Il testo trae spunto dai diffusi dubbi che da qualche tempo sono emersi sulla capacità delle impostazioni classiche di corrispondere alle caratteristiche assunte dalla direzione delle imprese nel corso degli ultimi anni In primis la concezione della “massimizzazione del profitto”, come driver fondamentale dei comportamenti aziendali, lascia insoddisfatti molti autori e relatori a convegni, ma a questa insoddisfazione non si è trovata ancora una adeguata risposta. Anche la teoria del “valore” e della “massimizzazione del valore”, così come è stata esposta fino ad ora, sembra in qualche modo ambigua, visto il modo diverso in cui lo stesso concetto di “valore” è interpretato da autori che hanno analizzato ambiti diversi della gestione aziendale quali, ad esempio, il marketing, la finanza o il governo delle imprese. Altrettanta insoddisfazione viene rivolta alla visione “funzionale” delle imprese cui, però, non si è mai contrapposta un’analisi approfondita di natura diversa, eventualmente collegata alla visione per processi, più volte richiamata come alternativa alla prima e risolutiva dei problemi che da quella derivano. Tra l’altro, gli anni più recenti pongono alla nostra attenzione l’apparizione, e in molti casi, il consolidamento di nuove tipologie di imprese che, pur avendo contemporaneamente caratteri tipici delle imprese industriali, commerciali o di servizi, non sono, tuttavia, codificabili secondo questi schemi tradizionali. Emerge, perciò, la necessità di evidenziare la natura dei processi di cui le imprese sono parte e di considerare per questi non solo le attività operative (di produzione manifatturiera, di servizi, di commercializzazione, di logistica, ecc.) ma anche quelle, ad esempio, di direzione, con ciò giungendo a qualificare ed a posizionare in maniera più appropriata le imprese (di qualunque dimensione) che svolgono come loro attività precipua queste o altre attività. Tali dubbi hanno indotto a delineare su specifici aspetti talune proposte innovative che hanno riscosso il consenso della gran parte degli studiosi. Ad esempio, la teoria degli stakeholder che qualifica i molteplici rapporti che si stabiliscono fra imprese e soggetti terzi, tende a togliere contenuto all’impresa stessa, visto che tutti ne sono “interlocutori”. Lo stesso concetto di “inclusione parziale”, secondo cui ciascun soggetto partecipa contemporaneamente a più gruppi sociali senza perdere la propria individualità, sembra indurre a concepire l’impresa come un insieme di attività piuttosto che come un insieme strutturato di persone, strumenti e cose. Altrettanto importante e giustamente seguita ed analizzata da molti autori è la teoria delle reti di imprese o dell’impresa-rete, che risulta necessario introdurre per comprendere i casi sempre più frequenti di imprese che esternalizzano attività che, però, altre imprese internalizzano, aggiungendole alle precedenti o configurando nuovi “modelli” di impresa. Raramente, tuttavia, le analisi sui processi interni alle imprese vengono collegate all’analisi dei comportamenti delle imprese nelle reti e nei sistemi più ampi di cui fanno parte, né viene affrontato adeguatamente il problema della finalizzazione complessiva delle reti. Il recente dibattito sull’etica nella gestione delle imprese pone ulteriori problemi di carattere non secondario. Da un lato, tali temi contribuiscono alla formulazione di critiche alla teoria della massimizzazione del profitto ed ai criteri di gestione su di questa basati. Dall’altro, essi sembrano creare una barriera tra chi si occupa di gestione dell’impresa e chi si occupa, invece, di etica. Anche da questo punto di vista sembra necessario sviluppare tutti i tentativi possibili per ricondurre ad unità la teoria della gestione delle imprese in una visione che faccia emergere, fra l’altro, il ruolo positivo svolto dalle imprese nelle società moderne, fatte salve, ovviamente, le azioni di controllo pubblico per i casi in cui il loro potere possa pericolosamente prevalere sugli interessi più generali delle collettività di riferimento. In tal senso anche i più recenti provvedimenti legislativi volti a sistematizzare i modelli di governance e gli studi che vi sono connessi, tendenzialmente orientati a distinguere i poteri della proprietà da quelli di governo, non vengono confrontati con la generalità delle impostazioni tradizionali che, ad esempio, contengono, invece,il