Nell'articolo, licenziato prima dell'entrata in vigore del trattato di Lisbona, si procede all'analisi della politica dell'Unione europea in materia penale. In una prima parte si considera l'esigenza da cui nasce la cooperazione penale tra gli Stati membri che è strettamente connessa alla piena realizzazione delle libertà nel mercato unico che, in qualche modo, possono favorire la circolazione senza controllo dei fenomeni criminali. Tale forma di cooperazione nasce come cooperazione "intergovernativa" con il Trattato sull'Unione europea stipulato a Maastricht nel 1993, nell'ambito del terzo pilastro dell'Unione, tuttavia, ingerenze nella materia penale da parte della Comunità, proprio in quanto settore collegato al mercato interno, si rinvengono già in atti normativi relativi alla libera circolazione delle persone, quindi nel primo pilastro. A tal proposito si analizza la giurisprudenza della Corte di giustizia in tema di reati ambientali, Commissione c. Consiglio, sentenza 13 settembre 2005, causa C-176/03, in cui la Corte annulla una decisione quadro e riconosce la competenza in materia penale nel primo pilastro comunitario ma solo in via funzionale alla realizzazione di una politica comunitaria, nel caso di specie, in materia ambientale. In una successiva sentenza, Commissione c. Consiglio, 27 ottobre 2007, causa C-440/05, la Corte riconosce nuovamente la competenza penale del primo pilastro in quanto funzionale alla realizzazione di una politica comunitaria, ma precisa che è interdetto alle istituzioni UE lo stabilire il tipo e l'entità delle sanzioni penali poiché tale competenza resta una prerogativa degli Stati membri. Nella seconda parte del lavoro oggetto d'esame è la progressiva "comunitarizzazione" del settore penale. Tale fenomeno, ante Lisbona, si è realizzato attraverso il riconoscimento da parte della Corte di giustizia dell'operatività nel terzo pilastro di principi comunitari quali l'obbligo di leale cooperazione e d'interpretazione conforme nella nota sentenza Pupino del 16 giugno 2005, causa C- 105/03. Si analizza, quindi, l'impatto che tale esportazione di principi dal primo al terzo pilastro ha sull'ordinamento interno. Infine, si procede ad una breve disamina delle prospettive delineate dal Trattato di Lisbona (all'epoca non ancora in vigore ma già redatto nella sua versione definitiva) che attraverso l'abolizione dei pilastri dell'Unione colloca la cooperazione penale nel più ampio spazio di libertà sicurezza e giustizia del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea, insieme alla cooperazione civile. Si realizza l’estensione del metodo comunitario alla cooperazione penale, tuttavia, nelle disposizioni relative alla materia penale si inserisce un meccanismo tipico della cooperazione intergovernativa (il “freno d’emergenza” nella procedura di formazione degli atti), previsto dal testo del TUE esclusivamente nel pilastro della politica estera e di sicurezza comune PESC . Ciò rispecchia probabilmente la volontà dei governi degli Stati membri di riservarsi la possibilità di continuare a porre un “veto” all’adozione degli atti in materia penale, nonostante l’abbandono della regola dell’unanimità e la previsione del più democratico strumento della procedura legislativa ordinaria. Sembra, quindi, profilarsi nel TFUE il tentativo di conciliare il metodo comunitario con tecniche legislative tipicamente riconducibili alla forma più radicale del metodo intergovernativo quale è quello che caratterizza per l’appunto la cooperazione nella politica estera e di sicurezza comune dell’Unione.

Profili di "comunitarizzazione" del terzo pilastro / Savy, Daniela. - STAMPA. - 12:(2009), pp. 95-120.

Profili di "comunitarizzazione" del terzo pilastro

SAVY, DANIELA
2009

Abstract

Nell'articolo, licenziato prima dell'entrata in vigore del trattato di Lisbona, si procede all'analisi della politica dell'Unione europea in materia penale. In una prima parte si considera l'esigenza da cui nasce la cooperazione penale tra gli Stati membri che è strettamente connessa alla piena realizzazione delle libertà nel mercato unico che, in qualche modo, possono favorire la circolazione senza controllo dei fenomeni criminali. Tale forma di cooperazione nasce come cooperazione "intergovernativa" con il Trattato sull'Unione europea stipulato a Maastricht nel 1993, nell'ambito del terzo pilastro dell'Unione, tuttavia, ingerenze nella materia penale da parte della Comunità, proprio in quanto settore collegato al mercato interno, si rinvengono già in atti normativi relativi alla libera circolazione delle persone, quindi nel primo pilastro. A tal proposito si analizza la giurisprudenza della Corte di giustizia in tema di reati ambientali, Commissione c. Consiglio, sentenza 13 settembre 2005, causa C-176/03, in cui la Corte annulla una decisione quadro e riconosce la competenza in materia penale nel primo pilastro comunitario ma solo in via funzionale alla realizzazione di una politica comunitaria, nel caso di specie, in materia ambientale. In una successiva sentenza, Commissione c. Consiglio, 27 ottobre 2007, causa C-440/05, la Corte riconosce nuovamente la competenza penale del primo pilastro in quanto funzionale alla realizzazione di una politica comunitaria, ma precisa che è interdetto alle istituzioni UE lo stabilire il tipo e l'entità delle sanzioni penali poiché tale competenza resta una prerogativa degli Stati membri. Nella seconda parte del lavoro oggetto d'esame è la progressiva "comunitarizzazione" del settore penale. Tale fenomeno, ante Lisbona, si è realizzato attraverso il riconoscimento da parte della Corte di giustizia dell'operatività nel terzo pilastro di principi comunitari quali l'obbligo di leale cooperazione e d'interpretazione conforme nella nota sentenza Pupino del 16 giugno 2005, causa C- 105/03. Si analizza, quindi, l'impatto che tale esportazione di principi dal primo al terzo pilastro ha sull'ordinamento interno. Infine, si procede ad una breve disamina delle prospettive delineate dal Trattato di Lisbona (all'epoca non ancora in vigore ma già redatto nella sua versione definitiva) che attraverso l'abolizione dei pilastri dell'Unione colloca la cooperazione penale nel più ampio spazio di libertà sicurezza e giustizia del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea, insieme alla cooperazione civile. Si realizza l’estensione del metodo comunitario alla cooperazione penale, tuttavia, nelle disposizioni relative alla materia penale si inserisce un meccanismo tipico della cooperazione intergovernativa (il “freno d’emergenza” nella procedura di formazione degli atti), previsto dal testo del TUE esclusivamente nel pilastro della politica estera e di sicurezza comune PESC . Ciò rispecchia probabilmente la volontà dei governi degli Stati membri di riservarsi la possibilità di continuare a porre un “veto” all’adozione degli atti in materia penale, nonostante l’abbandono della regola dell’unanimità e la previsione del più democratico strumento della procedura legislativa ordinaria. Sembra, quindi, profilarsi nel TFUE il tentativo di conciliare il metodo comunitario con tecniche legislative tipicamente riconducibili alla forma più radicale del metodo intergovernativo quale è quello che caratterizza per l’appunto la cooperazione nella politica estera e di sicurezza comune dell’Unione.
2009
9788863421071
Profili di "comunitarizzazione" del terzo pilastro / Savy, Daniela. - STAMPA. - 12:(2009), pp. 95-120.
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