Dimensioni temporali e spaziali nella penalità esecutiva: una mappa concettuale per un ripensamento del penitenziario

Le pur importanti innovazioni del sistema penitenziario intervenute negli ultimi anni – espressione di una sensibilità giuridica sempre più consapevole della necessità di evitare che il carcere sia ridotto a diventare un mero strumento per neutralizzare e contenere il disagio sociale e i fattori criminogeni causati dal fallimento di politiche inclusive – hanno trovato in realtà scarsa attuazione a causa delle insufficienti risorse concretamente investite, del permanere del sovraffollamento carcerario rispetto alla capienza regolare e della persistenza di una deleteria condizione carceraria che di fatto è contrassegnata dal problema dell’espropriazione individuale del tempo e della colonizzazione di ogni spazio dell’esistenza dei reclusi. Il tempo nel penitenziario non può però essere eterogestito in una successione di orari fissi, attimi uguali inesorabilmente scanditi dal ritmo dell’articolazione normativa dell’istituzione carceraria, indipendente dagli accadimenti che ne compongono i contenuti, senza costituire tempo alienato. Né l’inadeguata organizzazione dello spazio detentivo può strutturare uno strumento di assoggettamento al potere disciplinare. In realtà, infatti, una penalità esecutiva in linea con il dettato costituzionale non può prescindere dal garantire l’esperire esistenziale quadridimensionale del vivere di ciascun detenuto, sia pure condizionato da esigenze di sicurezza della custodia, in cui ciascun individuo portatore di un tempo proprio, specifico, diverso da quello degli altri uomini, interferendo col reale si apre e partecipa, in maniera unica, realizzandosi in continui relativi presenti e rendendo quindi possibili modalità di espiazione in cui la rieducazione prevalga sull’afflittività.