Lo storico e antropologo Jean-Pierre Vernant, ne Le origini del pensiero greco, fa coincidere la nascita della età classica con «[…] una duplice e solidale innovazione: l’istituzione della città, la nascita di un pensiero razionale.» Da allora in poi - e per oltre duemila anni - nel mondo occidentale l’architettura è sempre stata rappresentazione dei valori civili, quindi condivisi, di un popolo, secondo un concetto di utilità che è ben oltre quello di funzionalità. Perché dunque siamo oggi a chiederci se l’architettura sia ancora un prodotto socialmente utile? Nel mondo contemporaneo la progressiva virtualizzazione, in ogni campo dell’arte e della vita umana in genere, si è spinta eccessivamente in avanti producendo spesso la smaterializzazione delle cose che da reali sono diventate immaginarie: l’economia, i valori, l’architettura, le città. In architettura - e non solo - l’ansia del ‘nuovo’ ad ogni costo ha sostituito una paziente costruzione del futuro: una categoria del mercato/marketing - il ‘nuovo’ appunto - ha soppiantato il concetto di futuro che appartiene invece, singolarmente, tanto alla politica quanto all’architettura. Ha scritto Vittorio Gregotti che «[…] il nesso tra pratica artistica e pensiero politico in quanto dottrina del dialogo sociale sembra essersi disciolto nell’incertezza. L’obiettivo di liberazione collettiva poteva non tener conto di quella personale con gravi danni di quest’ultima, ora la liberazione personale è diventata quasi sempre una competizione (se non una battaglia) contro quella collettiva.» Se dunque, nella società contemporanea, sono smarriti i valori, almeno quelli condivisi, verrebbe provocatoriamente da affermare che bisognerebbe smettere di fare architettura e, di conseguenza, anche di insegnarla. Ma forse c’è un’altra via: che sia proprio anche attraverso un ragionamento responsabile sull’architettura che si possa provare a ‘costruire’ dei valori che ancora rappresentino una collettività e possano quindi essere rappresentati attraverso l’architettura. Di fronte alla condizione contemporanea di immersione in quello che la psicologa Simona Argentieri ha definito «[…] una sorta di “blob” intellettuale, in cui tutto è reso equivalente e - in nome della democrazia culturale - viene di fatto invalidata la nostra capacità di capire e giudicare», l’università è la sede privilegiata dove tornare a parlare di costruzione della conoscenza, al livello più elevato possibile, e, in architettura, di una sua Teoria capace di produrre progetto: un progetto attraverso il quale possa avvenire il riconoscimento dei valori civili di una società e una Teoria che può passare solo attraverso la categoria del razionale perché è la ragione, e non la singola soggettività, ciò che, allo stesso tempo, distingue e unisce gli esseri umani.

Una difficile domanda cui è necessario trovare risposte / Visconti, Federica. - (2014), pp. 238-240. (Intervento presentato al convegno L’architettura è un prodotto socialmente utile?, Atti del 3°Forum del Coordinamento nazionale dei Docenti di Progettazione Architettonica ICAR 14/15/16 tenutosi a Torino nel 4-5 ottobre 2013).

Una difficile domanda cui è necessario trovare risposte

VISCONTI, FEDERICA
2014

Abstract

Lo storico e antropologo Jean-Pierre Vernant, ne Le origini del pensiero greco, fa coincidere la nascita della età classica con «[…] una duplice e solidale innovazione: l’istituzione della città, la nascita di un pensiero razionale.» Da allora in poi - e per oltre duemila anni - nel mondo occidentale l’architettura è sempre stata rappresentazione dei valori civili, quindi condivisi, di un popolo, secondo un concetto di utilità che è ben oltre quello di funzionalità. Perché dunque siamo oggi a chiederci se l’architettura sia ancora un prodotto socialmente utile? Nel mondo contemporaneo la progressiva virtualizzazione, in ogni campo dell’arte e della vita umana in genere, si è spinta eccessivamente in avanti producendo spesso la smaterializzazione delle cose che da reali sono diventate immaginarie: l’economia, i valori, l’architettura, le città. In architettura - e non solo - l’ansia del ‘nuovo’ ad ogni costo ha sostituito una paziente costruzione del futuro: una categoria del mercato/marketing - il ‘nuovo’ appunto - ha soppiantato il concetto di futuro che appartiene invece, singolarmente, tanto alla politica quanto all’architettura. Ha scritto Vittorio Gregotti che «[…] il nesso tra pratica artistica e pensiero politico in quanto dottrina del dialogo sociale sembra essersi disciolto nell’incertezza. L’obiettivo di liberazione collettiva poteva non tener conto di quella personale con gravi danni di quest’ultima, ora la liberazione personale è diventata quasi sempre una competizione (se non una battaglia) contro quella collettiva.» Se dunque, nella società contemporanea, sono smarriti i valori, almeno quelli condivisi, verrebbe provocatoriamente da affermare che bisognerebbe smettere di fare architettura e, di conseguenza, anche di insegnarla. Ma forse c’è un’altra via: che sia proprio anche attraverso un ragionamento responsabile sull’architettura che si possa provare a ‘costruire’ dei valori che ancora rappresentino una collettività e possano quindi essere rappresentati attraverso l’architettura. Di fronte alla condizione contemporanea di immersione in quello che la psicologa Simona Argentieri ha definito «[…] una sorta di “blob” intellettuale, in cui tutto è reso equivalente e - in nome della democrazia culturale - viene di fatto invalidata la nostra capacità di capire e giudicare», l’università è la sede privilegiata dove tornare a parlare di costruzione della conoscenza, al livello più elevato possibile, e, in architettura, di una sua Teoria capace di produrre progetto: un progetto attraverso il quale possa avvenire il riconoscimento dei valori civili di una società e una Teoria che può passare solo attraverso la categoria del razionale perché è la ragione, e non la singola soggettività, ciò che, allo stesso tempo, distingue e unisce gli esseri umani.
2014
9788890905421
Una difficile domanda cui è necessario trovare risposte / Visconti, Federica. - (2014), pp. 238-240. (Intervento presentato al convegno L’architettura è un prodotto socialmente utile?, Atti del 3°Forum del Coordinamento nazionale dei Docenti di Progettazione Architettonica ICAR 14/15/16 tenutosi a Torino nel 4-5 ottobre 2013).
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