principio della identità tra imprenditore e impresa. In proposito, potrebbe essere significativo porsi il problema se anche l’imprenditore non sia uno stakeholder, soprattutto quando non esercita l’attività di imprenditore, ma, da privato cittadino, investe risorse nell’impresa e ne beneficia nei modi e nelle forme possibili, così come tutti gli altri stakeholder aziendali. Tuttavia, quando si accostano le une alle altre, tali innovazioni appaiono talvolta difficilmente compatibili tra loro a meno che non si intervenga in maniera più significativa su alcuni elementi caratterizzanti della materia. Senza nessuna pretesa di avere espresso qualcosa di definitivo, il lavoro che si propone parte dal tentativo di dare una risposta “integrata” agli elementi ora citati: tale risposta, peraltro, considera un numero elevato di elementi di base, su cui peraltro è necessario concordare, per cui non poteva essere affidata a singoli articoli, ma richiedeva una più complessa stesura monografica. Elemento centrale della formulazione che si propone è un cambiamento del paradigma che sembra avere sotteso le impostazioni tradizionali di economia e gestione delle imprese. In tal senso, tutto il lavoro si basa su di un modello di analisi sinteticamente definito “uomo-processo-impresa”, che viene proposto come alternativo al paradigma “impresa-ambiente” e che sembra produrre livelli di analisi e possibilità di qualificazione delle attività di governo delle imprese non evidenziabili nell’ambito del precedente “modello”. Quest’ultimo, fra l’altro, indipendentemente dalle formulazioni specifiche, sembra essere carente proprio perché, partendo dall’impresa, non consente di relativizzarne l’esistenza e di qualificarne adeguatamente il ruolo, le evoluzioni, le attività e le scelte di governo. Il lavoro si struttura in 6 capitoli. Il primo capitolo, attraverso l’analisi dei modelli proposti da autori ampiamente seguiti nella teoria, evidenzia che alla base dei comportamenti aziendali vi sono comportamenti umani specificamente motivati piuttosto che strettamente razionali, come vorrebbe la teoria classica e la conseguente attribuzione all’impresa dell’unica finalità generale della massimizzazione del profitto. Dopo questo avvio, viene evidenziato il ruolo delle motivazioni e del “sistema dei valori” degli individui come fattore esplicativo dei comportamenti aziendali; alla luce delle teorie richiamate, viene proposto di anteporre in maniera più sistematica le esigenze e i comportamenti umani alle imprese e di seguire, pertanto, un modello di analisi, diverso da quello dominante. Il capitolo si conclude, pertanto, con la proposta del paradigma “uomo-processo-impresa”, che, quanto meno, relativizza quest’ultima rispetto al primo e consente lo sviluppo di analisi altrimenti non realizzabili. Nel secondo capitolo, quindi, non si parla ancora di impresa ma dei processi di soddisfazione dei bisogni umani. Viene evidenziata la partecipazione delle persone ai processi non solo come percettori di risorse che servono a soddisfarne i bisogni, ma anche come fornitori di risorse; la partecipazione ai processi, perciò, deriva dalla previsione di un bilancio positivo fra risorse ricevute ed impiegate, la cui valutazione, però, dipende dal sistema di valori delle stesse persone e non è, perciò, universale o univoca per ogni individuo. Viene così ridefinito anche il concetto di “convenienza economica”, collegandolo al bilancio “atteso” di risorse che le persone si attendono dalla partecipazione alle più diverse attività. Nel terzo capitolo si parla più specificamente di imprese. Vengono qualificate, inizialmente, le posizione possibili nell’ambito dei processi di soddisfazione dei bisogni e vengono analizzati i processi di impiego e di generazione di risorse. Vengono definiti gli stakeholder come i soggetti che impiegano risorse nelle attività d’impresa e che continuano nelle relazioni in virtù della capacità di queste di generare risorse che per essi rappresentano valore. Vengono evidenziati anche i processi di auto-generazione e viene chiarita la necessità che l’impresa trattenga parte delle risorse generate per rinnovare il proprio patrimonio di risorse. Il valore economico di quest’ultimo viene collegato alla capacità di supportare la continuazione delle attività e, tuttavia, viene sottolineata la assoluta inadeguatezza delle rilevazioni di contabilità generale