La ricerca di Orfina Fatigato si occupa del vuoto interpretandolo come uno dei “materiali” della composizione urbana: il punto di partenza del suo lavoro è che l’architettura della città è anche l’architettura dei suoi vuoti, dei suoi spazi vuoti. Pienamente interna alla riflessione sulla composizione urbana, la tesi rappresenta un interessante e utile contributo teorico e sperimentale su un tema di particolare complessità. Il dialogo a distanza istituito, nella prima parte della tesi, tra Foucault e Giedion, non ha alcuna ambizione di ricostruire filologicamente l’evoluzione delle forme e delle figure del vuoto come elementi fondanti dell’architettura della città. Serve piuttosto ad articolare sinteticamente il punto di partenza raccontando in che modo gli spazi vuoti – riflessi dei concetti di spazio foucaultiani - determinano e rappresentano concretamente le “idee di città”. E soprattutto serve a segnalare l’ambito fisico e temporale della ricerca. Nello spazio della dislocazione - in cui molti vuoti appaiono come frammenti dispersi di quello spazio generico che ospita, indifferente, le forme della città post-moderna - il vuoto può ancora essere spazio architettonico? può ancora avere misura e essere figura? Lo sguardo si concentra sulla città contemporanea, sulla natura composita dei suoi vuoti, dislocati nel suo spazio stratificato. Di molti di questi è ancora riconoscibile l’architettura, è ancora possibile operare una classificazione all’interno di categorie storicamente consolidate dal punto di vista tipologico e morfologico; alcuni sono riconoscibili come pure “distanze”, ma è ancora possibile leggerne le geometrie, o almeno le misure, seppure in una dimensione solo quantitativa. Altri, sempre più numerosi, interstizi o intervalli tra parti dense della città, invece, non hanno figura, non hanno misura, sembrano poter appartenere solo alla categoria dell’informe. La tesi sa interpretare in modo originale la natura di questi spazi, ragionando da un lato sulla loro posizione nella città e dall’altro sulla individuazione e sulla dis-posizione delle loro parti elementari. Rispetto a questa finalità il punto di partenza e il punto di arrivo della tesi si sovrappongono virtuosamente in un movimento a spirale. Il punto di partenza – legato anche alla strutturazione in fasi dell’andamento del triennio che prevede una sequenza di “esercizi” di ricerca – è la lettura morfologica di un piazzale, luogo centrale del quartiere di Fuorigrotta, nell’area occidentale della città di Napoli. Il punto di arrivo - da cui sarebbe possibile ripartire - è la individuazione del piazzale come “paradigma” del sistema dei vuoti della città contemporanea, l’ultimo cui l’architettura e l’urbanistica abbiano dato un nome, il punto di congiunzione tra gli spazi formalizzati della città della storia e quelli apparentemente informi della città contemporanea. Del piazzale viene segnalata la condizione di “intervallo insediativo”, di pausa o di bordo interno tra parti dense; la dimensione “geografica”; il carattere di spazio infrastrutturale; la natura composita del suo spazio smisurato, fondata sulle relazioni incrociate tra gli elementi che, in modo discontinuo, lo bordano o lo occupano. In mezzo c’è l’interessante invenzione di alcuni “concetti spaziali” utili alla individuazione di spazi elementari leggibili come connotazioni specifiche del concetto generico di distanza: spazio della centralità (fondato su una relazione di convergenza), spazio della connessione (su una relazione di proiezione), spazio del bordo (su una relazione di tangenza), spazio dell’aura (su una relazione di irradiamento) sono alcuni dei modi per sottrarre i vuoti contemporanei alla generica condizione di spazio tra le cose, e per rendere interessante la loro generica natura di distanza. Sulla natura di questi concetti (sostenuta da una selezione di esempi e applicata alla accurata lettura di due progetti di Gianugo Polesello) che consentono di scomporre il continuum spaziale del piazzale in parti elementari ma anche di decrittare - almeno un po’ - la struttura di altri tipi di vuoti informi, la tesi si sofferma nel capitolo centrale, che tratta il vuoto come materiale della composizione urbana. La struttura complessa delle argomentazioni si scioglie nella convincente lettura progettuale del vuoto di piazzale Tecchio. L’architettura della tesi sembra riflettere quella degli spazi di cui si occupa. Nella smisurata e potenzialmente informe dimensione del tema trattato, la ricerca si muove con agilità e originalità, costruendo lo studio dell’“esempio” come una vera prova sperimentale; - la natura dell’esempio porta a individuare e approfondire alcune questioni teoriche; - la sua concretezza di materiale urbano ne verifica le potenzialità conoscitive; - la volontà di raccontare la natura composita e stratificata dell’esempio porta a ri-comporre quelle diverse questioni in una figura composita ma unitaria; - quella figura, con le sue possibili declinazioni, si delinea come una “memoria di forma” disponibile per leggere una classe di spazi analoghi, i molti altri differenti vuoti che la città contemporanea ha chiamato “piazzali”.

La “consistenza” del vuoto. Ri-conoscere e ri-comporre i vuoti della città / Amirante, Roberta. - (2007).

La “consistenza” del vuoto. Ri-conoscere e ri-comporre i vuoti della città.

