Parlare di paesaggio culturale, nel caso di Crapolla, richiede una necessaria premessa di ordine metodologico, utile a chiarire il concetto stesso di «paesaggio», anche alla luce della corposa letteratura apparsa sul tema in anni recenti. Dopo aver ripercorso l’alterno successo della locuzione di «paesaggio» in rapporto a quella di «ambiente» nel corso del Novecento, Paolo D’Angelo, nel suo Estetica della natura (2001), ha sottolineato come, ancora oggi, si determini un frequente confronto tra una visione antropocentrica ed una ecocentrica del paesaggio. La prima, simbolicamente rappresentata dal volume di Rosario Assunto Il paesaggio e l’estetica (1973), ribadisce la componente estetica e culturale del paesaggio, in antitesi con le posizioni degli ambientalisti. La seconda, al contrario – che accomuna biologi, ecologi, geografi – tende a negare la componente soggettiva insita nel paesaggio, proponendone una lettura “oggettiva”. Oggi, a distanza di oltre trent’anni da questo dibattito, il concetto di paesaggio è ritornato decisamente in auge, divenendo oggetto della relativa Convenzione Europea del 2000, ratificata dall’Italia nel 2006. La definizione di paesaggio contenuta nella Convenzione sembra pienamente rivendicarne la componente soggettiva ed antropica, richiamando la percezione collettiva e la presenza dei fattori umani come elementi determinanti. Tale definizione è stata in seguito quasi integralmente recepita nella legislazione italiana, con le recenti modifiche (2008) al Codice dei Beni Culturali e del Paesaggio. E’ a partire da quest’approccio metodologico, dunque, che si è proceduto all’analisi del paesaggio del fiordo di Crapolla, aderendo all’interpretazione proposta da D’Angelo, che definisce il paesaggio come «identità estetica dei luoghi». Questa visione, tuttavia, lungi dal trascurare gli aspetti geografici, geomorfologici, biologici, ecologici, storici e culturali che segnano il territorio, li sintetizza in uno sguardo d’insieme che si arricchisce di tali conoscenze specialistiche, senza le quali la percezione del paesaggio rischierebbe senz’altro di essere più povera e parziale. Particolare valore, in tal senso, assumono gli aspetti prettamente storici e culturali, elementi caratterizzanti dell’intero paesaggio italiano, che nel caso specifico di Crapolla si concretizzano in documenti materiali e immateriali, trai quali assumono particolare rilievo le testimonianze letterarie, gli oggetti di cultura materiale, gli elementi etnoantropologici, fino alla dimensione simbolica dei luoghi, quest’ultima molto significativa per gli aspetti mitologici e religiosi del fiordo. Con queste premesse, la lettura del paesaggio di Crapolla ha preso le mosse dai dati più “oggettivi”, ovvero quelli geografici e geomorfologici, relazionati al più generale quadro della penisola sorrentina. Sono stati evidenziati gli aspetti orografici, idrografici e geologici, che hanno certamente influenzato gli insediamenti umani che si sono susseguiti nel corso dei secoli. Tra questi si segnalano, in primis, l’aspetto di «fauce marina», ben definito nel 1949 da Amedeo Maiuri, paragonabile soltanto – nell’intensa fusione tra natura e architettura – all’omologo caso del fiordo di Furore. A ciò si aggiunge lo stretto rapporto con l’abitato sovrastante di Torca, pur separato da un dislivello di oltre 300 metri, di cui Crapolla costituisce il naturale sbocco al mare, conferendo dunque al piccolo borgo, in analogia con altri centri della costiera amalfitana, il carattere di un paese di «pescatori che vivono in montagna». Infine sono stati sinteticamente analizzati i caratteri botanici del sito, che appare oggi prevalentemente spoglio e caratterizzato da macchia mediterranea ed arbusti, con qualche albero isolato alle quote più elevate, mentre originariamente era segnato da un bosco di querce, nonché da alberi di olivi e carrubi. Ai dati geomorfologici e botanici si affiancano quelli prevalentemente antropici che, nel caso di Crapolla, fanno chiaramente emergere il carattere di «paesaggio culturale» attraverso l’analisi dell’uso del sito nel corso dei