Il volume raccoglie alcuni saggi - tutti pubblicati tra il 2011 e il 2014 - il cui filo conduttore è l’interesse altissimo che Platone nutrì per le parole. È possibile spiegare tale interesse partendo da un’interpretazione del noto passo del Fedro in cui il filosofo pronuncia la sua critica della scrittura. Si era nel tempo in cui la giovane invenzione della scrittura andava generando negli uomini l’illusione che possedere un libro fosse come possedere una sapienza trasmessa dalla scrittura. Tale illusione era nutrita dall’idea di origine arcaica che le parole potessero veicolare il senso dei loro referenti reali al punto che, possedere le parole, e possederle ora con quella illusione di manenza che conferisce loro la scrittura, fosse come possedere le cose, fosse dunque come un sapere, un potere, sul mondo. Questa idea e l’illusione che questa idea nutre sono il bersaglio polemico del passo del Fedro: quando si affida la sapienza alla scrittura, dice Thamus, ciò che si crea non è un apprendimento, ma un’immagine di apprendimento. Ma - ed è questo il nodo - c’è qualcosa di simile alla scrittura come il vivente è simile al suo ritratto: i discorsi del maestro che sa, e che semina nell’anima dell’allievo vere sementi di conoscenza. In questa prospettiva, allora, i Dialoghi altro non sono che un’immagine di tali discorsi, di tale parola vivente, alla quale Platone dedicò ogni cura. Tale cura ha generato nei suoi allievi, e negli allievi dei suoi allievi, in due millenni di platonismo, infiniti discorsi capaci di trasferirsi nell’anima degli uomini e di portarvi quella felicità che è possibile agli umani esperire. Ecco di che cosa trattano i saggi raccolti in questo volume: dell’arte platonica, messa in scena nei Dialoghi, di cercare la verità, e la felicità, attraverso le parole. Sorta di vetrine dell’anima, le parole mostrano la natura linguistica della psyche. Simile ad un libro, simile ad un teatro, l’anima, luogo proprio delle parole, sta lì, nei Dialoghi, a testimoniare come la verità, senza la verbalità, sarebbe priva di ogni accesso all’espressione. Se la verità, infatti, per Platone, sfugge la visibilità dell’empirico per abitare l’invisibile mondo del linguaggio è perché esiste una speciale forma di visibilità che è conferita soltanto dalle parole, quella che esse dischiudono quando, rigorosamente usate, mostrano la vera natura degli enti.

Verba manent. Su Platone e il linguaggio / Palumbo, Lidia. - Ι:(2014).

Verba manent. Su Platone e il linguaggio

PALUMBO, LIDIA
2014

Abstract

Il volume raccoglie alcuni saggi - tutti pubblicati tra il 2011 e il 2014 - il cui filo conduttore è l’interesse altissimo che Platone nutrì per le parole. È possibile spiegare tale interesse partendo da un’interpretazione del noto passo del Fedro in cui il filosofo pronuncia la sua critica della scrittura. Si era nel tempo in cui la giovane invenzione della scrittura andava generando negli uomini l’illusione che possedere un libro fosse come possedere una sapienza trasmessa dalla scrittura. Tale illusione era nutrita dall’idea di origine arcaica che le parole potessero veicolare il senso dei loro referenti reali al punto che, possedere le parole, e possederle ora con quella illusione di manenza che conferisce loro la scrittura, fosse come possedere le cose, fosse dunque come un sapere, un potere, sul mondo. Questa idea e l’illusione che questa idea nutre sono il bersaglio polemico del passo del Fedro: quando si affida la sapienza alla scrittura, dice Thamus, ciò che si crea non è un apprendimento, ma un’immagine di apprendimento. Ma - ed è questo il nodo - c’è qualcosa di simile alla scrittura come il vivente è simile al suo ritratto: i discorsi del maestro che sa, e che semina nell’anima dell’allievo vere sementi di conoscenza. In questa prospettiva, allora, i Dialoghi altro non sono che un’immagine di tali discorsi, di tale parola vivente, alla quale Platone dedicò ogni cura. Tale cura ha generato nei suoi allievi, e negli allievi dei suoi allievi, in due millenni di platonismo, infiniti discorsi capaci di trasferirsi nell’anima degli uomini e di portarvi quella felicità che è possibile agli umani esperire. Ecco di che cosa trattano i saggi raccolti in questo volume: dell’arte platonica, messa in scena nei Dialoghi, di cercare la verità, e la felicità, attraverso le parole. Sorta di vetrine dell’anima, le parole mostrano la natura linguistica della psyche. Simile ad un libro, simile ad un teatro, l’anima, luogo proprio delle parole, sta lì, nei Dialoghi, a testimoniare come la verità, senza la verbalità, sarebbe priva di ogni accesso all’espressione. Se la verità, infatti, per Platone, sfugge la visibilità dell’empirico per abitare l’invisibile mondo del linguaggio è perché esiste una speciale forma di visibilità che è conferita soltanto dalle parole, quella che esse dischiudono quando, rigorosamente usate, mostrano la vera natura degli enti.
2014
9788894003772
Verba manent. Su Platone e il linguaggio / Palumbo, Lidia. - Ι:(2014).
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/11588/597161
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