AMIRANTE, ROBERTA
2007

Abstract

La ricerca di Orfina Fatigato si occupa del vuoto interpretandolo come uno dei “materiali” della composizione urbana: il punto di partenza del suo lavoro è che l’architettura della città è anche l’architettura dei suoi vuoti, dei suoi spazi vuoti. Pienamente interna alla riflessione sulla composizione urbana, la tesi rappresenta un interessante e utile contributo teorico e sperimentale su un tema di particolare complessità. Il dialogo a distanza istituito, nella prima parte della tesi, tra Foucault e Giedion, non ha alcuna ambizione di ricostruire filologicamente l’evoluzione delle forme e delle figure del vuoto come elementi fondanti dell’architettura della città. Serve piuttosto ad articolare sinteticamente il punto di partenza raccontando in che modo gli spazi vuoti – riflessi dei concetti di spazio foucaultiani - determinano e rappresentano concretamente le “idee di città”. E soprattutto serve a segnalare l’ambito fisico e temporale della ricerca. Nello spazio della dislocazione - in cui molti vuoti appaiono come frammenti dispersi di quello spazio generico che ospita, indifferente, le forme della città post-moderna - il vuoto può ancora essere spazio architettonico? può ancora avere misura e essere figura? Lo sguardo si concentra sulla città contemporanea, sulla natura composita dei suoi vuoti, dislocati nel suo spazio stratificato. Di molti di questi è ancora riconoscibile l’architettura, è ancora possibile operare una classificazione all’interno di categorie storicamente consolidate dal punto di vista tipologico e morfologico; alcuni sono riconoscibili come pure “distanze”, ma è ancora possibile leggerne le geometrie, o almeno le misure, seppure in una dimensione solo quantitativa. Altri, sempre più numerosi, interstizi o intervalli tra parti dense della città, invece, non hanno figura, non hanno misura, sembrano poter appartenere solo alla categoria dell’informe. La tesi sa interpretare in modo originale la natura di questi spazi, ragionando da un lato sulla loro posizione nella città e dall’altro sulla individuazione e sulla dis-posizione delle loro parti elementari. Rispetto a questa finalità il punto di partenza e il punto di arrivo della tesi si sovrappongono virtuosamente in un movimento a spirale. Il punto di partenza – legato anche alla strutturazione in fasi dell’andamento del triennio che prevede una sequenza di “esercizi” di ricerca – è la lettura morfologica di un piazzale, luogo centrale del quartiere di Fuorigrotta, nell’area occidentale della città di Napoli. Il punto di arrivo - da cui sarebbe possibile ripartire - è la individuazione del piazzale come “paradigma” del sistema dei vuoti della città contemporanea, l’ultimo cui l’architettura e l’urbanistica abbiano dato un nome, il punto di congiunzione tra gli spazi formalizzati della città della storia e quelli apparentemente informi della città contemporanea. Del piazzale viene segnalata la condizione di “intervallo insediativo”, di pausa o di bordo interno tra parti dense; la dimensione “geografica”; il carattere di spazio infrastrutturale; la natura composita del suo spazio smisurato, fondata sulle relazioni incrociate tra gli elementi che, in modo discontinuo, lo bordano o lo occupano. In mezzo c’è l’interessante invenzione di alcuni “concetti spaziali” utili alla individuazione di spazi elementari leggibili come connotazioni specifiche del concetto generico di distanza: spazio della centralità (fondato su una relazione di convergenza), spazio della connessione (su una relazione di proiezione), spazio del bordo (su una relazione di tangenza), spazio dell’aura (su una relazione di irradiamento) sono alcuni dei modi per sottrarre i vuoti contemporanei alla generica condizione di spazio tra le cose, e per rendere interessante la loro generica natura di distanza. Sulla natura di questi concetti (sostenuta da una selezione di esempi e applicata alla accurata lettura di due progetti di Gianugo Polesello) che consentono di scomporre il continuum spaziale del piazzale in parti elementari ma anche di decrittare - almeno un po’ - la struttura di altri tipi di vuoti informi, la tesi si sofferma nel capitolo centrale, che tratta il vuoto come materiale della composizione urbana. La struttura complessa delle argomentazioni si scioglie nella convincente lettura progettuale del vuoto di piazzale Tecchio. L’architettura della tesi sembra riflettere quella degli spazi di cui si occupa. Nella smisurata e potenzialmente informe dimensione del tema trattato, la ricerca si muove con agilità e originalità, costruendo lo studio dell’“esempio” come una vera prova sperimentale; - la natura dell’esempio porta a individuare e approfondire alcune questioni teoriche; - la sua concretezza di materiale urbano ne verifica le potenzialità conoscitive; - la volontà di raccontare la natura composita e stratificata dell’esempio porta a ri-comporre quelle diverse questioni in una figura composita ma unitaria; - quella figura, con le sue possibili declinazioni, si delinea come una “memoria di forma” disponibile per leggere una classe di spazi analoghi, i molti altri differenti vuoti che la città contemporanea ha chiamato “piazzali”.
2007
La “consistenza” del vuoto. Ri-conoscere e ri-comporre i vuoti della città / Amirante, Roberta. - (2007).
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