nell’esporre tutte le componenti del patrimonio di risorse dell’impresa e di considerarne il valore economico che più interessa ai fini delle decisioni aziendali. Il quarto capitolo individua ed analizza le tipologie di attività d’impresa e le finalità della gestione. Sono delineate le diverse categorie di attività e, tra queste, vengono evidenziate le attività di governo e le scelte che le caratterizzano. Viene definito il criterio-guida della gestione come capacità delle attività d’impresa di generare valore competitivo per tutti gli stakeholder e, contemporaneamente, risorse trattenute sufficienti a mantenere almeno inalterato il valore economico del suo patrimonio di risorse. Il quinto ed il sesto capitolo entrano nel merito dei processi di governo e delle scelte fondamentali che lo caratterizzano. Nel quinto capitolo viene ridefinito il concetto di strategia in termini di “modello di generazione di valore”. Vengono analizzati i diversi modelli di generazione di valore per il clienti e per gli altri stakeholder e viene, però, evidenziata la necessità che le imprese dispongano di un qualche “vantaggio” rispetto ai concorrenti perché sia loro possibile generare valore competitivo senza depauperare il proprio patrimonio di risorse. Viene, perciò, analizzata la teoria del vantaggio “globale” che riconduce ad unità i concetti tradizionalmente separati del vantaggio comparato e del vantaggio competitivo. Nel sesto capitolo si definiscono e si analizzano le altre due scelte fondamentali del governo delle imprese: configurazione strutturale e modelli di autopoiesi. Si analizzano, quindi, le interazioni possibili tra le scelte di governo, il coordinamento necessario tra di esse ed i limiti all’individuazione di modelli predefiniti di governo delle imprese. Il capitolo si conclude con una breve analisi delle attività di sviluppo dei modelli di generazioni di valore, che consentono di passare da questi alle proposte di valore specificamente formulate per i clienti e per gli altri stakeholder.

Il governo dei processi d'impresa - Principi e scelte / Stampacchia, Paolo. - STAMPA. - (2009).

Il governo dei processi d'impresa - Principi e scelte

STAMPACCHIA, PAOLO
2009

Abstract

Il testo trae spunto dai diffusi dubbi che da qualche tempo sono emersi sulla capacità delle impostazioni classiche di corrispondere alle caratteristiche assunte dalla direzione delle imprese nel corso degli ultimi anni In primis la concezione della “massimizzazione del profitto”, come driver fondamentale dei comportamenti aziendali, lascia insoddisfatti molti autori e relatori a convegni, ma a questa insoddisfazione non si è trovata ancora una adeguata risposta. Anche la teoria del “valore” e della “massimizzazione del valore”, così come è stata esposta fino ad ora, sembra in qualche modo ambigua, visto il modo diverso in cui lo stesso concetto di “valore” è interpretato da autori che hanno analizzato ambiti diversi della gestione aziendale quali, ad esempio, il marketing, la finanza o il governo delle imprese. Altrettanta insoddisfazione viene rivolta alla visione “funzionale” delle imprese cui, però, non si è mai contrapposta un’analisi approfondita di natura diversa, eventualmente collegata alla visione per processi, più volte richiamata come alternativa alla prima e risolutiva dei problemi che da quella derivano. Tra l’altro, gli anni più recenti pongono alla nostra attenzione l’apparizione, e in molti casi, il consolidamento di nuove tipologie di imprese che, pur avendo contemporaneamente caratteri tipici delle imprese industriali, commerciali o di servizi, non sono, tuttavia, codificabili secondo questi schemi tradizionali. Emerge, perciò, la necessità di evidenziare la natura dei processi di cui le imprese sono parte e di considerare per questi non solo le attività operative (di produzione manifatturiera, di servizi, di commercializzazione, di logistica, ecc.) ma anche quelle, ad esempio, di direzione, con ciò giungendo a qualificare ed a posizionare in maniera più appropriata le imprese (di qualunque dimensione) che svolgono come loro attività precipua queste o altre attività. Tali dubbi hanno indotto a delineare su specifici aspetti talune proposte innovative che hanno riscosso il consenso della gran parte degli studiosi. Ad esempio, la teoria degli stakeholder che qualifica i molteplici rapporti che si stabiliscono fra imprese e soggetti