Architetture del desiderio Il campo di azione dei tecnici dell’architettura e dell’urbanistica è compreso, in linea generale, tra una dimensione molto pragmatica ed un’altra fatta di emozioni, sensazioni così come emerge dalle pagine del libro Architetture del desiderio che raccoglie le riflessioni di tante donne che si occupano, in maniera trasversale, di queste discipline. Il libro mette in luce il punto di vista delle donne quando si occupano di queste materie, imprimendo un carattere fortemente di solidarietà, ricerca di condivisione di soluzioni a quelli che sono i problemi di quotidianità da un lato, ma allo stesso tempo, dei problemi che dovrebbero investire la globalità della vita dell’essere umano sul nostro pianeta. E’ interessante vedere come tra gli interventi delle varie donne si oscilla dal micro al macro e poi di nuovo al micro e, infine, dall’esigenza della cura degli spazi della città alla ragione della stratificazione storica sia dei luoghi stessi che dell’identità di una comunità. Si ritorna a ragionare di progettare luoghi ad una dimensione di bambini, di misure per i bambini come parametri che possano effettivamente rappresentare una condizione di vivibilità per tutti i cittadini di ogni età e di condizione di abilità fisica. Questo continuo ondeggiare psicologico e fisico allo stesso tempo ci riporta ai problemi che devono trovare uno stesso terreno di soluzione per aspetti che sono di una organizzazione spaziale, funzionale, di significati degli spazi che viviamo che devono esprimere, quelli che gli architetti chiamano i poli dell’architettura, dell’urbanistica, cioè le forme, i significati, le funzioni che poi si traducono in strutture, in tecniche, in materiali, ma anche in destinazioni d’uso mutevoli nel tempo e nelle date epoche. Quindi, di volta in volta, è necessario trovare la più adeguata, la più compatibile, la più coerente soluzione affinché questi quattro poli possano essere effettivamente coniugati. Non sempre avviene questo, perché in alcuni casi c’è una stratificazione storica dei nostri luoghi che dà alle stesse pietre un’anima che è quella della percezione delle vite vissute o dei “corpi viventi” che hanno attraversato questi spazi. Allo stesso tempo abbiamo l’esigenza di progettare nuovi spazi, di appropriarci di porzioni di territorio affinché questi possano essere congruenti con le esigenze dei propri “corpi viventi”. L’alternanza è tra una stratificazione storica, ciò che ci viene dal passato, e un adeguamento continuo per piccoli gesti, secondo il nostro punto di vista di donne, e, invece, di macro interventi dal punto di vista degli occhi degli uomini. Quello che noi donne percepiamo di conflittualità nei tessuti urbani è proprio lo scontro tra queste due maniere di vedere l’architettura e l’urbanistica. Quindi da un lato il pensiero maschile rivolto all’affermazione di grandi interventi, di ristrutturazione urbanistica, di demolizioni, di costruzioni ex novo, che vengono richiamati nei vari racconti del libro e rappresentano la vita, la vicenda di tutte le nostre città grandi o piccole, perché è l’approccio metodologico alla soluzione degli interventi che si dimostra in questa dicotomia, cioè un approccio di tipo maschile legato alla ristrutturazione, alla riqualificazione urbana. Questo accade perché siamo in una fase in cui sempre di più ci si sente estraniati rispetto al nostro ambiente, al nostro vicinato, alla nostra dimensione fisica di conoscenza e di vita. Il ciclo incessante della costruzione e della distruzione delle città che vanno verso una dimensione di metropoli, di città metropolitane, di regioni metropolitane, di galassie megalopolitiane sono termini che nella disciplina dell’urbanistica acquisiscono un significato che oggi si sta concretizzando