L'architettura italiana è sempre stata caratterizzata dalla ‘necessità di una teoria’(Gregotti, 1983) e profondamente segnata della tradizione culturale del Bel Paese. Questa specificità ha, da sempre, generato una sostanziale divergenza di significato tra i movimenti nati all'estero e la loro ‘traduzione’ in Italia. Così come l'architettura moderna italiana, a differenza di quella d'Oltralpe, ha rifiutato in sostanza il concetto di "tabula rasa", anche l'architettura radicale di gruppi come Superstudio, Archizoom e, in generale, i Global Tools si distingue profondamente da esperienze analoghe e contemporanee in Europa, come quelle degli Archigram o dei Metabolisti. L'articolo prende avvio da una rilettura critica dei movimenti radicali italiani, cercando di ricostruirne la specificità e l'apporto teorico. Prosegue poi con un'analisi delle ragioni per cui assistiamo oggi a un revival di quella stagione e di come tali movimenti furono accolti dalla critica contemporanea. Nemo propheta in patria verrebbe da dire: gli architetti radicali italiani, infatti, furono spesso considerati dalla critica italiana, nella migliore delle ipotesi ,dei provocatori o, nella peggiore, figure marginali che, non volendo impegnarsi in un cambiamento reale, si rifugiavano nell'utopia. Tra i pochi che compresero l'importanza e il potenziale dell'architettura radicale vi è sicuramente Rem Koolhaas. Attraverso un'analisi critica delle numerose connessioni tra la ricerca di Archizoom e Superstudio e l'attività teorica e progettuale dell'architetto olandese, il paper cerca di evidenziare il valore scientifico di quell'esperienza, la sua attualità e la possibilità che essa possa rappresentare l'inizio di una nuova e più efficace stagione di risposta alla crisi.
The Italians do it better! A contemporary interpretation of the radical movement / Scala, P.. - In: UOU JOURNAL. - ISSN 2697-1518. - 8(2024), pp. 34-41. [10.14198/UOU.2024.8]
The Italians do it better! A contemporary interpretation of the radical movement
Scala P.
2024
Abstract
L'architettura italiana è sempre stata caratterizzata dalla ‘necessità di una teoria’(Gregotti, 1983) e profondamente segnata della tradizione culturale del Bel Paese. Questa specificità ha, da sempre, generato una sostanziale divergenza di significato tra i movimenti nati all'estero e la loro ‘traduzione’ in Italia. Così come l'architettura moderna italiana, a differenza di quella d'Oltralpe, ha rifiutato in sostanza il concetto di "tabula rasa", anche l'architettura radicale di gruppi come Superstudio, Archizoom e, in generale, i Global Tools si distingue profondamente da esperienze analoghe e contemporanee in Europa, come quelle degli Archigram o dei Metabolisti. L'articolo prende avvio da una rilettura critica dei movimenti radicali italiani, cercando di ricostruirne la specificità e l'apporto teorico. Prosegue poi con un'analisi delle ragioni per cui assistiamo oggi a un revival di quella stagione e di come tali movimenti furono accolti dalla critica contemporanea. Nemo propheta in patria verrebbe da dire: gli architetti radicali italiani, infatti, furono spesso considerati dalla critica italiana, nella migliore delle ipotesi ,dei provocatori o, nella peggiore, figure marginali che, non volendo impegnarsi in un cambiamento reale, si rifugiavano nell'utopia. Tra i pochi che compresero l'importanza e il potenziale dell'architettura radicale vi è sicuramente Rem Koolhaas. Attraverso un'analisi critica delle numerose connessioni tra la ricerca di Archizoom e Superstudio e l'attività teorica e progettuale dell'architetto olandese, il paper cerca di evidenziare il valore scientifico di quell'esperienza, la sua attualità e la possibilità che essa possa rappresentare l'inizio di una nuova e più efficace stagione di risposta alla crisi.| File | Dimensione | Formato | |
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