Le pagine che seguono sono studi di preparazione a un impegno ormai concluso per un'etica dei legami. Queste pagine passano dalla Tragedia all’Etica dei Greci, passano dalla voce abbandonata del lamento a quella che si fa parola. La Tragedia dei Greci si muove in quel giro del “dire e non dire”, come nel lamento di Ecuba. La tragedia del moderno si raggira nell’“essere e non essere” di Amleto. Solo a legare la voce e la parola risuona l’animo, si stabilisce un legame, ci si fa duale, si costruisce una città, una socialità comune e una comunità sociale, solo a far risuonare l'anima nella voce il sapere si fa bene e comune. Il primo studio riguarda un tale passaggio. Il secondo propone un'etica della voce. Il terzo studio richiama il nesso di educazione ed etica, lasciando intravvedere il percorso futuro sull'educare la voce. Segue il tribunale dell'amicizia, il processo all'amico, Socrate, che accettando la condanna a morte, priva gli amici della sua voce. Si passa così dall'etica alla politica, dalla comunità alla società con un'esigenza, quella di salvaguardare un'anima in comune, la vita comune. Segue perciò un "intermezzo" per tale esigenza. Le pagine riprendono con le prove sul l'immortalità dell'anima. Nuove prove, per una nuova costruzione, per un nuovo abitare in rapporto tra mondo e vita. In ultimo l'appendice richiama il dissidio tra politica e filosofia, tra etica e politica. Il richiamo è volto a ripensare la politica come posta tra l'etica e la giurisprudenza, perciò a pensare i diritti per le ragioni, una legislazione del mondo della vita, ancora più quando si avvertono ragioni senza diritti e diritti senza ragioni. È lo stesso motivo che si ripete in tutti gli studi, il legame tra la voce e la parola, il legame tra la vita e l'esistenza. Ci sono ripetizioni. Inevitabili quando si tratta di studi, che formano l'impalcatura di una filosofia. La ripetizione continua è sul nesso tra l'esistenza e la vita. Lo ripeto anche qui: siamo vita come viventi e abbiamo vita come esistenti. La vita che siamo è impropria, quella che abbiamo è propria, fatta delle nostre scelte e progetti, condizioni e risoluzioni, i sentimenti. Bisogna intendere su questo nuovo rapporto di proprio e improprio quello più antico di corpo e anima. Il principio cui riferirsi sarà quello di mettere la vita al mondo e dare mondo alla vita. Una questione di confine. Una città arriva fin dove la voce ha parola. Là dove resta attonita o si smorza in un grido, la città è finita. Il mondo finisce. Non ci sono parole di fronte all’uccisione di due giovani che stanno parlando delle vacanze che si apprestano a organizzare, mentre altri li scambiano per guardie del corpo che devono ammazzare. La mia città finisce in quel momento. E’ finita quel momento. Non c’è voce che possa trovare parola di fronte alla macchina che brucia insieme al corpo di una ragazzina colpevole di essere la fidanzatina del giovane boss del quartiere. La mia città è finita in quel momento e finisce ogni momento che ritorna quella scena senza che la voce abbia un tono, senza che non resti muta o spenta in un grido che la infiamma. La mia città finisce e dove la parola non ha voce. Dove chi parla non ha voce. E’ posto ai margini, non rientro nel discorso che recinge l’attualità della città, il suo tempo sempre attuale. La voce di chi è fuori ed è recluso nel fuori della città è posta al confine. Sono alla fine gli stessi confini di centro e di periferia. Sempre intorno alla città, a farne da confine, c’è il silenzio. Nelle carceri, nei cimiteri, posti appena fuori, a confine. Quando si passa da un paesino a un altro lungo il cammino di un viaggio sono questi i luoghi che si incontrano tra l’uno e l’altro abitato, all’inizio o alla fine della cittadina. I confini della città sono confini di voci. Carceri, ospedali, scuole, tutti i luoghi di cura o di esclusione o di formazione. Sono confini interni, interiori. Arrivano fin nelle case, quando in casa non c’è parola o non si riesce a dar voce alle parole. Arriva fin dentro la solitudine personale il confine della città, ovunque si è soli e la voce muta non risuona di parola né risuona del suo silenzio. È Aristotele che ha indicato il rimando di voce e anima, un rimando che arriva alla costituzione sociale della Città. Il "Peri Ermeneias", tradotto "Dell'Interpretazione". Una traduzione che richiama non solo la delucidazione del testo, ma l'interpretazione come si può intendere una "rappresentazione" della voce e dell'anima nella tenuta della Città. Il ruolo della voce, che si rappresenta come fondativo della tenuta della Città. Quel "peri Ermeneias", si potrà perciò meglio intendere come "della sostenibilità" ovvero di come si sostiene la città, il senso che le corrisponde come espressione dei suoi confini interni.

L'anima e la voce / Ferraro, Giuseppe. - (2012).

L'anima e la voce

FERRARO, GIUSEPPE
2012

Abstract

Le pagine che seguono sono studi di preparazione a un impegno ormai concluso per un'etica dei legami. Queste pagine passano dalla Tragedia all’Etica dei Greci, passano dalla voce abbandonata del lamento a quella che si fa parola. La Tragedia dei Greci si muove in quel giro del “dire e non dire”, come nel lamento di Ecuba. La tragedia del moderno si raggira nell’“essere e non essere” di Amleto. Solo a legare la voce e la parola risuona l’animo, si stabilisce un legame, ci si fa duale, si costruisce una città, una socialità comune e una comunità sociale, solo a far risuonare l'anima nella voce il sapere si fa bene e comune. Il primo studio riguarda un tale passaggio. Il secondo propone un'etica della voce. Il terzo studio richiama il nesso di educazione ed etica, lasciando intravvedere il percorso futuro sull'educare la voce. Segue il tribunale dell'amicizia, il processo all'amico, Socrate, che accettando la condanna a morte, priva gli amici della sua voce. Si passa così dall'etica alla politica, dalla comunità alla società con un'esigenza, quella di salvaguardare un'anima in comune, la vita comune. Segue perciò un "intermezzo" per tale esigenza. Le pagine riprendono con le prove sul l'immortalità dell'anima. