Il progetto proposto dalle UO di Napoli, Benevento e Sassari intende dare un contributo alla conoscenza delle formazioni piroclastiche dell’Italia centro meridionale interessate da importanti processi di zeolitizzazione autigena. Fin da epoca storica queste formazioni sono state oggetto di coltivazione per l’estrazione di pietre da costruzione dalle buone proprietà tecniche. A partire dagli anni ’50-’60, quando venne riconosciuta la presenza di zeoliti in questi litotipi, essi sono stati sempre più oggetto d’interesse per possibili applicazioni industriali. Se molto si è fatto per lo studio geologico-vulcanologico di base di queste rocce, ed anche per studiarne le possibili applicazioni industriali, poco si è fatto per approfondire le conoscenze di tipo giacimentologico e minerogenetico, peraltro indispensabili per giungere ad un progetto di utilizzazione razionale di un deposito di minerali industriali. In questo ambito intendono muoversi i ricercatori afferenti al progetto, prendendo come caso di studio tre depositi ignimbritici tra i più importanti del Lazio e della Campania (Ignimbrite di Orvieto-Bagnoregio, Tufo Giallo della Via Tiberina, Ignimbrite Campana). Si intende giungere anzitutto ad una conoscenza di dettaglio delle risorse in termini di minerale/i utile/i presente/i, con particolare riguardo al tenore e alla sua variazione in senso stratigrafico e areale. Questo obiettivo sarà perseguito attraverso uno studio sul campo molto dettagliato che, partendo da una ricognizione accurata delle tre formazioni, permetterà di individuarne le sub-unità più significative e di localizzare gli affioramenti più consistenti e più facilmente accessibili nei quali effettuare campionature sistematiche e rappresentative. Il materiale prelevato sarà analizzato con strumentazioni disponibili nelle tre UO e presso i laboratori dell’Indiana University (Bloomington - USA) diretti dal Prof. D.L. Bish, che collabora al progetto. In particolare le determinazioni riguarderanno: - la diffrattometria RX di polveri per il riconoscimento delle fasi presenti e, soprattutto, per la valutazione quantitativa dei loro tenori; - la microscopia elettronica a scansione finalizzata allo studio morfologico e tessiturale delle fasi autigene per verificare le relazioni intercorrenti e stabilirne l’eventuale sequenza di cristallizzazione; - la microanalisi in EDS per valutare le variazioni chimiche che si manifestano nel passaggio dal vetro fresco alle zeoliti o al feldspato, passando attraverso fasi intermedie quali gel-like phases; - le analisi in spettrometria di fluorescenza RX della roccia tal quale finalizzate principalmente a valutare perdite/arricchimenti dei singoli elementi chimici. Conoscendo il chimismo delle fasi coinvolte nei processi autigeni, e relazionandole con possibili composizioni dei fluidi interagenti (definiti in termini di attività delle specie chimiche in soluzione quali, ad es. silice, ione potassio, ione sodio, ione calcio), si potranno delineare, ricorrendo a softwares specifici che eseguono calcoli termodinamici, i campi di stabilità delle fasi di neoformazione riscontrate giungendo quindi a ricostruire le sequenze di cristallizzazione. Tenendo conto delle modalità di messa in posto del deposito, del contesto geo-vulcanologico e dei principali parametri chimici e fisici del sistema, si potrà giungere alla formulazione di un modello di processo minerogenetico eventualmente valido per tutte le unità prese in considerazione (e quindi esportabile ad altre unità simili) o, al contrario, constatare che in ogni specifico contesto è avvenuto un processo diverso, peculiare, e quindi difficilmente riscontrabile in altri depositi. Quest’ultima ipotesi comporterebbe la necessità di un preliminare e specifico studio minerogenetico ogni qual volta si dovesse approntare un progetto di coltivazione razionale di una qualsiasi unità da flusso zeolitizzata. Dato il già menzionato interesse tecnologico di questi minerali, infatti, la conoscenza del tipo di minerale presente (phillipsite e/o cabasite), del tenore e della sua variabilità nel giacimento rappresentano informazioni importanti da trasferire agli operatori del settore per la scelta dell’impiego cui destinare il materiale estratto (p.e. materiali a basso tenore, e quindi non zeolititi, alla produzione di blocchetti per l’edilizia, mentre le zeolititi s.s. andranno a settori produttivi a maggior valore aggiunto - zootecnia, agricoltura, settore ambientale, etc. - ).

Ricostruzione dei processi di zeolitizzazione di alcune formazioni piroclastiche dell'Italia centromeridionale sulla base di evidenze vulcanologiche, mineralogiche e geochimiche / DE GENNARO, Maurizio. - (2010). (Intervento presentato al convegno La zeolitizzazione delle formazioni vulcanoclastiche dell'Itali cantro-meridionale. Relazioni tra meccanismi deposizionali e processi minerogenetici nel 10 Marzo 2010).

