La locuzione danno da nascita indesiderata è da tempo conosciuta in ambito giuridico per designare le ipotesi di responsabilità connesse alla nascita di un bambino che presenta gravi patologie. In misura più generale il fenomeno procreativo – sempre di più oggi in virtù del progresso scientifico legato alla diagnosi ed alle terapie prenatali – può purtroppo integrare ipotesi di responsabilità. E’ del 1956 lo scritto in cui P. Rescigno definì la fattispecie di responsabilità per la trasmissione di una malattia genetica al neonato come “danno da procreazione” . Da allora ad oggi molta strada è stata percorsa dalla dottrina e dalla giurisprudenza per differenziare e ricercare soluzioni idonee alle molteplici ipotesi che possono venire in rilievo. Possono, infatti, ipotizzarsi danni da ricondursi ad un concepimento o ad una gravidanza non attesi, dove viene in considerazione la volontà di non procreare ovvero di abortire impedita dalla negligenza del medico. (Ipotesi di prescrizione e somministrazione di farmaci privi di efficacia contraccettiva ovvero ipotesi di non corretta esecuzione di interventi di sterilizzazione volontaria ovvero ancora ipotesi di non corretta esecuzione di interventi di interruzione volontaria della gravidanza). Le fattispecie numericamente più consistenti si riferiscono, tuttavia, alla nascita di un bimbo nato affetto da gravi patologie; patologie che, se conosciute in epoca gestazionale, avrebbero indotto la madre all’interruzione volontaria della gravidanza. Questo secondo gruppo di ipotesi viene comunemente definito in ambito nord-americano come wrongful birth o wrongful life actions a seconda di quale sia il soggetto legittimato a fare valere la relativa azione. Il lavoro intende analizzare il percorso giurisprudenziale e dottrinario in ambito nazionale ed internazionale che in questi anni ha interessato le ipotesi in considerazione, per soffermarsi in particolare sulle soluzioni offerte da ultimo dalla giurisprudenza italiana. Recentemente la nostra Cassazione, infatti, si è espressa in merito alla risarcibilità dei danni che possono essere fatti valere in queste ipotesi lesive, ammettendo la titolarità del diritto al risarcimento in capo non solo alla madre ed al padre - oramai ampiamente riconosciuta dalla giurisprudenza dominante - ma anche in capo al nato affetto da gravi malformazioni. Il problema attiene alla configurabilità di diritti e - di conseguenza - di pretese risarcitorie in capo ad un soggetto non ancora nato, che si duole della sua condizione di nascita affetta da patologia. Ciò innesca il dibattito - mai sopito - circa la soggettività del concepito. Il pregio della sentenza in parola, che conviene sottolineare sin d’ora, è quello di aver scelto di non entrare nel merito della questione circa la soggettività del concepito in quanto densa di “suggestioni di tipo etico e filosofico” ma di circoscrivere il tema decidendum alla analisi della dimensione giuridica della pretesa risarcitoria del nato. La scelta operata dalla Cassazione italiana, nel tentativo di offrire tutela alle ragioni del soggetto che maggiormente risulta leso nella vicenda de quo, passa attraverso la ricostruzione del concepito quale oggetto di tutela e non quale soggetto di diritti. L’esame della normativa sul punto – secondo il giudice – offre, infatti, un chiaro ausilio a tale interpretazione. Se si comprende esattamente la ricostruzione offerta dalla Corte, più che una mera scelta lessicale (soggetto/oggetto) - che non sposterebbe la questione - con tale ricostruzione si intende semplicemente fornire la dimostrazione dell’interesse dell’ordinamento verso la tutela della vita fin dal suo concepimento non attribuendo diritti a chi non è ancora nato ma prevedendo una architettura di norme che proteggono la maternità ed il feto. L’oggettivizzazione di questo interesse (dell’ordinamento) inteso in termini di rilevanza giuridica è funzionale e giustifica l’ammissibilità di un diritto al risarcimento dei danni per il soggetto che una volta nato possa dolersi della violazione del suo interesse giuridicamente rilevante. La soluzione adottata dalla sentenza si allinea a quella ricostruzione dottrinaria che considera la soggettività e quindi la costruzione di un soggetto di diritti funzionale all’imputazione di situazioni giuridiche soggettive e non a tecniche di tutela . Così argomentando, pertanto, l’attribuzione della soggettività al concepito risulterebbe ultronea e non necessaria ad offrire una tutela alle ragioni del bambino nato malformato “a causa” della condotta negligente del sanitario. Autorevoli sono state le critiche a tale ricostruzione , che invece propendono per la ricostruzione del concepito come individuo dotato di una soggettività in vista del suo divenire persona, al quale competono diritti fondamentali che potranno essere esercitati e quindi tutelati al momento della nascita. Il lavoro si indirizza ad una rilettura critica di tali interessanti ricostruzioni teoriche alla luce del diritto all’autodeterminazione della donna leso per effetto dell’omissione informativa del medico. In particolare ci si chiede se la lesione del diritto ad essere informati come propedeutico all’esercizio della facoltà di interrompere la gravidanza – nei modi e nei tempi consentiti dalla legge – possa comportare sulla base della “propagazione intersoggettiva degli effetti dell’illecito” (sono parole della Cassazione) il risarcimento in favore di tutta la comunità familiare coinvolta ed in primo luogo del neonato.

Il danno da procreazione: responsabilità sanitaria da nascita indesiderata / Salvatore, Barbara. - (2014). (Intervento presentato al convegno Questioni di inizio vita. Fecondazione assistita e aborto nel dibattito bioetico tenutosi a Università degli Studi di Napoli Federico II nel 26-27 giugno 2014).