terzi, tende a togliere contenuto all’impresa stessa, visto che tutti ne sono “interlocutori”. Lo stesso concetto di “inclusione parziale”, secondo cui ciascun soggetto partecipa contemporaneamente a più gruppi sociali senza perdere la propria individualità, sembra indurre a concepire l’impresa come un insieme di attività piuttosto che come un insieme strutturato di persone, strumenti e cose. Altrettanto importante e giustamente seguita ed analizzata da molti autori è la teoria delle reti di imprese o dell’impresa-rete, che risulta necessario introdurre per comprendere i casi sempre più frequenti di imprese che esternalizzano attività che, però, altre imprese internalizzano, aggiungendole alle precedenti o configurando nuovi “modelli” di impresa. Raramente, tuttavia, le analisi sui processi interni alle imprese vengono collegate all’analisi dei comportamenti delle imprese nelle reti e nei sistemi più ampi di cui fanno parte, né viene affrontato adeguatamente il problema della finalizzazione complessiva delle reti. Il recente dibattito sull’etica nella gestione delle imprese pone ulteriori problemi di carattere non secondario. Da un lato, tali temi contribuiscono alla formulazione di critiche alla teoria della massimizzazione del profitto ed ai criteri di gestione su di questa basati. Dall’altro, essi sembrano creare una barriera tra chi si occupa di gestione dell’impresa e chi si occupa, invece, di etica. Anche da questo punto di vista sembra necessario sviluppare tutti i tentativi possibili per ricondurre ad unità la teoria della gestione delle imprese in una visione che faccia emergere, fra l’altro, il ruolo positivo svolto dalle imprese nelle società moderne, fatte salve, ovviamente, le azioni di controllo pubblico per i casi in cui il loro potere possa pericolosamente prevalere sugli interessi più generali delle collettività di riferimento. In tal senso anche i più recenti provvedimenti legislativi volti a sistematizzare i modelli di governance e gli studi che vi sono connessi, tendenzialmente orientati a distinguere i poteri della proprietà da quelli di governo, non vengono confrontati con la generalità delle impostazioni tradizionali che, ad esempio, contengono, invece,il principio della identità tra imprenditore e impresa. In proposito, potrebbe essere significativo porsi il problema se anche l’imprenditore non sia uno stakeholder, soprattutto quando non esercita l’attività di imprenditore, ma, da privato cittadino, investe risorse nell’impresa e ne beneficia nei modi e nelle forme possibili, così come tutti gli altri stakeholder aziendali. Tuttavia, quando si accostano le une alle altre, tali innovazioni appaiono talvolta difficilmente compatibili tra loro a meno che non si intervenga in maniera più significativa su alcuni elementi caratterizzanti della materia. Senza nessuna pretesa di avere espresso qualcosa di definitivo, il lavoro che si propone parte dal tentativo di dare una risposta “integrata” agli elementi ora citati: tale risposta, peraltro, considera un numero elevato di elementi di base, su cui peraltro è necessario concordare, per cui non poteva essere affidata a singoli articoli, ma richiedeva una più complessa stesura monografica. Elemento centrale della formulazione che si propone è un cambiamento del paradigma che sembra avere sotteso le impostazioni tradizionali di economia e gestione delle imprese. In tal senso, tutto il lavoro si basa su di un modello di analisi sinteticamente definito “uomo-processo-impresa”, che viene proposto come alternativo al paradigma “impresa-ambiente” e che sembra produrre livelli di analisi e possibilità di qualificazione delle attività di governo delle imprese non evidenziabili nell’ambito del precedente “modello”. Quest’ultimo, fra l’altro, indipendentemente dalle formulazioni specifiche, sembra essere carente proprio perché, partendo dall’impresa, non consente di relativizzarne l’esistenza e di qualificarne adeguatamente il ruolo, le evoluzioni, le attività e le scelte di governo. Il lavoro si struttura in 6 capitoli. Il primo capitolo, attraverso l’analisi dei modelli proposti da autori ampiamente seguiti nella teoria, evidenzia che alla base dei comportamenti aziendali vi sono comportamenti umani specificamente motivati piuttosto che strettamente razionali, come vorrebbe la teoria classica e la conseguente attribuzione all’impresa dell’unica finalità generale della