Grande interesse hanno suscitato, sin dall’età classica, quelle testimonianze architettoniche fatte di “scavi”, siti in cui si è costruito e modellato la superficie terrestre invece che occuparla. Si pensi ai misteriosi ed affascinanti templi ellenistici di Petra in Giordania; ai bastioni, al castello ed alle case della città di Les Baux-en-Provence, ricavata in gran parte nella montagna calcarea sulla quale sorge; ai coni di Göreme, in Cappadocia, risultato di un’abile collaborazione tra la natura e l’essere umano in cui l’uomo ha pazientemente e tenacemente lavorato la materia e la forma realizzando ambienti di abitazione a diversi livelli in formazioni vulcaniche dove la fantasiosa azione di erosione dell’acqua e del vento ha reso unica la famosa valle della regione dell’Anatolia disseminata da enormi funghi di pietra chiamati “camini delle fate”. La già citata città di Petra presenta delle analogie con una testimonianza di architettura ipogea in territorio lucano: i Sassi di Matera. Analogie che possono essere riscontrate nel nome, visto che in entrambi i casi si rimanda alla comune origine rupestre, ma anche ai metodi di coltivazione praticati, agli ingegnosi sistemi idraulici e alle tecniche di scavo adottate. Si tratta di luoghi edificati <<per forza di levare>>, dove il costruito si sovrappone allo scavato e alle cavità naturali, e a strade, scale, rampe è assegnato il doppio ruolo di collegamento e di copertura degli alloggi sottostanti. B.Zevi definirà organico l’habitat di Matera, dove non esiste una dissociazione tra edifici e percorsi e dove tutte le parti compongono un discorso continuo. Solo apparentemente l’aggregato urbano risulta frutto di una caotica architettura spontanea, come la definirebbe Bernard Rudofsky, di un’architettura senza architetti, ma dove sapientemente venivano progettati sistemi di captazione della luce e delle acque.

L’architettura per sottrazione / Palomba, Daniela. - STAMPA. - (2008), pp. 102-103.

L’architettura per sottrazione

PALOMBA, DANIELA
2008

Abstract

Grande interesse hanno suscitato, sin dall’età classica, quelle testimonianze architettoniche fatte di “scavi”, siti in cui si è costruito e modellato la superficie terrestre invece che occuparla. Si pensi ai misteriosi ed affascinanti templi ellenistici di Petra in Giordania; ai bastioni, al castello ed alle case della città di Les Baux-en-Provence, ricavata in gran parte nella montagna calcarea sulla quale sorge; ai coni di Göreme, in Cappadocia, risultato di un’abile collaborazione tra la natura e l’essere umano in cui l’uomo ha pazientemente e tenacemente lavorato la materia e la forma realizzando ambienti di abitazione a diversi livelli in formazioni vulcaniche dove la fantasiosa azione di erosione dell’acqua e del vento ha reso unica la famosa valle della regione dell’Anatolia disseminata da enormi funghi di pietra chiamati “camini delle fate”. La già citata città di Petra presenta delle analogie con una testimonianza di architettura ipogea in territorio lucano: i Sassi di Matera. Analogie che possono essere riscontrate nel nome, visto che in entrambi i casi si rimanda alla comune origine rupestre, ma anche ai metodi di coltivazione praticati, agli ingegnosi sistemi idraulici e alle tecniche di scavo adottate. Si tratta di luoghi edificati <>, dove il costruito si sovrappone allo scavato e alle cavità naturali, e a strade, scale, rampe è assegnato il doppio ruolo di collegamento e di copertura degli alloggi sottostanti. B.Zevi definirà organico l’habitat di Matera, dove non esiste una dissociazione tra edifici e percorsi e dove tutte le parti compongono un discorso continuo. Solo apparentemente l’aggregato urbano risulta frutto di una caotica architettura spontanea, come la definirebbe Bernard Rudofsky, di un’architettura senza architetti, ma dove sapientemente venivano progettati sistemi di captazione della luce e delle acque.
2008
9788856803723
L’architettura per sottrazione / Palomba, Daniela. - STAMPA. - (2008), pp. 102-103.
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