nell’idea di metropolizzazione del mondo. Stiamo assistendo ad un’azione sullo spazio costruito che è molto chiara, perché l’esplosione demografica deve far ridefinire i paradigmi della nostra azione rispetto al territorio. Il pianeta è tutto costruito ecco perché oggi spostiamo la visione della città cinta da mura, che ha una dimensione che il corpo umano può conoscere, perché la può attraversare, la può percorrere, rispetto ad una dimensione di metropolizzazione del mondo dove lo spazio trasformato e urbanizzato rappresenta una tensione irreversibile verso un fenomeno entropico di infinita espansione. Attraverso queste pagine parliamo dell’esigenza di avere degli spazi in cui ognuno di noi come donna riesce a ritrovarsi e ad avere la capacità di stabilire delle relazioni sociali. Non riusciamo, a mio avviso, ad afferrare il concetto di attività planetaria che noi donne non riusciamo a controllare perché oltre la dimensione fisica del controllo dello spazio. L’abbiamo vissuto nei giorni del World Urban Forum quando le donne di tutte le associazioni del mondo si sono incontrate per ragionare proprio sul tema del diritto all’alloggio e del diritto alla terra per le donne perché le donne stesse sono i soggetti deboli che rischiano la condizione di fame, di povertà, di violenza e in realtà esse stesse non hanno mai voluto affrontare il tema della maternità consapevole, disincantata rispetto ai propri credi religiosi al fine di ridurre la sofferenza planetaria di miliardi di esseri umani. Nonostante le donne di tutto il mondo si interrogassero sulla condizione di vita delle donne rispetto alla casa, al lavoro, alla possibilità di raggiungere la condizione di autonomia economica, pur tuttavia, esse stesse, non volevano affrontare esplicitamente il concetto che alla donna è data la possibilità di mettere al mondo 280 milioni di bambini all’anno se poi questo significa aumentare la sofferenza umana sul pianeta. Nel testo c’è qualche elemento che affiora in questa direzione, ci sono alcune donne che esprimono questa forza che dicono che bisogna conquistarsi lo spazio di vicinato, la battaglia per il parco, per il giardino, per poter avere più asili nido, per poter dare una misura di vivibilità soprattutto per il bambini e per le bambine, e allo stesso tempo ci sono le dichiarazione di alcune donne che dicono di essere felici di camminare tra i grattacieli newyorchesi, qui non c’è un giardino ma c’è l’energia che la proietta verso un futuro; mentre, al contrario, una visione riduttiva del dovere come donna partecipare ai comitati, alle associazioni per fare la battaglia e salvaguardare quel parco urbano di 26 ettari o quel giardino in realtà ci riconduce all’interno di una visione del passato che non corrisponde alla vitalità espressa dalla metropoli come quella newyorchese. Invece il messaggio che alla fine emerge è che la vitalità è catapultata nella visione di chi nei grattacieli newyorchesi, nella città, trova quell’energia che proietta verso il futuro. Anche nel pensiero di una stessa donna può affiorare, emergere, quella tensione e quel contrasto che c’è tra il pensiero maschile e femminile per quanto riguarda le città e il territorio. La metropolizzazione del mondo si sta traducendo nelle nuove condizioni di schiavitù urbane. Se le donne devono dare un contributo per invertire questa tendenza si deve andare nella direzione di ridistribuire gli esseri umani sulla terra e Napoli ne è un esempio, perché noi abbiamo utilizzato in maniera antidemocratica le risorse della Regione Campania per poter soddisfare solo i bisogni della città di Napoli che è il cancro della Regione. Ecco perché poi abbiamo i rifiuti distribuiti in tutta la Regione Campania, questa è la forma di una duplice aggressione, una duplice violenza.