secoli. A partire dagli aspetti mitologici – legati al culto delle Sirene, le cui tracce si rintracciano nell’Odissea e nella Geografia di Strabone – l’antropizzazione di Crapolla può essere desunta dalle testimonianze archeologiche, scarne per il periodo preistorico ma molto significative per quello romano. In questo contesto assume notevole rilievo la presenza del promontorio di punta della Campanella, o Athenaion, che costituiva senza dubbio un elemento di grande importanza per la navigazione, introducendo al grande Crater citato da Strabone. Le ricerche archeologiche avviate da Mingazzini e Pfister, suffragate dalle riflessioni di Maiuri, hanno evidenziato per Crapolla il carattere di porto d’attracco a servizio delle ville romane poste sull’isola d’Isca e sulle isole delle Sirenuse, con particolari valenze di approvvigionamento idrico legate alla presenza del rivo Iarito. Poco si conosce della brusca interruzione nell’uso del sito in età alto-medioevale, cui segue un ripopolamento segnato dalla presenza di monaci eremiti e poi di insediamenti religiosi, dai quali prende avvio il ritorno verso la montagna. E’ durante questa fase che s’impianta il primo nucleo dell’abbazia benedettina di San Pietro, testimoniata già nell’anno 1111 come un monastero denominato Capreolae in territorio di Massa. Tuttavia nessun cenno al complesso religioso, né all’approdo, si ritrova in una delle più dettagliate descrizioni geografiche di età medioevale a noi pervenute, quella redatta tra il 1139 e il 1154, in lingua araba, dal geografo Edrisi (o al-Idrisi) per il re Ruggero II. Occorre arrivare al 1533 per ritrovare una descrizione un po’ più ampia del sito di Crapolla, a firma di Teofilo Folengo, che manifesta inediti accenti paesaggistici. Ancora agli inizi del Settecento, nella guida del Parrino, il fiordo è menzionato con una vocazione di approdo per imbarcazioni, mentre un secolo più tardi, con la definitiva soppressione dell’abbazia e le distruzioni occorse durante le guerre napoleoniche, il sito si riduce ad assumere un esclusivo uso per attività di pesca, come testimonia la descrizione di Mariana Starke del 1836. A partire dalla fine dell’Ottocento si susseguono i riferimenti letterari dei viaggiatori e degli scrittori più attenti al paesaggio della penisola, tra cui spiccano, a diverse riprese, Francis Marion Crawford – con il suo Coasting by Sorrento and Amalfi (1894) – e Norman Douglas con il celebre Siren Land (1911). Entrambi contribuiscono ad associare il mito delle Sirene al fiordo di Crapolla, raccogliendo anche ulteriori testimonianze e leggende sul sito, che forniscono un quadro variegato e complesso, nel quale anche le attività dei pescatori sono per la prima volta oggetto di specifica attenzione. Nel volume di Douglas, in particolare, gli aspetti mitologici e paesaggistici spiccano per intensità e vividezza, culminando nella suggestiva descrizione dei luoghi durante una notte di plenilunio. La continuità dell’uso del sito come approdo di pescatori è infine desunta, nel corso del Novecento, dalle pagine delle Passeggiate campane di Maiuri (1949) – dove Crapolla è oggetto di particolare approfondimento, di sapore archeologico e letterario – e dalle testimonianze fotografiche di Roberto Pane (il documentario Miti e paesaggi della penisola sorrentina del 1955 e il volume Sorrento e la costa, pubblicato nello stesso anno), nonché da alcune più recenti note sui pochi superstiti pescatori notturni di Crapolla (A. de Angelis, 2003). Conclude il testo una sintetica rassegna dell’articolato quadro normativo che interessa il fiordo di Crapolla. Procedendo in ordine gerarchico, vengono analizzate le prescrizioni del vigente Piano Urbanistico Territoriale della Penisola Sorrentino-Amalfitana (1987), che individua l’area di Crapolla tra i paesaggi «a morfologia tettonica dominante», per i quali si prescrive la più rigorosa disciplina di tutela dell’ambiente naturale, considerando particolarmente rilevante la presenza di «maggiori emergenze tettoniche e morfologiche che si presentano prevalentemente con roccia affiorante o talvolta a vegetazione spontanea». Segue la disamina del Piano Regolatore Generale di Massa Lubrense (1992) che, confermando la tutela, vieta sbancamenti, mutamenti di destinazioni d’uso, nuove edificazioni, consentendo la manutenzione e il risanamento conservativo degli edifici documentati come esistenti al 1955, la sistemazione di muretti e terrazzamenti, l’impianto di essenze arboree e arbustive non in contrasto con la tradizionale flora locale, nonché la sistemazione, la manutenzione o il ripristino dei sentieri pedonali. Infine, viene messa in luce la specifica disciplina introdotta con l’istituzione dell’Area Marina Protetta di Punta Campanella e del relativo Regolamento (1997), che risulta di grande impatto per le prospettive di tutela e valorizzazione del fiordo di Crapolla. Oltre alle acque marine, infatti, l’AMP vincola anche i territori costieri appartenenti al demanio marittimo, da cui deriva una specifica disciplina per la spiaggia di Crapolla ed il tratto di sbocco in mare del rivo Iarito. Tali aspetti risultano strategici per immaginare una possibile fruizione del fiordo dal mare, tenendo conto dei corridoi protetti di navigazione e della presenza di un’area per ormeggio con gavitelli posta nei pressi del fiordo. Il quadro delineato, in definitiva, consente di chiarire l’appropriatezza della nozione di «paesaggio culturale complesso» nel caso specifico di Crapolla. Tutti gli aspetti richiamati (geografici, morfologici, naturali, storici, letterari, simbolici) compongono un insieme inscindibile di valori che va correttamente indagato nel suo insieme, evitando di privilegiare uno soltanto di essi. Tale approccio dovrà precedere ogni possibile formulazione di strategie per valorizzazione del sito. Soltanto in questo modo, infatti, sarà possibile mantenere inalterata tutta la suggestione del luogo senza rinunciare, al contempo, ad un progetto di fruizione sostenibile.

Crapolla: a Cultural Landscape on the Amalfi Coast / Pane, Andrea. - (2014), pp. 41-56.

Crapolla: a Cultural Landscape on the Amalfi Coast

PANE, ANDREA
2014

Abstract

Parlare di paesaggio culturale, nel caso di Crapolla, richiede una necessaria premessa di ordine metodologico, utile a chiarire il concetto stesso di «paesaggio», anche alla luce della corposa letteratura apparsa sul tema in anni recenti. Dopo aver ripercorso l’alterno successo della locuzione di «paesaggio» in rapporto a quella di «ambiente» nel corso del Novecento, Paolo D’Angelo, nel suo Estetica della natura (2001), ha sottolineato come, ancora oggi, si determini un frequente confronto tra una visione antropocentrica ed una ecocentrica del paesaggio. La prima, simbolicamente rappresentata dal volume di Rosario Assunto Il paesaggio e l’estetica (1973), ribadisce la componente estetica e culturale del paesaggio, in antitesi con le posizioni degli ambientalisti. La seconda, al contrario – che accomuna biologi, ecologi, geografi – tende a negare la componente soggettiva insita nel paesaggio, proponendone una lettura “oggettiva”. Oggi, a distanza di oltre trent’anni da questo dibattito, il concetto di paesaggio è ritornato decisamente in auge, divenendo oggetto della relativa Convenzione Europea del 2000, ratificata dall’Italia nel 2006. La definizione di paesaggio contenuta nella Convenzione sembra pienamente rivendicarne la componente soggettiva ed antropica, richiamando la percezione collettiva e la presenza dei fattori umani come elementi determinanti. Tale definizione è stata in seguito quasi integralmente recepita nella legislazione italiana, con le recenti modifiche (2008) al Codice dei Beni Culturali e del Paesaggio. E’ a partire da quest’approccio metodologico, dunque, che si è proceduto all’analisi del paesaggio del fiordo di Crapolla, aderendo all’interpretazione proposta da D’Angelo, che definisce il paesaggio come «identità estetica dei luoghi». Questa visione, tuttavia, lungi dal trascurare gli aspetti geografici, geomorfologici, biologici, ecologici, storici e culturali che segnano il territorio, li sintetizza in uno sguardo d’insieme che si arricchisce di tali conoscenze specialistiche, senza le quali la percezione del paesaggio rischierebbe senz’altro di essere più povera e parziale. Particolare valore, in tal senso, assumono gli aspetti prettamente storici e culturali, elementi caratterizzanti dell’intero paesaggio italiano, che nel caso specifico di Crapolla si concretizzano in documenti materiali e immateriali, trai quali assumono particolare rilievo le testimonianze letterarie, gli oggetti di cultura materiale, gli elementi etnoantropologici, fino alla dimensione simbolica dei luoghi, quest’ultima molto significativa per gli aspetti mitologici e religiosi del fiordo. Con queste premesse, la lettura del paesaggio di Crapolla ha preso le mosse dai dati più “oggettivi”, ovvero quelli geografici e geomorfologici, relazionati al più generale quadro della penisola sorrentina. Sono stati evidenziati gli aspetti orografici, idrografici e geologici, che hanno certamente influenzato gli insediamenti umani che si sono susseguiti nel corso dei secoli. Tra questi si segnalano, in primis, l’aspetto di «fauce marina», ben definito nel 1949 da Amedeo Maiuri, paragonabile soltanto – nell’intensa fusione tra natura e architettura – all’omologo caso del fiordo di Furore. A ciò si aggiunge lo stretto rapporto con l’abitato sovrastante di Torca, pur separato da un dislivello di oltre 300 metri, di cui Crapolla costituisce il naturale sbocco al mare, conferendo dunque al piccolo borgo, in analogia con altri centri della costiera amalfitana, il carattere di un paese di «pescatori che vivono in montagna». Infine sono stati sinteticamente analizzati i caratteri botanici del sito, che appare oggi prevalentemente spoglio e caratterizzato da macchia mediterranea ed arbusti, con qualche albero isolato alle quote più elevate, mentre originariamente era segnato da un bosco di querce, nonché da alberi di olivi e carrubi. Ai dati geomorfologici e botanici si affiancano quelli prevalentemente antropici che, nel caso di Crapolla, fanno chiaramente emergere il carattere di «paesaggio culturale» attraverso l’analisi dell’uso del sito nel corso dei secoli. A partire dagli aspetti mitologici – legati al culto delle Sirene, le cui tracce si rintracciano nell’Odissea e nella Geografia di Strabone – l’antropizzazione di Crapolla può essere desunta dalle testimonianze archeologiche, scarne per il periodo preistorico ma molto significative per quello romano. In questo contesto assume notevole rilievo la presenza del promontorio di punta della Campanella, o Athenaion, che costituiva senza dubbio un elemento di grande importanza per la navigazione, introducendo al grande Crater citato da Strabone. Le ricerche archeologiche avviate da Mingazzini e Pfister, suffragate dalle riflessioni di Maiuri, hanno evidenziato per Crapolla il carattere di porto d’attracco a servizio delle ville romane poste sull’isola d’Isca e sulle isole delle Sirenuse, con particolari valenze di approvvigionamento idrico legate alla presenza del rivo Iarito. Poco si conosce della brusca interruzione nell’uso del sito in età alto-medioevale, cui segue un ripopolamento segnato dalla presenza di monaci eremiti e poi di insediamenti religiosi, dai quali prende avvio il ritorno verso la montagna. E’ durante questa fase che s’impianta il primo nucleo dell’abbazia benedettina di San Pietro, testimoniata già nell’anno 1111 come un monastero denominato Capreolae in territorio di Massa. Tuttavia nessun cenno al complesso religioso, né all’approdo, si ritrova in una delle più dettagliate descrizioni geografiche di età medioevale a noi pervenute, quella redatta tra il 1139 e il 1154, in lingua araba, dal geografo Edrisi (o al-Idrisi) per il re Ruggero II. Occorre arrivare al 1533 per ritrovare una descrizione un po’ più ampia del sito di Crapolla, a firma di Teofilo Folengo, che manifesta inediti accenti paesaggistici. Ancora agli inizi del Settecento, nella guida del Parrino, il fiordo è menzionato con una vocazione di approdo per imbarcazioni, mentre un secolo più tardi, con la definitiva soppressione dell’abbazia e le distruzioni occorse durante le guerre napoleoniche, il sito si riduce ad assumere un