La rete di metafore che attraversa la scrittura di Mazzacurati si è, nel tempo, infittita, occupando sulla pagina spazi sempre più vasti: sintomo di una fiducia profonda in questa figura del discorso che, dall’intrico acerbo dei primi percorsi ermeneutici fino alle nitide ed eleganti note dei commenti finali, rende sempre più consistente il suo potere cognitivo e la sua facoltà di penetrare negli interstizi dei testi. Se sceglie di servirsi di una metafora è perché attraverso di essa possa delinearsi uno scenario più complesso, uno di quei vasti orizzonti che, improvvisi e soprendenti, si aprono nelle sue pagine: quadri eccezionalmente allargati per cogliere le zone di transizione, i mutamenti impercettibili, le costanti sotterranee che sfuggono ai tagli netti delle più rigide storie letterarie. E’ una prerogativa di Mazzacurati conservare il suo acume e la sua profondità di lettore, anzi acutizzare la forza di penetrazione del suo sguardo, mentre dilata e complica il campo d’analisi. Una sorta di grandangolo che quanto più si apre e spinge i confini dell’inquadratura oltre i limiti consueti - al punto che i metodi tradizionali si intrecciano con quelli di altre discipline - tanto più riesce a mettere a fuoco i fenomeni che racchiude. Se è vero che la metafora è una malattia della scrittura, anche lo strumento critico di Mazzacurati finisce irrimediabilmente con l’infettarsi, col diventare simile ai flussi narrativi che descrive, con l’assumere la struttura aperta e problematica delle opere che incontra. Rinunciando alle formule definitive e ai quadri univoci e sereni, le sue descrizioni si caricano di ambiguità, di incrinature, di contraddizioni irrisolte. Eppure, questo sguardo obliquo, quasi defilato - davvero ‘eretico’ - riesce a recuperare frammenti fino a quel momento trascurati dalle ottiche frontali e dalle analisi fondate sull’esattezza delle proprie strumentazioni; oppure a collegare fenomeni lontanissimi che messi insieme fanno ripartire i meccanismi invisibili delle vicende formali. Insomma, riesce a fare, anche su terreni ormai lisi, scoperte folgoranti. E allora è un bene che la sua scrittura critica si sia ammalata di metafore e che mai ne sia guarita. Tra le tante cose, sarebbe rimasto invisibile un sottile filo di ragno che pende improvviso nelle pagine de L’esclusa. Una volta posto davanti agli occhi, la lettura di questo romanzo non può essere più la stessa. È il gesto di un grande critico che lo illumina, non certo di una luce olimpica, ma di un bagliore circoscritto e anche un po’ sinistro: porta con sé un’ombra, necessaria per poter tornare a vedere.

La via lunga della metafora / Acocella, Silvia. - In: STUDI (E TESTI) ITALIANI. - ISSN 1724-3653. - STAMPA. - «Studi (e testi) italiani», Roma, Bulzoni, 2002:(2002), pp. 21-44.

La via lunga della metafora

ACOCELLA, SILVIA
2002

Abstract

La rete di metafore che attraversa la scrittura di Mazzacurati si è, nel tempo, infittita, occupando sulla pagina spazi sempre più vasti: sintomo di una fiducia profonda in questa figura del discorso che, dall’intrico acerbo dei primi percorsi ermeneutici fino alle nitide ed eleganti note dei commenti finali, rende sempre più consistente il suo potere cognitivo e la sua facoltà di penetrare negli interstizi dei testi. Se sceglie di servirsi di una metafora è perché attraverso di essa possa delinearsi uno scenario più complesso, uno di quei vasti orizzonti che, improvvisi e soprendenti, si aprono nelle sue pagine: quadri eccezionalmente allargati per cogliere le zone di transizione, i mutamenti impercettibili, le costanti sotterranee che sfuggono ai tagli netti delle più rigide storie letterarie. E’ una prerogativa di Mazzacurati conservare il suo acume e la sua profondità di lettore, anzi acutizzare la forza di penetrazione del suo sguardo, mentre dilata e complica il campo d’analisi. Una sorta di grandangolo che quanto più si apre e spinge i confini dell’inquadratura oltre i limiti consueti - al punto che i metodi tradizionali si intrecciano con quelli di altre discipline - tanto più riesce a mettere a fuoco i fenomeni che racchiude. Se è vero che la metafora è una malattia della scrittura, anche lo strumento critico di Mazzacurati finisce irrimediabilmente con l’infettarsi, col diventare simile ai flussi narrativi che descrive, con l’assumere la struttura aperta e problematica delle opere che incontra. Rinunciando alle formule definitive e ai quadri univoci e sereni, le sue descrizioni si caricano di ambiguità, di incrinature, di contraddizioni irrisolte. Eppure, questo sguardo obliquo, quasi defilato - davvero ‘eretico’ - riesce a recuperare frammenti fino a quel momento trascurati dalle ottiche frontali e dalle analisi fondate sull’esattezza delle proprie strumentazioni; oppure a collegare fenomeni lontanissimi che messi insieme fanno ripartire i meccanismi invisibili delle vicende formali. Insomma, riesce a fare, anche su terreni ormai lisi, scoperte folgoranti. E allora è un bene che la sua scrittura critica si sia ammalata di metafore e che mai ne sia guarita. Tra le tante cose, sarebbe rimasto invisibile un sottile filo di ragno che pende improvviso nelle pagine de L’esclusa. Una volta posto davanti agli occhi, la lettura di questo romanzo non può essere più la stessa. È il gesto di un grande critico che lo illumina, non certo di una luce olimpica, ma di un bagliore circoscritto e anche un po’ sinistro: porta con sé un’ombra, necessaria per poter tornare a vedere.
2002
La via lunga della metafora / Acocella, Silvia. - In: STUDI (E TESTI) ITALIANI. - ISSN 1724-3653. - STAMPA. - «Studi (e testi) italiani», Roma, Bulzoni, 2002:(2002), pp. 21-44.
File in questo prodotto:
Non ci sono file associati a questo prodotto.

I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.

Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/11588/313878
Citazioni
  • ???jsp.display-item.citation.pmc??? ND
  • Scopus ND
  • ???jsp.display-item.citation.isi??? ND
social impact