Ricostruzione dei processi di zeolitizzazione di alcune formazioni piroclastiche dell'Italia centromeridionale sulla base di evidenze vulcanologiche, mineralogiche e geochimiche

DE GENNARO, MAURIZIO
2010

Abstract

Il progetto proposto dalle UO di Napoli, Benevento e Sassari intende dare un contributo alla conoscenza delle formazioni piroclastiche dell’Italia centro meridionale interessate da importanti processi di zeolitizzazione autigena. Fin da epoca storica queste formazioni sono state oggetto di coltivazione per l’estrazione di pietre da costruzione dalle buone proprietà tecniche. A partire dagli anni ’50-’60, quando venne riconosciuta la presenza di zeoliti in questi litotipi, essi sono stati sempre più oggetto d’interesse per possibili applicazioni industriali. Se molto si è fatto per lo studio geologico-vulcanologico di base di queste rocce, ed anche per studiarne le possibili applicazioni industriali, poco si è fatto per approfondire le conoscenze di tipo giacimentologico e minerogenetico, peraltro indispensabili per giungere ad un progetto di utilizzazione razionale di un deposito di minerali industriali. In questo ambito intendono muoversi i ricercatori afferenti al progetto, prendendo come caso di studio tre depositi ignimbritici tra i più importanti del Lazio e della Campania (Ignimbrite di Orvieto-Bagnoregio, Tufo Giallo della Via Tiberina, Ignimbrite Campana). Si intende giungere anzitutto ad una conoscenza di dettaglio delle risorse in termini di minerale/i utile/i presente/i, con particolare riguardo al tenore e alla sua variazione in senso stratigrafico e areale. Questo obiettivo sarà perseguito attraverso uno studio sul campo molto dettagliato che, partendo da una ricognizione accurata delle tre formazioni, permetterà di individuarne le sub-unità più significative e di localizzare gli affioramenti più consistenti e più facilmente accessibili nei quali effettuare campionature sistematiche e rappresentative. Il materiale prelevato sarà analizzato con strumentazioni disponibili nelle tre UO e presso i laboratori dell’Indiana University (Bloomington - USA) diretti dal Prof. D.L. Bish, che collabora al progetto. In particolare le determinazioni riguarderanno: - la diffrattometria RX di polveri per il riconoscimento delle fasi presenti e, soprattutto, per la valutazione quantitativa dei loro tenori; - la microscopia elettronica a scansione finalizzata allo studio morfologico e tessiturale delle fasi autigene per verificare le relazioni intercorrenti e stabilirne l’eventuale sequenza di cristallizzazione; - la microanalisi in EDS per valutare le variazioni chimiche che si manifestano nel passaggio dal vetro fresco alle zeoliti o al feldspato, passando attraverso fasi intermedie quali gel-like phases; - le analisi in spettrometria di fluorescenza RX della roccia tal quale finalizzate principalmente a valutare perdite/arricchimenti dei singoli elementi chimici. Conoscendo il chimismo delle fasi coinvolte nei processi autigeni, e relazionandole con possibili composizioni dei fluidi interagenti (definiti in termini di attività delle specie chimiche in soluzione quali, ad es. silice, ione potassio, ione sodio, ione calcio), si potranno delineare, ricorrendo a softwares specifici che eseguono calcoli termodinamici, i campi di stabilità delle fasi di neoformazione riscontrate giungendo quindi a ricostruire le sequenze di cristallizzazione. Tenendo conto delle modalità di messa in posto del deposito, del contesto geo-vulcanologico e dei principali parametri chimici e fisici del sistema, si potrà giungere alla formulazione di un modello di processo minerogenetico eventualmente valido per tutte le unità prese in considerazione (e quindi esportabile ad altre unità simili) o, al contrario, constatare che in ogni specifico contesto è avvenuto un processo diverso, peculiare, e quindi difficilmente riscontrabile in altri depositi. Quest’ultima ipotesi comporterebbe la necessità di un preliminare e specifico studio minerogenetico ogni qual volta si dovesse approntare un progetto di coltivazione razionale di una qualsiasi unità da flusso zeolitizzata. Dato il già menzionato interesse tecnologico di questi minerali, infatti, la conoscenza del tipo di minerale presente (phillipsite e/o cabasite), del tenore e della sua variabilità nel giacimento rappresentano informazioni importanti da trasferire agli operatori del settore per la scelta dell’impiego cui destinare il materiale estratto (p.e. materiali a basso tenore, e quindi non zeolititi, alla produzione di blocchetti per l’edilizia, mentre le zeolititi s.s. andranno a settori produttivi a maggior valore aggiunto - zootecnia, agricoltura, settore ambientale, etc. - ).
2010
Ricostruzione dei processi di zeolitizzazione di alcune formazioni piroclastiche dell'Italia centromeridionale sulla base di evidenze vulcanologiche, mineralogiche e geochimiche / DE GENNARO, Maurizio. - (2010). (Intervento presentato al convegno La zeolitizzazione delle formazioni vulcanoclastiche dell'Itali cantro-meridionale. Relazioni tra meccanismi deposizionali e processi minerogenetici nel 10 Marzo 2010).
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/11588/388868
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