Le Architetture del desiderio. L'universo femminile dal micro al macro della scena urbana / Buondonno, Emma. - (2012). (Intervento presentato al convegno Architetture del Desiderio tenutosi a Fondazione Valerio per la Storia delle Donne nel 30 novembre 2012).

Le Architetture del desiderio. L'universo femminile dal micro al macro della scena urbana.

BUONDONNO, EMMA
2012

Abstract

Architetture del desiderio Il campo di azione dei tecnici dell’architettura e dell’urbanistica è compreso, in linea generale, tra una dimensione molto pragmatica ed un’altra fatta di emozioni, sensazioni così come emerge dalle pagine del libro Architetture del desiderio che raccoglie le riflessioni di tante donne che si occupano, in maniera trasversale, di queste discipline. Il libro mette in luce il punto di vista delle donne quando si occupano di queste materie, imprimendo un carattere fortemente di solidarietà, ricerca di condivisione di soluzioni a quelli che sono i problemi di quotidianità da un lato, ma allo stesso tempo, dei problemi che dovrebbero investire la globalità della vita dell’essere umano sul nostro pianeta. E’ interessante vedere come tra gli interventi delle varie donne si oscilla dal micro al macro e poi di nuovo al micro e, infine, dall’esigenza della cura degli spazi della città alla ragione della stratificazione storica sia dei luoghi stessi che dell’identità di una comunità. Si ritorna a ragionare di progettare luoghi ad una dimensione di bambini, di misure per i bambini come parametri che possano effettivamente rappresentare una condizione di vivibilità per tutti i cittadini di ogni età e di condizione di abilità fisica. Questo continuo ondeggiare psicologico e fisico allo stesso tempo ci riporta ai problemi che devono trovare uno stesso terreno di soluzione per aspetti che sono di una organizzazione spaziale, funzionale, di significati degli spazi che viviamo che devono esprimere, quelli che gli architetti chiamano i poli dell’architettura, dell’urbanistica, cioè le forme, i significati, le funzioni che poi si traducono in strutture, in tecniche, in materiali, ma anche in destinazioni d’uso mutevoli nel tempo e nelle date epoche. Quindi, di volta in volta, è necessario trovare la più adeguata, la più compatibile, la più coerente soluzione affinché questi quattro poli possano essere effettivamente coniugati. Non sempre avviene questo, perché in alcuni casi c’è una stratificazione storica dei nostri luoghi che dà alle stesse pietre un’anima che è quella della percezione delle vite vissute o dei “corpi viventi” che hanno attraversato questi spazi. Allo stesso tempo abbiamo l’esigenza di progettare nuovi spazi, di appropriarci di porzioni di territorio affinché questi possano essere congruenti con le esigenze dei propri “corpi viventi”. L’alternanza è tra una stratificazione storica, ciò che ci viene dal passato, e un adeguamento continuo per piccoli gesti, secondo il nostro punto di vista di donne, e, invece, di macro interventi dal punto di vista degli occhi degli uomini. Quello che noi donne percepiamo di conflittualità nei tessuti urbani è proprio lo scontro tra queste due maniere di vedere l’architettura e l’urbanistica. Quindi da un lato il pensiero maschile rivolto all’affermazione di grandi interventi, di ristrutturazione urbanistica, di demolizioni, di costruzioni ex novo, che vengono richiamati nei vari racconti del libro e rappresentano la vita, la vicenda di tutte le nostre città grandi o piccole, perché è l’approccio metodologico alla soluzione degli interventi che si dimostra in questa dicotomia, cioè un approccio di tipo maschile legato alla ristrutturazione, alla riqualificazione urbana. Questo accade perché siamo in una fase in cui sempre di più ci si sente estraniati rispetto al nostro ambiente, al nostro vicinato, alla nostra dimensione fisica di conoscenza e di vita. Il ciclo incessante della costruzione e della distruzione delle città che vanno verso una dimensione di metropoli, di città metropolitane, di regioni metropolitane, di galassie megalopolitiane sono termini che nella disciplina dell’urbanistica acquisiscono un significato che oggi si sta concretizzando nell’idea di metropolizzazione del mondo. Stiamo assistendo ad un’azione sullo spazio costruito che