Tra le strategie attuate per un utilizzo ottimale delle risorse economiche e nell’uso del suolo, è utile considerare il riutilizzo dell’esistente, non soltanto inteso come intervento teso alla conservazione integrata di manufatti di rilevante interesse, ma anche come sommatoria di processi che investono l’edificato più comune, se non il più degradato, e che non partono da un progetto strategico di ampio respiro, calato dall’alto, ma esprimono, con una serie di piccoli interventi, di iniziativa individuale o per piccoli gruppi, le istanze più pressanti dettate dalla realtà e le esigenze più attuali nell’uso degli spazi. Il costruito è continuamente reso oggetto di processi di trasformazione che partono dall’interno, modificazioni apparentemente secondarie, che però arrivano a cambiare profondamente il senso ed il ruolo di spazi, luoghi, finanche intere parti di città. La sperimentazione di nuovi modi di uso dello spazio, nuove tipologie nasce spesso da incalzanti necessità economiche, come nel caso dei primi loft, per fare un semplice esempio, per poi divenire modello di ricerca per la progettazione e strumento utile a mutare anche drasticamente la fruizione e la valorizzazione di un’area, generando spostamenti di interesse culturali quanto economici (Àbalos, 2009). Ma anche altri fenomeni, come il cohousing o l’office sharing, sono maturati in forma spontanea, generalmente riutilizzando spazi esistenti con piccoli interventi interni, per poi suscitare l’attenzione della cultura del progetto verso i nuovi scenari tipologici e spaziali che hanno configurato. In questo variegato mondo di realizzazioni assume un ruolo fondamentale la capacità del progettista di interpretare il contesto (Gregotti, 1994), di mediare i propri modelli teorici e progettuali con la lettura delle tracce, materiali e immateriali, sulle quali si innesta, mostrando con evidenza come il progetto si inserisca in un continuo processo di manutenzione e manipolazione dell’esistente (Borella, 2008). Il progetto di dimensioni contenute, alla scala del dettaglio, non può per sua natura sfuggire a questa necessità di aderire al contesto, sia inteso come topografia dei luoghi che come espressione della forza delle cose, “il gioco delle forze estranee” cui l’architettura non è immune, necessitando anzi della connessione tra saperi e sensibilità diversi. Il progetto di interni si traduce spesso in realizzazioni dalla consistenza materialmente fragile, labile, ma che altrettanto spesso risulta molto incisiva per le sue conseguenze. Un processo di natura endoparassitaria (Bosoni, 2008) fa sì che, dall’innesto di una piccola nuova configurazione al suo interno, un organismo architettonico risulti poi radicalmente trasformato sul piano morfologico quanto su quello della fruizione. Questi due piani, quello della materialità della trasformazione e quello dell’impatto sull’abitare, non sempre seguono direzioni parallele: piccoli cambiamenti possono alterare fortemente il significato dei luoghi così come grandi progetti talvolta ripropongono modelli che non aderiscono più alle istanze della vita attuale, in continuo mutamento. Questo processo di continua piccola conversione indotta da interventi alla scala del dettaglio, che partono dall’interno dell’esistente, non riguarda soltanto la sfera dell’abitare o lavorare di singoli individui, poiché anche lo spazio pubblico si percepisce come una successione ininterrotta di interni che si trasformano incessantemente (Zardini, 2004), seguendo il ritmo dettato dall’economia reale o dalle modalità di uso e consumo degli spazi e di relazione tra i gruppi sociali.

Trasformazioni che partono dall'interno / Cafiero, Gioconda. - (2012). (Intervento presentato al convegno Abitare il nuovo/abitare il nuovo ai tempi della crisi tenutosi a Napoli nel 12-13 dicembre 2012).