massimizzazione del profitto. Dopo questo avvio, viene evidenziato il ruolo delle motivazioni e del “sistema dei valori” degli individui come fattore esplicativo dei comportamenti aziendali; alla luce delle teorie richiamate, viene proposto di anteporre in maniera più sistematica le esigenze e i comportamenti umani alle imprese e di seguire, pertanto, un modello di analisi, diverso da quello dominante. Il capitolo si conclude, pertanto, con la proposta del paradigma “uomo-processo-impresa”, che, quanto meno, relativizza quest’ultima rispetto al primo e consente lo sviluppo di analisi altrimenti non realizzabili. Nel secondo capitolo, quindi, non si parla ancora di impresa ma dei processi di soddisfazione dei bisogni umani. Viene evidenziata la partecipazione delle persone ai processi non solo come percettori di risorse che servono a soddisfarne i bisogni, ma anche come fornitori di risorse; la partecipazione ai processi, perciò, deriva dalla previsione di un bilancio positivo fra risorse ricevute ed impiegate, la cui valutazione, però, dipende dal sistema di valori delle stesse persone e non è, perciò, universale o univoca per ogni individuo. Viene così ridefinito anche il concetto di “convenienza economica”, collegandolo al bilancio “atteso” di risorse che le persone si attendono dalla partecipazione alle più diverse attività. Nel terzo capitolo si parla più specificamente di imprese. Vengono qualificate, inizialmente, le posizione possibili nell’ambito dei processi di soddisfazione dei bisogni e vengono analizzati i processi di impiego e di generazione di risorse. Vengono definiti gli stakeholder come i soggetti che impiegano risorse nelle attività d’impresa e che continuano nelle relazioni in virtù della capacità di queste di generare risorse che per essi rappresentano valore. Vengono evidenziati anche i processi di auto-generazione e viene chiarita la necessità che l’impresa trattenga parte delle risorse generate per rinnovare il proprio patrimonio di risorse. Il valore economico di quest’ultimo viene collegato alla capacità di supportare la continuazione delle attività e, tuttavia, viene sottolineata la assoluta inadeguatezza delle rilevazioni di contabilità generale nell’esporre tutte le componenti del patrimonio di risorse dell’impresa e di considerarne il valore economico che più interessa ai fini delle decisioni aziendali. Il quarto capitolo individua ed analizza le tipologie di attività d’impresa e le finalità della gestione. Sono delineate le diverse categorie di attività e, tra queste, vengono evidenziate le attività di governo e le scelte che le caratterizzano. Viene definito il criterio-guida della gestione come capacità delle attività d’impresa di generare valore competitivo per tutti gli stakeholder e, contemporaneamente, risorse trattenute sufficienti a mantenere almeno inalterato il valore economico del suo patrimonio di risorse. Il quinto ed il sesto capitolo entrano nel merito dei processi di governo e delle scelte fondamentali che lo caratterizzano. Nel quinto capitolo viene ridefinito il concetto di strategia in termini di “modello di generazione di valore”. Vengono analizzati i diversi modelli di generazione di valore per il clienti e per gli altri stakeholder e viene, però, evidenziata la necessità che le imprese dispongano di un qualche “vantaggio” rispetto ai concorrenti perché sia loro possibile generare valore competitivo senza depauperare il proprio patrimonio di risorse. Viene, perciò, analizzata la teoria del vantaggio “globale” che riconduce ad unità i concetti tradizionalmente separati del vantaggio comparato e del vantaggio competitivo. Nel sesto capitolo si definiscono e si analizzano le altre due scelte fondamentali del governo delle imprese: configurazione strutturale e modelli di autopoiesi. Si analizzano, quindi, le interazioni possibili tra le scelte di governo, il coordinamento necessario tra di esse ed i limiti all’individuazione di modelli predefiniti di governo delle imprese. Il capitolo si conclude con una breve analisi delle attività di sviluppo dei modelli di generazioni di valore, che consentono di passare da questi alle proposte di valore specificamente formulate per i clienti e per gli altri stakeholder.
2009
9788883380860
Il governo dei processi d'impresa - Principi e scelte / Stampacchia, Paolo. - STAMPA. - (2009).
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