Il tentativo di razionalizzare l’esperienza compiuto da Stein nel 1893 e successivamente ripetuto dalla dottrina italiana; dunque, l’idea che sulla base dell’id quod plerumque accidit possano formularsi regole generali relative ad ogni sorta di accadimenti capaci, a loro volta, di attribuire forza logica al ragionamento sul fatto individuale, è chiaramente improponibile. Invero, la rispondenza di una versione dei fatti a schemi generalizzati, non solo non ne avvalora l’attendibilità né la veridicità rispetto ad altre ma, soprattutto, non può sostituire, declassandoli, i saperi legali come strumenti privilegiati della decisione. Lo dimostra il combinato disposto degli artt. 27, 2° co., Cost., 526, co. 1; 533, co. 1, c.p.p., escludendo che le massime d’esperienza possano fungere da premesse generali ed indipendenti del ragionamento giudiziale. Allo stesso tempo, però, l’art. 192, co. 1, c.p.p. le codifica. L’una e l’altro dimostrano che la funzione delle massime d’esperienza nel giudizio di fatto è influenzata dall’impianto processuale e con questo deve trovare sintesi. Perciò si indaga la loro legittimazione in un modello il cui l’enunciato è posto dall’art. 417, lett. b), c.p.p. che, nella qualità di regola di comportamento, indica al pubblico ministero il linguaggio con il quale tradurre il fatto storico in fatto normativo, laddove il modulo è rappresentato dalla linea normativa degli artt. 187, 190, 416 ss., 521, 526, 192, c.p.p., che costruisce il rapporto tra imputazione e prova sugli enunciati sostanziali e processuali del fatto, descrivendo le condizioni strutturali e funzionali del convincimento del giudice e le forme legali dell’accertamento. Partendo da questi dati, è possibile ricostruire il sistema dell’esperienza nel suo rapporto con il giudizio di fatto.

Sulla epistemologia esperienziale / Falato, F.. - In: LA GIUSTIZIA PENALE. - ISSN 1971-4998. - settembre-ottobre(2021), pp. 305-320.

Sulla epistemologia esperienziale.

F. Falato
2021

Abstract

Il tentativo di razionalizzare l’esperienza compiuto da Stein nel 1893 e successivamente ripetuto dalla dottrina italiana; dunque, l’idea che sulla base dell’id quod plerumque accidit possano formularsi regole generali relative ad ogni sorta di accadimenti capaci, a loro volta, di attribuire forza logica al ragionamento sul fatto individuale, è chiaramente improponibile. Invero, la rispondenza di una versione dei fatti a schemi generalizzati, non solo non ne avvalora l’attendibilità né la veridicità rispetto ad altre ma, soprattutto, non può sostituire, declassandoli, i saperi legali come strumenti privilegiati della decisione. Lo dimostra il combinato disposto degli artt. 27, 2° co., Cost., 526, co. 1; 533, co. 1, c.p.p., escludendo che le massime d’esperienza possano fungere da premesse generali ed indipendenti del ragionamento giudiziale. Allo stesso tempo, però, l’art. 192, co. 1, c.p.p. le codifica. L’una e l’altro dimostrano che la funzione delle massime d’esperienza nel giudizio di fatto è influenzata dall’impianto processuale e con questo deve trovare sintesi. Perciò si indaga la loro legittimazione in un modello il cui l’enunciato è posto dall’art. 417, lett. b), c.p.p. che, nella qualità di regola di comportamento, indica al pubblico ministero il linguaggio con il quale tradurre il fatto storico in fatto normativo, laddove il modulo è rappresentato dalla linea normativa degli artt. 187, 190, 416 ss., 521, 526, 192, c.p.p., che costruisce il rapporto tra imputazione e prova sugli enunciati sostanziali e processuali del fatto, descrivendo le condizioni strutturali e funzionali del convincimento del giudice e le forme legali dell’accertamento. Partendo da questi dati, è possibile ricostruire il sistema dell’esperienza nel suo rapporto con il giudizio di fatto.
2021
Sulla epistemologia esperienziale / Falato, F.. - In: LA GIUSTIZIA PENALE. - ISSN 1971-4998. - settembre-ottobre(2021), pp. 305-320.
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