Se si prova infatti ad analizzare la trattatistica morale, etico-politica ed economica del tempo, non può balzare agli occhi la copiosa messe di trattati che recano come titolo Essai sur le bonheur o Traité du bonheur: sono talmente tanti (già a un rapido censimento risultano più di trecento pubblicazioni) che verrebbe quasi da pensare che la storia etico-sociale e economico-politica di allora non avesse altro problema che l’elaborazione di una teoria o di una tecnica della “felicità”, del “benessere” privato o pubblico che fosse. Proprio perché, in generale, l’approccio alla “storia di un’idea” suggerisce una cautela metodologica per evitare di scivolare in una concezione metafisica dell’“idea” quale momento di una storia universale necessariamente circoscritta e descritta da elaborazioni “essenziali”; e, anche perché il dibattito sul bonheur tra Sei e Settecento è davvero proteiforme – e i trattati sulla questione non raggiungono sempre risultati intellettuali di effettiva dignità scientifica – è bene forse evitare anche di proporre questa ristretta storia dell’idea di bonheur con un suo inizio, uno svolgimento e una fine, che comporterebbe uno sviluppo necessario in cui i singoli pensatori perderebbero la loro propria specificità per essere inghiottiti da una storia che ne farebbe casuali interpreti. Si potrebbe, ad esempio, legittimamente, raccontare questa storia a partire da Kant che, com’è noto, elaborò la critica della ragion pratica proprio dal deciso smantellamento teorico dell’etica eudemonistica; e tuttavia mi pare che qualora si provasse a descrivere il problema del bonheur costruendo a ritroso la sua storia per una fine già annunciata, non si renderebbe conto della specificità e del significato di una proposta culturale degna di nota nella storia del pensiero e che traccia un significativo percorso della ragione moderna. In definitiva, parlare di bonheur vuol dire provare a cogliere paradigmaticamente – e cioè fuori dalla ricostruzione necessariamente storico-filologica – il senso precipuo che al problema della felicità umana, individuale o collettiva, è stato conferito nello specifico contesto storico-culturale dell’Europa tra XVII e XVIII secolo. È qui che la nozione di “felicità” si svincola dalla morbosa dialettica con la virtù e dalla opprimente questione della salvezza, per costruirsi come specifica questione della ragione filosofica, è qui che trova un tessuto storico-antropologico (nonché ideologico e sociale) che ne consente la trasfigurazione in fatto culturale in lotta con la tradizione e le sue tensioni conservatrici; e, sempre qui, alla fine del XVIII secolo, tra la filosofia kantiana e la Rivoluzione francese, da buon frutto di stagione la parabola della “conquista” del bonheur andrà a spegnersi.

Bonheur e felicità tra XVII e XVIII secolo / Amodio, Paolo. - (2016). (Intervento presentato al convegno Alla ricerca della felicità: prospettive ermeneutiche e antropologiche tenutosi a Istituto Cevantes de Napoles; Rettorato dell'Università di Napoli L'Orientale - Palazzo Du Mesnil Via Chiatamone Napoli nel 1-2 dicembre 2016).

Bonheur e felicità tra XVII e XVIII secolo

AMODIO, PAOLO
2016

Abstract

Se si prova infatti ad analizzare la trattatistica morale, etico-politica ed economica del tempo, non può balzare agli occhi la copiosa messe di trattati che recano come titolo Essai sur le bonheur o Traité du bonheur: sono talmente tanti (già a un rapido censimento risultano più di trecento pubblicazioni) che verrebbe quasi da pensare che la storia etico-sociale e economico-politica di allora non avesse altro problema che l’elaborazione di una teoria o di una tecnica della “felicità”, del “benessere” privato o pubblico che fosse. Proprio perché, in generale, l’approccio alla “storia di un’idea” suggerisce una cautela metodologica per evitare di scivolare in una concezione metafisica dell’“idea” quale momento di una storia universale necessariamente circoscritta e descritta da elaborazioni “essenziali”; e, anche perché il dibattito sul bonheur tra Sei e Settecento è davvero proteiforme – e i trattati sulla questione non raggiungono sempre risultati intellettuali di effettiva dignità scientifica – è bene forse evitare anche di proporre questa ristretta storia dell’idea di bonheur con un suo inizio, uno svolgimento e una fine, che comporterebbe uno sviluppo necessario in cui i singoli pensatori perderebbero la loro propria specificità per essere inghiottiti da una storia che ne farebbe casuali interpreti. Si potrebbe, ad esempio, legittimamente, raccontare questa storia a partire da Kant che, com’è noto, elaborò la critica della ragion pratica proprio dal deciso smantellamento teorico dell’etica eudemonistica; e tuttavia mi pare che qualora si provasse a descrivere il problema del bonheur costruendo a ritroso la sua storia per una fine già annunciata, non si renderebbe conto della specificità e del significato di una proposta culturale degna di nota nella storia del pensiero e che traccia un significativo percorso della ragione moderna. In definitiva, parlare di bonheur vuol dire provare a cogliere paradigmaticamente – e cioè fuori dalla ricostruzione necessariamente storico-filologica – il senso precipuo che al problema della felicità umana, individuale o collettiva, è stato conferito nello specifico contesto storico-culturale dell’Europa tra XVII e XVIII secolo. È qui che la nozione di “felicità” si svincola dalla morbosa dialettica con la virtù e dalla opprimente questione della salvezza, per costruirsi come specifica questione della ragione filosofica, è qui che trova un tessuto storico-antropologico (nonché ideologico e sociale) che ne consente la trasfigurazione in fatto culturale in lotta con la tradizione e le sue tensioni conservatrici; e, sempre qui, alla fine del XVIII secolo, tra la filosofia kantiana e la Rivoluzione francese, da buon frutto di stagione la parabola della “conquista” del bonheur andrà a spegnersi.
2016
Bonheur e felicità tra XVII e XVIII secolo / Amodio, Paolo. - (2016). (Intervento presentato al convegno Alla ricerca della felicità: prospettive ermeneutiche e antropologiche tenutosi a Istituto Cevantes de Napoles; Rettorato dell'Università di Napoli L'Orientale - Palazzo Du Mesnil Via Chiatamone Napoli nel 1-2 dicembre 2016).
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/11588/667173
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