Nel 1998 Mario Martone realizzava il suo film forse più sulfureo e incompreso, Teatro di guerra: dove configurava un “campo di forze” triangolare, fra le guerre fratricide messe in figura da Eschilo nei Sette contro Tebe, le tensioni politiche ed estetiche presenti nello sistema teatrale della nostra città e il conflitto nella ex-Jugoslavia. E lo faceva sposando una formula di docu-fiction, immaginando cioè quel che era vero: una compagnia lavora su quella tragedia antica nel corpo vivo e ferito di Napoli, in un teatro dei Quartieri Spagnoli, e deve fare i conti da un lato con la miseria e i disagi del territorio e della malavita organizzata, dall’altro con il ricatto dei teatri borghesi e sovvenzionati e vincenti. Certo, se si fosse trattato solo di questo, di un rispecchiamento identificativo fra l’antico e il quotidiano, l’opera di Martone avrebbe sofferto di quella autoreferenzialità grigia e intellettualistica che è stata così spesso rimproverata non solo al cosiddetto teatro d’impegno, ma a ogni avanguardia. E invece, quella compagnia e quel regista – a un tempo, oggetti e soggetti della pellicola – si mostrano irrequieti, sentono che la loro ricerca artistica può avere un senso se esce da se stessa e si affranca dalla gabbia del suo farsi: vorrebbero rap- presentare Eschilo a Sarajevo, perché è lì, e solo lì, che il teatro da loro praticato può acquistare quella potenza di cui la «nuova era» dei «tele-rumori» (come scriveva Vittorio Gassman in Tramandare, raccolta in Vocalizzi) l’ha depauperato. Il loro sogno, che è poi quello di un’arte come dono di sé, come giving present, sarà frustrato, ma non è ciò che importa di più: importa invece che il «teatro di guerra» immaginato da Martone si configuri come il luogo della re- stituzione delle arti della scena alla loro funzione primeva, che non può essere se non quella della rappresentazione del conflitto. Tutto il contrario di un be- njaminiano «museo immaginario» in cui depositare il tesoro del passato per tramandarlo, dichiarandolo a un tempo achevé e archivé.

Tempo pessimo per pensare / DE CRISTOFARO, Francesco Paolo. - (2016), pp. 5-12.

Tempo pessimo per pensare

DE CRISTOFARO, Francesco Paolo
2016

Abstract

Nel 1998 Mario Martone realizzava il suo film forse più sulfureo e incompreso, Teatro di guerra: dove configurava un “campo di forze” triangolare, fra le guerre fratricide messe in figura da Eschilo nei Sette contro Tebe, le tensioni politiche ed estetiche presenti nello sistema teatrale della nostra città e il conflitto nella ex-Jugoslavia. E lo faceva sposando una formula di docu-fiction, immaginando cioè quel che era vero: una compagnia lavora su quella tragedia antica nel corpo vivo e ferito di Napoli, in un teatro dei Quartieri Spagnoli, e deve fare i conti da un lato con la miseria e i disagi del territorio e della malavita organizzata, dall’altro con il ricatto dei teatri borghesi e sovvenzionati e vincenti. Certo, se si fosse trattato solo di questo, di un rispecchiamento identificativo fra l’antico e il quotidiano, l’opera di Martone avrebbe sofferto di quella autoreferenzialità grigia e intellettualistica che è stata così spesso rimproverata non solo al cosiddetto teatro d’impegno, ma a ogni avanguardia. E invece, quella compagnia e quel regista – a un tempo, oggetti e soggetti della pellicola – si mostrano irrequieti, sentono che la loro ricerca artistica può avere un senso se esce da se stessa e si affranca dalla gabbia del suo farsi: vorrebbero rap- presentare Eschilo a Sarajevo, perché è lì, e solo lì, che il teatro da loro praticato può acquistare quella potenza di cui la «nuova era» dei «tele-rumori» (come scriveva Vittorio Gassman in Tramandare, raccolta in Vocalizzi) l’ha depauperato. Il loro sogno, che è poi quello di un’arte come dono di sé, come giving present, sarà frustrato, ma non è ciò che importa di più: importa invece che il «teatro di guerra» immaginato da Martone si configuri come il luogo della re- stituzione delle arti della scena alla loro funzione primeva, che non può essere se non quella della rappresentazione del conflitto. Tutto il contrario di un be- njaminiano «museo immaginario» in cui depositare il tesoro del passato per tramandarlo, dichiarandolo a un tempo achevé e archivé.
2016
9788868661885
Tempo pessimo per pensare / DE CRISTOFARO, Francesco Paolo. - (2016), pp. 5-12.
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