Il concreto atto di esercizio del diritto, talvolta, può contrastare con i principi che lo ispirano e perciò sono necessari dei “correttivi” che, sacrificando un certo grado di certezza, soddisfano le superiori esigenze di giustizia. Uno di questi correttivi è costituito dal principio dell’abuso del diritto. Tale concetto apparve per la prima volta nella giurisprudenza francese nel XIX secolo, in materia di proprietà, elaborato come conseguenza dell’assolutezza dei principi enunciati dopo la rivoluzione francese ed esercitò un certo fascino sui legislatori di altri paesi, tanto da essere accolto espressamente nell’ordinamento svizzero ed in quello tedesco. Tuttavia, non ha mai trovato unanime consenso in dottrina. Però, nonostante l”ostracismo dottrinario”, ha avuto una espansione sempre maggiore trovando applicazione in ambiti diversi da quelli in cui aveva avuto origine, ossia i diritti soggettivi patrimoniali, al fine di venire incontro alle esigenze del caso concreto. L’ampliamento dell’area di applicazione vi ha fatto rifluire fattispecie ante litteram di abuso processuale, che ben presto hanno acquisito autonomia concettuale rispetto all’abuso del diritto, di guisa che, sul piano del diritto positivo, il cosiddetto abuso processuale ha fatto ingresso in diversi ordinamenti nazionali. Esso, quindi, ha assunto una autonomia che lo distingue dall’abuso del diritto. Tale autonomia concettuale rispetto alla categoria dell’abuso del diritto ne impone l’identificazione. La ricostruzione classificatoria elaborata dalla dottrina processualcivilistica non sembra suscettibile di trasposizione sul piano del processo penale. Tuttavia, partendo da schemi ricostruttivi di natura processualcivilistica, attraverso la rivalutazione della relazione tra atto processuale e sua funzione, si perviene all’identificazione dell’abuso processuale quale impiego degli istituti processuali per uno scopo diverso da quello fisiologico ovvero dalla ratio sottesa alla tutela legale del diritto medesimo. In virtù di tale impostazione la giurisprudenza di legittimità ha ravvisato un abuso processuale nell’avvicendamento di difensori, realizzato a chiusura del dibattimento, secondo uno schema reiterato non giustificato da alcuna reale esigenza difensiva e finalizzato ad ottenere, come le eccezioni di nullità manifestamente infondate e la ricusazione dichiarata inammissibile, una dilatazione dei tempi processuali. Sembra, quindi, che, per concretizzarsi un abuso processuale, il compimento dell’atto processuale deve essere estraneo alle finalità del diritto di difesa e contemporaneamente consistere in una evidente sproporzione fra interessi costituzionali contrapposti. Sarà, allora la giurisprudenza ad individuare le fattispecie di abuso ed una griglia interpretativa può essere costituita dalla teoria dei limiti interni ed esterni ai diritti costituzionali, che sembra fungibile con la categoria dell’abuso processuale. In base a tale ricostruzione sembra condivisibile la decisione della Suprema Corte che ritiene abusivo l’avvicendamento di difensori non giustificato dal alcuna reale esigenza difensiva ma finalizzato alla mera dilatazione dei tempi processuali. Tuttavia, se appare corretto inquadrare in termini di abuso plurime sostituzioni difensive realizzate a chiusura del dibattimento, non appare corretta la sanzione processuale individuata. La sentenza, infatti, afferma che «non può dare luogo a nullità alcuna il diniego di termini a difesa o la concessione di termini a difesa ridotti rispetto a quelli previsti dall’art. 108, comma 1, cod. proc, pen., quando nessuna lesione o menomazione ne derivi, in assoluto, all’esercizio effettivo del diritto alla difesa tecnica». In tal modo vengono intaccati principi cardine dell’ordinamento processuale penale sia sul versante del sistema delle nullità sia su quello dei contenuti minimi del diritto di difesa. La giurisprudenza, infatti, tende ad applicare la categoria dell’abuso del processo anche a comportamenti pienamente corretti della difesa. Allora compito del legislatore sarà, da un lato, quello di individuare rimedi all’abuso del processo che siano compatibili coi i principi informatori dell’ordinamento, dall’altro di redigere norme processuali chiare e precise di guisa che la loro applicazione ed interpretazione precluda iniziative e condotte abusive, eterodosse rispetto alla logica dell’accertamento processuale, o comunque antitetiche rispetto al conseguimento dei fini istituzionali del processo.

Brevi riflessioni sull'abuso del processo e sull'abuso delle garanzie difensive / Tabasco, Giuseppe. - In: CRITICA DEL DIRITTO. - ISSN 1824-4564. - 1-2(2012), pp. 96-106.