Trasformazioni che partono dall'interno

CAFIERO, GIOCONDA
2012

Abstract

Tra le strategie attuate per un utilizzo ottimale delle risorse economiche e nell’uso del suolo, è utile considerare il riutilizzo dell’esistente, non soltanto inteso come intervento teso alla conservazione integrata di manufatti di rilevante interesse, ma anche come sommatoria di processi che investono l’edificato più comune, se non il più degradato, e che non partono da un progetto strategico di ampio respiro, calato dall’alto, ma esprimono, con una serie di piccoli interventi, di iniziativa individuale o per piccoli gruppi, le istanze più pressanti dettate dalla realtà e le esigenze più attuali nell’uso degli spazi. Il costruito è continuamente reso oggetto di processi di trasformazione che partono dall’interno, modificazioni apparentemente secondarie, che però arrivano a cambiare profondamente il senso ed il ruolo di spazi, luoghi, finanche intere parti di città. La sperimentazione di nuovi modi di uso dello spazio, nuove tipologie nasce spesso da incalzanti necessità economiche, come nel caso dei primi loft, per fare un semplice esempio, per poi divenire modello di ricerca per la progettazione e strumento utile a mutare anche drasticamente la fruizione e la valorizzazione di un’area, generando spostamenti di interesse culturali quanto economici (Àbalos, 2009). Ma anche altri fenomeni, come il cohousing o l’office sharing, sono maturati in forma spontanea, generalmente riutilizzando spazi esistenti con piccoli interventi interni, per poi suscitare l’attenzione della cultura del progetto verso i nuovi scenari tipologici e spaziali che hanno configurato. In questo variegato mondo di realizzazioni assume un ruolo fondamentale la capacità del progettista di interpretare il contesto (Gregotti, 1994), di mediare i propri modelli teorici e progettuali con la lettura delle tracce, materiali e immateriali, sulle quali si innesta, mostrando con evidenza come il progetto si inserisca in un continuo processo di manutenzione e manipolazione dell’esistente (Borella, 2008). Il progetto di dimensioni contenute, alla scala del dettaglio, non può per sua natura sfuggire a questa necessità di aderire al contesto, sia inteso come topografia dei luoghi che come espressione della forza delle cose, “il gioco delle forze estranee” cui l’architettura non è immune, necessitando anzi della connessione tra saperi e sensibilità diversi. Il progetto di interni si traduce spesso in realizzazioni dalla consistenza materialmente fragile, labile, ma che altrettanto spesso risulta molto incisiva per le sue conseguenze. Un processo di natura endoparassitaria (Bosoni, 2008) fa sì che, dall’innesto di una piccola nuova configurazione al suo interno, un organismo architettonico risulti poi radicalmente trasformato sul piano morfologico quanto su quello della fruizione. Questi due piani, quello della materialità della trasformazione e quello dell’impatto sull’abitare, non sempre seguono direzioni parallele: piccoli cambiamenti possono alterare fortemente il significato dei luoghi così come grandi progetti talvolta ripropongono modelli che non aderiscono più alle istanze della vita attuale, in continuo mutamento. Questo processo di continua piccola conversione indotta da interventi alla scala del dettaglio, che partono dall’interno dell’esistente, non riguarda soltanto la sfera dell’abitare o lavorare di singoli individui, poiché anche lo spazio pubblico si percepisce come una successione ininterrotta di interni che si trasformano incessantemente (Zardini, 2004), seguendo il ritmo dettato dall’economia reale o dalle modalità di uso e consumo degli spazi e di relazione tra i gruppi sociali.
2012
Trasformazioni che partono dall'interno / Cafiero, Gioconda. - (2012). (Intervento presentato al convegno Abitare il nuovo/abitare il nuovo ai tempi della crisi tenutosi a Napoli nel 12-13 dicembre 2012).
File in questo prodotto:
Non ci sono file associati a questo prodotto.

I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.

Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/11588/540910
Citazioni
  • ???jsp.display-item.citation.pmc??? ND
  • Scopus ND
  • ???jsp.display-item.citation.isi??? ND
social impact