Il danno da procreazione: responsabilità sanitaria da nascita indesiderata

SALVATORE, BARBARA
2014

Abstract

La locuzione danno da nascita indesiderata è da tempo conosciuta in ambito giuridico per designare le ipotesi di responsabilità connesse alla nascita di un bambino che presenta gravi patologie. In misura più generale il fenomeno procreativo – sempre di più oggi in virtù del progresso scientifico legato alla diagnosi ed alle terapie prenatali – può purtroppo integrare ipotesi di responsabilità. E’ del 1956 lo scritto in cui P. Rescigno definì la fattispecie di responsabilità per la trasmissione di una malattia genetica al neonato come “danno da procreazione” . Da allora ad oggi molta strada è stata percorsa dalla dottrina e dalla giurisprudenza per differenziare e ricercare soluzioni idonee alle molteplici ipotesi che possono venire in rilievo. Possono, infatti, ipotizzarsi danni da ricondursi ad un concepimento o ad una gravidanza non attesi, dove viene in considerazione la volontà di non procreare ovvero di abortire impedita dalla negligenza del medico. (Ipotesi di prescrizione e somministrazione di farmaci privi di efficacia contraccettiva ovvero ipotesi di non corretta esecuzione di interventi di sterilizzazione volontaria ovvero ancora ipotesi di non corretta esecuzione di interventi di interruzione volontaria della gravidanza). Le fattispecie numericamente più consistenti si riferiscono, tuttavia, alla nascita di un bimbo nato affetto da gravi patologie; patologie che, se conosciute in epoca gestazionale, avrebbero indotto la madre all’interruzione volontaria della gravidanza. Questo secondo gruppo di ipotesi viene comunemente definito in ambito nord-americano come wrongful birth o wrongful life actions a seconda di quale sia il soggetto legittimato a fare valere la relativa azione. Il lavoro intende analizzare il percorso giurisprudenziale e dottrinario in ambito nazionale ed internazionale che in questi anni ha interessato le ipotesi in considerazione, per soffermarsi in particolare sulle soluzioni offerte da ultimo dalla giurisprudenza italiana. Recentemente la nostra Cassazione, infatti, si è espressa in merito alla risarcibilità dei danni che possono essere fatti valere in queste ipotesi lesive, ammettendo la titolarità del diritto al risarcimento in capo non solo alla madre ed al padre - oramai ampiamente riconosciuta dalla giurisprudenza dominante - ma anche in capo al nato affetto da gravi malformazioni. Il problema attiene alla configurabilità di diritti e - di conseguenza - di pretese risarcitorie in capo ad un soggetto non ancora nato, che si duole della sua condizione di nascita affetta da patologia. Ciò innesca il dibattito - mai sopito - circa la soggettività del concepito. Il pregio della sentenza in parola, che conviene sottolineare sin d’ora, è quello di aver scelto di non entrare nel merito della questione circa la soggettività del concepito in quanto densa di “suggestioni di tipo etico e filosofico” ma di circoscrivere il tema decidendum alla analisi della dimensione giuridica della pretesa risarcitoria del nato. La scelta operata dalla Cassazione italiana, nel tentativo di offrire tutela alle ragioni del soggetto che maggiormente risulta leso nella vicenda de quo, passa attraverso la ricostruzione del concepito quale oggetto di tutela e non quale soggetto di diritti. L’esame della normativa sul punto – secondo il giudice – offre, infatti, un chiaro ausilio a tale interpretazione. Se si comprende esattamente la ricostruzione offerta dalla Corte, più che una mera scelta lessicale (soggetto/oggetto) - che non sposterebbe la questione - con tale ricostruzione si intende semplicemente fornire la dimostrazione dell’interesse dell’ordinamento verso la tutela della vita fin dal suo concepimento non attribuendo diritti a chi non è ancora nato ma prevedendo una architettura di norme che proteggono la maternità ed il feto. L’oggettivizzazione di questo interesse (dell’ordinamento) inteso in termini di rilevanza giuridica è funzionale e giustifica l’ammissibilità di un diritto al risarcimento dei danni per il soggetto che una volta nato possa dolersi della violazione del suo interesse giuridicamente rilevante. La soluzione adottata dalla sentenza si allinea a quella ricostruzione dottrinaria che considera la soggettività e quindi la costruzione di un soggetto di diritti funzionale all’imputazione di situazioni giuridiche soggettive e non a tecniche di tutela . Così argomentando, pertanto, l’attribuzione della soggettività al concepito risulterebbe ultronea e non necessaria ad offrire una tutela alle ragioni del bambino nato malformato “a causa” della condotta negligente del sanitario. Autorevoli sono state le critiche a tale ricostruzione , che invece propendono per la ricostruzione del concepito come individuo dotato di una soggettività in vista del suo divenire persona, al quale competono diritti fondamentali che potranno essere esercitati e quindi tutelati al momento della nascita. Il lavoro si indirizza ad una rilettura critica di tali interessanti ricostruzioni teoriche alla luce del diritto all’autodeterminazione della donna leso per effetto dell’omissione informativa del medico. In particolare ci si chiede se la lesione del diritto ad essere informati come propedeutico all’esercizio della facoltà di interrompere la gravidanza – nei modi e nei tempi consentiti dalla legge – possa comportare sulla base della “propagazione intersoggettiva degli effetti dell’illecito” (sono parole della Cassazione) il risarcimento in favore di tutta la comunità familiare coinvolta ed in primo luogo del neonato.
2014
Il danno da procreazione: responsabilità sanitaria da nascita indesiderata / Salvatore, Barbara. - (2014). (Intervento presentato al convegno Questioni di inizio vita. Fecondazione assistita e aborto nel dibattito bioetico tenutosi a Università degli Studi di Napoli Federico II nel 26-27 giugno 2014).
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