esclusivo uso per attività di pesca, come testimonia la descrizione di Mariana Starke del 1836. A partire dalla fine dell’Ottocento si susseguono i riferimenti letterari dei viaggiatori e degli scrittori più attenti al paesaggio della penisola, tra cui spiccano, a diverse riprese, Francis Marion Crawford – con il suo Coasting by Sorrento and Amalfi (1894) – e Norman Douglas con il celebre Siren Land (1911). Entrambi contribuiscono ad associare il mito delle Sirene al fiordo di Crapolla, raccogliendo anche ulteriori testimonianze e leggende sul sito, che forniscono un quadro variegato e complesso, nel quale anche le attività dei pescatori sono per la prima volta oggetto di specifica attenzione. Nel volume di Douglas, in particolare, gli aspetti mitologici e paesaggistici spiccano per intensità e vividezza, culminando nella suggestiva descrizione dei luoghi durante una notte di plenilunio. La continuità dell’uso del sito come approdo di pescatori è infine desunta, nel corso del Novecento, dalle pagine delle Passeggiate campane di Maiuri (1949) – dove Crapolla è oggetto di particolare approfondimento, di sapore archeologico e letterario – e dalle testimonianze fotografiche di Roberto Pane (il documentario Miti e paesaggi della penisola sorrentina del 1955 e il volume Sorrento e la costa, pubblicato nello stesso anno), nonché da alcune più recenti note sui pochi superstiti pescatori notturni di Crapolla (A. de Angelis, 2003). Conclude il testo una sintetica rassegna dell’articolato quadro normativo che interessa il fiordo di Crapolla. Procedendo in ordine gerarchico, vengono analizzate le prescrizioni del vigente Piano Urbanistico Territoriale della Penisola Sorrentino-Amalfitana (1987), che individua l’area di Crapolla tra i paesaggi «a morfologia tettonica dominante», per i quali si prescrive la più rigorosa disciplina di tutela dell’ambiente naturale, considerando particolarmente rilevante la presenza di «maggiori emergenze tettoniche e morfologiche che si presentano prevalentemente con roccia affiorante o talvolta a vegetazione spontanea». Segue la disamina del Piano Regolatore Generale di Massa Lubrense (1992) che, confermando la tutela, vieta sbancamenti, mutamenti di destinazioni d’uso, nuove edificazioni, consentendo la manutenzione e il risanamento conservativo degli edifici documentati come esistenti al 1955, la sistemazione di muretti e terrazzamenti, l’impianto di essenze arboree e arbustive non in contrasto con la tradizionale flora locale, nonché la sistemazione, la manutenzione o il ripristino dei sentieri pedonali. Infine, viene messa in luce la specifica disciplina introdotta con l’istituzione dell’Area Marina Protetta di Punta Campanella e del relativo Regolamento (1997), che risulta di grande impatto per le prospettive di tutela e valorizzazione del fiordo di Crapolla. Oltre alle acque marine, infatti, l’AMP vincola anche i territori costieri appartenenti al demanio marittimo, da cui deriva una specifica disciplina per la spiaggia di Crapolla ed il tratto di sbocco in mare del rivo Iarito. Tali aspetti risultano strategici per immaginare una possibile fruizione del fiordo dal mare, tenendo conto dei corridoi protetti di navigazione e della presenza di un’area per ormeggio con gavitelli posta nei pressi del fiordo. Il quadro delineato, in definitiva, consente di chiarire l’appropriatezza della nozione di «paesaggio culturale complesso» nel caso specifico di Crapolla. Tutti gli aspetti richiamati (geografici, morfologici, naturali, storici, letterari, simbolici) compongono un insieme inscindibile di valori che va correttamente indagato nel suo insieme, evitando di privilegiare uno soltanto di essi. Tale approccio dovrà precedere ogni possibile formulazione di strategie per valorizzazione del sito. Soltanto in questo modo, infatti, sarà possibile mantenere inalterata tutta la suggestione del luogo senza rinunciare, al contempo, ad un progetto di fruizione sostenibile.
2014
9788840400426
Crapolla: a Cultural Landscape on the Amalfi Coast / Pane, Andrea. - (2014), pp. 41-56.
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