesimo in tutta la sua struttura civile e politica: egli offre una critica radicale di tutta la politica religiosa dell’impero romano e sottolinea le incertezze e le contraddizioni della legislazione imperiale sui cristiani. Gli apologeti greci, in particolare Giustino, mostrano che il cristianesimo si può considerare il punto di arrivo, il culmine, di una lunga storia dell’umanità che ha i suoi inizi non solo nella religione giudaica, ma anche nella filosofia greca. Esso si presenta come l’esito finale di una lunghissima tradizione culturale (al punto che l’esposizione del dogma cristiano è condotta dagli apologeti greci quasi sempre sulla falsariga della dottrina platonica e con l’applicazione alla nuova religione delle strutture gerarchiche del platonismo ad essi contemporaneo). Tertulliano, invece, quando parla ai pagani della fede cristiana, è costretto anche lui, in mancanza di meglio, a ricorrere a concetti della filosofia greca, ma riesce a caratterizzare l’esposizione della regula fidei con un aspetto molto più “religioso” che “filosofico”. Ma in Tertulliano vi è qualcosa che rende il suo messaggio politico particolarmente ambiguo. La prosperità dell’impero è in fondo un vantaggio anche per i cristiani perché l’impero, e soprattutto la sua sopravvivenza, allontana la catastrofe finale. Esso è, dunque, l’ultimo regno terreno, che ancora “trattiene” la venuta dell’Anticristo e la seconda parusia del Signore. In definitiva un significato positivo e uno negativo si intrecciano in questa convinzione: positivo perché l’avvento dell’Antictristo sarà accompagnato da catastrofi e dolori inenarrabili; negativo, perché in tal modo l’impero romano ritarda nel tempo il secondo avvento di Cristo, quello che tutti i fedeli attendono, ma anche con terrore (cf. Res. 22.2).Questa mescolanza di impegno civile (cioè la fedeltà all’imperatore e a Roma), che rimaneva irrinunciabile per un cittadino romano, e di attesa escatologica che era specifica del cristiano e nuova, conferisce alla dottrina politica di Tertulliano e al suo atteggiamento nei confronti del mondo terreno un’impronta tutta particolare e per certi aspetti ambigua e contraddittoria.
Tertulliano e l'Impero romano / Piscitelli, Teresa. - (2013). ( Ciclo della Lectura Patrum Fodiensis 7. 2013 " Gli inizi della letteratura latina Tertulliano e Cipriano" Dipartimento di Studi Umanistici dell'Università degli Studi di Foggia 18 aprile 2013).
Tertulliano e l'Impero romano
PISCITELLI, TERESA
2013
Abstract
Tertulliano conosce i suoi predecessori in lingua greca nel genere letterario dell’apologetica e impiega anche molti dei loro argomenti. Tuttavia il suo atteggiamento nei confronti del rapporto tra cristianesimo e impero, tra vera religione e paganesimo è totalmente differente. Tertulliano pensa soprattutto ad attaccare il paganesimo in tutta la sua struttura civile e politica: egli offre una critica radicale di tutta la politica religiosa dell’impero romano e sottolinea le incertezze e le contraddizioni della legislazione imperiale sui cristiani. Gli apologeti greci, in particolare Giustino, mostrano che il cristianesimo si può considerare il punto di arrivo, il culmine, di una lunga storia dell’umanità che ha i suoi inizi non solo nella religione giudaica, ma anche nella filosofia greca. Esso si presenta come l’esito finale di una lunghissima tradizione culturale (al punto che l’esposizione del dogma cristiano è condotta dagli apologeti greci quasi sempre sulla falsariga della dottrina platonica e con l’applicazione alla nuova religione delle strutture gerarchiche del platonismo ad essi contemporaneo). Tertulliano, invece, quando parla ai pagani della fede cristiana, è costretto anche lui, in mancanza di meglio, a ricorrere a concetti della filosofia greca, ma riesce a caratterizzare l’esposizione della regula fidei con un aspetto molto più “religioso” che “filosofico”. Ma in Tertulliano vi è qualcosa che rende il suo messaggio politico particolarmente ambiguo. La prosperità dell’impero è in fondo un vantaggio anche per i cristiani perché l’impero, e soprattutto la sua sopravvivenza, allontana la catastrofe finale. Esso è, dunque, l’ultimo regno terreno, che ancora “trattiene” la venuta dell’Anticristo e la seconda parusia del Signore. In definitiva un significato positivo e uno negativo si intrecciano in questa convinzione: positivo perché l’avvento dell’Antictristo sarà accompagnato da catastrofi e dolori inenarrabili; negativo, perché in tal modo l’impero romano ritarda nel tempo il secondo avvento di Cristo, quello che tutti i fedeli attendono, ma anche con terrore (cf. Res. 22.2).Questa mescolanza di impegno civile (cioè la fedeltà all’imperatore e a Roma), che rimaneva irrinunciabile per un cittadino romano, e di attesa escatologica che era specifica del cristiano e nuova, conferisce alla dottrina politica di Tertulliano e al suo atteggiamento nei confronti del mondo terreno un’impronta tutta particolare e per certi aspetti ambigua e contraddittoria.I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.