è molto chiara, perché l’esplosione demografica deve far ridefinire i paradigmi della nostra azione rispetto al territorio. Il pianeta è tutto costruito ecco perché oggi spostiamo la visione della città cinta da mura, che ha una dimensione che il corpo umano può conoscere, perché la può attraversare, la può percorrere, rispetto ad una dimensione di metropolizzazione del mondo dove lo spazio trasformato e urbanizzato rappresenta una tensione irreversibile verso un fenomeno entropico di infinita espansione. Attraverso queste pagine parliamo dell’esigenza di avere degli spazi in cui ognuno di noi come donna riesce a ritrovarsi e ad avere la capacità di stabilire delle relazioni sociali. Non riusciamo, a mio avviso, ad afferrare il concetto di attività planetaria che noi donne non riusciamo a controllare perché oltre la dimensione fisica del controllo dello spazio. L’abbiamo vissuto nei giorni del World Urban Forum quando le donne di tutte le associazioni del mondo si sono incontrate per ragionare proprio sul tema del diritto all’alloggio e del diritto alla terra per le donne perché le donne stesse sono i soggetti deboli che rischiano la condizione di fame, di povertà, di violenza e in realtà esse stesse non hanno mai voluto affrontare il tema della maternità consapevole, disincantata rispetto ai propri credi religiosi al fine di ridurre la sofferenza planetaria di miliardi di esseri umani. Nonostante le donne di tutto il mondo si interrogassero sulla condizione di vita delle donne rispetto alla casa, al lavoro, alla possibilità di raggiungere la condizione di autonomia economica, pur tuttavia, esse stesse, non volevano affrontare esplicitamente il concetto che alla donna è data la possibilità di mettere al mondo 280 milioni di bambini all’anno se poi questo significa aumentare la sofferenza umana sul pianeta. Nel testo c’è qualche elemento che affiora in questa direzione, ci sono alcune donne che esprimono questa forza che dicono che bisogna conquistarsi lo spazio di vicinato, la battaglia per il parco, per il giardino, per poter avere più asili nido, per poter dare una misura di vivibilità soprattutto per il bambini e per le bambine, e allo stesso tempo ci sono le dichiarazione di alcune donne che dicono di essere felici di camminare tra i grattacieli newyorchesi, qui non c’è un giardino ma c’è l’energia che la proietta verso un futuro; mentre, al contrario, una visione riduttiva del dovere come donna partecipare ai comitati, alle associazioni per fare la battaglia e salvaguardare quel parco urbano di 26 ettari o quel giardino in realtà ci riconduce all’interno di una visione del passato che non corrisponde alla vitalità espressa dalla metropoli come quella newyorchese. Invece il messaggio che alla fine emerge è che la vitalità è catapultata nella visione di chi nei grattacieli newyorchesi, nella città, trova quell’energia che proietta verso il futuro. Anche nel pensiero di una stessa donna può affiorare, emergere, quella tensione e quel contrasto che c’è tra il pensiero maschile e femminile per quanto riguarda le città e il territorio. La metropolizzazione del mondo si sta traducendo nelle nuove condizioni di schiavitù urbane. Se le donne devono dare un contributo per invertire questa tendenza si deve andare nella direzione di ridistribuire gli esseri umani sulla terra e Napoli ne è un esempio, perché noi abbiamo utilizzato in maniera antidemocratica le risorse della Regione Campania per poter soddisfare solo i bisogni della città di Napoli che è il cancro della Regione. Ecco perché poi abbiamo i rifiuti distribuiti in tutta la Regione Campania, questa è la forma di una duplice aggressione, una duplice violenza.
2012
Le Architetture del desiderio. L'universo femminile dal micro al macro della scena urbana / Buondonno, Emma. - (2012). (Intervento presentato al convegno Architetture del Desiderio tenutosi a Fondazione Valerio per la Storia delle Donne nel 30 novembre 2012).
File in questo prodotto:
Non ci sono file associati a questo prodotto.

I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.

Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/11588/530048
Citazioni
  • ???jsp.display-item.citation.pmc??? ND
  • Scopus ND
  • ???jsp.display-item.citation.isi??? ND
social impact