Brevi riflessioni sull'abuso del processo e sull'abuso delle garanzie difensive

TABASCO, Giuseppe
2012

Abstract

Il concreto atto di esercizio del diritto, talvolta, può contrastare con i principi che lo ispirano e perciò sono necessari dei “correttivi” che, sacrificando un certo grado di certezza, soddisfano le superiori esigenze di giustizia. Uno di questi correttivi è costituito dal principio dell’abuso del diritto. Tale concetto apparve per la prima volta nella giurisprudenza francese nel XIX secolo, in materia di proprietà, elaborato come conseguenza dell’assolutezza dei principi enunciati dopo la rivoluzione francese ed esercitò un certo fascino sui legislatori di altri paesi, tanto da essere accolto espressamente nell’ordinamento svizzero ed in quello tedesco. Tuttavia, non ha mai trovato unanime consenso in dottrina. Però, nonostante l”ostracismo dottrinario”, ha avuto una espansione sempre maggiore trovando applicazione in ambiti diversi da quelli in cui aveva avuto origine, ossia i diritti soggettivi patrimoniali, al fine di venire incontro alle esigenze del caso concreto. L’ampliamento dell’area di applicazione vi ha fatto rifluire fattispecie ante litteram di abuso processuale, che ben presto hanno acquisito autonomia concettuale rispetto all’abuso del diritto, di guisa che, sul piano del diritto positivo, il cosiddetto abuso processuale ha fatto ingresso in diversi ordinamenti nazionali. Esso, quindi, ha assunto una autonomia che lo distingue dall’abuso del diritto. Tale autonomia concettuale rispetto alla categoria dell’abuso del diritto ne impone l’identificazione. La ricostruzione classificatoria elaborata dalla dottrina processualcivilistica non sembra suscettibile di trasposizione sul piano del processo penale. Tuttavia, partendo da schemi ricostruttivi di natura processualcivilistica, attraverso la rivalutazione della relazione tra atto processuale e sua funzione, si perviene all’identificazione dell’abuso processuale quale impiego degli istituti processuali per uno scopo diverso da quello fisiologico ovvero dalla ratio sottesa alla tutela legale del diritto medesimo. In virtù di tale impostazione la giurisprudenza di legittimità ha ravvisato un abuso processuale nell’avvicendamento di difensori, realizzato a chiusura del dibattimento, secondo uno schema reiterato non giustificato da alcuna reale esigenza difensiva e finalizzato ad ottenere, come le eccezioni di nullità manifestamente infondate e la ricusazione dichiarata inammissibile, una dilatazione dei tempi processuali. Sembra, quindi, che, per concretizzarsi un abuso processuale, il compimento dell’atto processuale deve essere estraneo alle finalità del diritto di difesa e contemporaneamente consistere in una evidente sproporzione fra interessi costituzionali contrapposti. Sarà, allora la giurisprudenza ad individuare le fattispecie di abuso ed una griglia interpretativa può essere costituita dalla teoria dei limiti interni ed esterni ai diritti costituzionali, che sembra fungibile con la categoria dell’abuso processuale. In base a tale ricostruzione sembra condivisibile la decisione della Suprema Corte che ritiene abusivo l’avvicendamento di difensori non giustificato dal alcuna reale esigenza difensiva ma finalizzato alla mera dilatazione dei tempi processuali. Tuttavia, se appare corretto inquadrare in termini di abuso plurime sostituzioni difensive realizzate a chiusura del dibattimento, non appare corretta la sanzione processuale individuata. La sentenza, infatti, afferma che «non può dare luogo a nullità alcuna il diniego di termini a difesa o la concessione di termini a difesa ridotti rispetto a quelli previsti dall’art. 108, comma 1, cod. proc, pen., quando nessuna lesione o menomazione ne derivi, in assoluto, all’esercizio effettivo del diritto alla difesa tecnica». In tal modo vengono intaccati principi cardine dell’ordinamento processuale penale sia sul versante del sistema delle nullità sia su quello dei contenuti minimi del diritto di difesa. La giurisprudenza, infatti, tende ad applicare la categoria dell’abuso del processo anche a comportamenti pienamente corretti della difesa. Allora compito del legislatore sarà, da un lato, quello di individuare rimedi all’abuso del processo che siano compatibili coi i principi informatori dell’ordinamento, dall’altro di redigere norme processuali chiare e precise di guisa che la loro applicazione ed interpretazione precluda iniziative e condotte abusive, eterodosse rispetto alla logica dell’accertamento processuale, o comunque antitetiche rispetto al conseguimento dei fini istituzionali del processo.
2012
Brevi riflessioni sull'abuso del processo e sull'abuso delle garanzie difensive / Tabasco, Giuseppe. - In: CRITICA DEL DIRITTO. - ISSN 1824-4564. - 1-2(2012), pp. 96-106.
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