Una riflessione sui significati dell’atopia non può che prendere avvio dalla considerazione del valore privativo del suffisso α rispetto al termine Ƭóπος, quindi dall’accezione di senza-luogo, ovvero di una privazione di astanza rispetto ad una presunta espressione fenomenica quale deve essere l’opera d’arte architettonica, opera che “non imita, almeno apparentemente, altre forme”1. Non il non-luogo, quindi, ma un luogo privato della propria fisicità apparente e univocamente manifesta, un altro-luogo che costruisce la sua lateralità e ri-compone la propria presenza sulla moltitudine effimera delle profondità interpretative. Mutevolezza perpetua che “non coincide più con la forma chiara e pienamente visibile, ma passa a quelle forme che hanno in sé qualcosa d’inafferrabile e che sembrano voler sfuggire ogni volta all’osservatore”2; una nuova astanza tutta interna ad una dimensione sospensiva, che si dissolve nei sostrati delle suggestioni mnesiche le quali, impegnate attivamente e relazionate dinamicamente alle reminiscenze stratificate, producono risultati ampiamente interpretativi delle realtà osservate. “La relazione che lega uno spazio e la persona che lo occupa definisce il luogo stesso e l’esperienza che su di esso hanno gli altri come ambito privato. Spazio ed occupante compongono una unità naturale che perde valore in caso questi sia assente”3. La vacuità resa del luogo produce la interazione necessaria tra presenza dell’osservatore e contingente assenza di una realtà oggettivabile, scomposta tra gli elementi che la costituiscono, e che può essere permutata in condizione percepibile. “Lo sguardo dell’osservatore, penetrando nel recinto vuoto, lo converte in un teatro immobile nel quale ogni oggetto riveste un ruolo preciso. Come in quelle opere in cui i personaggi alludono costantemente a qualcuno che non compare mai, così gli oggetti, attivati dallo sguardo, fanno riferimento all’abitante assente. Fisicamente si relazionano e si offrono configurando, come in un balletto interrotto, il vuoto, lo ‘svuotato’, il negativo della presenza del possessore assente”4. Presenza ed assenza divengono dispositivi che originano una moltitudine di realtà simultanee in ognuna delle quali è possibile fissare uniche singolarità scaturenti dalla capacità esperita da ognuno dei riguardanti. È ciò che accade, ad esempio, quando ci troviamo di fronte ai rimbalzi prospettici dei Quadri specchianti di Michelangelo Pistoletto: non esiste un luogo, esistono più luoghi in interferenza costruttiva tra di loro, in ordine al grado di presenza nello spazio di azione; precipitano condizioni di apparente realtà in un flusso di continuo divenire che ammette una fine solo quando si annulla la presenza della moltiplicazione riflessiva.

Atopia. Latente realtà / Florio, Riccardo. - (2013), pp. 64-75.

Atopia. Latente realtà

FLORIO, RICCARDO
2013

Abstract

Una riflessione sui significati dell’atopia non può che prendere avvio dalla considerazione del valore privativo del suffisso α rispetto al termine Ƭóπος, quindi dall’accezione di senza-luogo, ovvero di una privazione di astanza rispetto ad una presunta espressione fenomenica quale deve essere l’opera d’arte architettonica, opera che “non imita, almeno apparentemente, altre forme”1. Non il non-luogo, quindi, ma un luogo privato della propria fisicità apparente e univocamente manifesta, un altro-luogo che costruisce la sua lateralità e ri-compone la propria presenza sulla moltitudine effimera delle profondità interpretative. Mutevolezza perpetua che “non coincide più con la forma chiara e pienamente visibile, ma passa a quelle forme che hanno in sé qualcosa d’inafferrabile e che sembrano voler sfuggire ogni volta all’osservatore”2; una nuova astanza tutta interna ad una dimensione sospensiva, che si dissolve nei sostrati delle suggestioni mnesiche le quali, impegnate attivamente e relazionate dinamicamente alle reminiscenze stratificate, producono risultati ampiamente interpretativi delle realtà osservate. “La relazione che lega uno spazio e la persona che lo occupa definisce il luogo stesso e l’esperienza che su di esso hanno gli altri come ambito privato. Spazio ed occupante compongono una unità naturale che perde valore in caso questi sia assente”3. La vacuità resa del luogo produce la interazione necessaria tra presenza dell’osservatore e contingente assenza di una realtà oggettivabile, scomposta tra gli elementi che la costituiscono, e che può essere permutata in condizione percepibile. “Lo sguardo dell’osservatore, penetrando nel recinto vuoto, lo converte in un teatro immobile nel quale ogni oggetto riveste un ruolo preciso. Come in quelle opere in cui i personaggi alludono costantemente a qualcuno che non compare mai, così gli oggetti, attivati dallo sguardo, fanno riferimento all’abitante assente. Fisicamente si relazionano e si offrono configurando, come in un balletto interrotto, il vuoto, lo ‘svuotato’, il negativo della presenza del possessore assente”4. Presenza ed assenza divengono dispositivi che originano una moltitudine di realtà simultanee in ognuna delle quali è possibile fissare uniche singolarità scaturenti dalla capacità esperita da ognuno dei riguardanti. È ciò che accade, ad esempio, quando ci troviamo di fronte ai rimbalzi prospettici dei Quadri specchianti di Michelangelo Pistoletto: non esiste un luogo, esistono più luoghi in interferenza costruttiva tra di loro, in ordine al grado di presenza nello spazio di azione; precipitano condizioni di apparente realtà in un flusso di continuo divenire che ammette una fine solo quando si annulla la presenza della moltiplicazione riflessiva.
2013
9788890458576
Atopia. Latente realtà / Florio, Riccardo. - (2013), pp. 64-75.
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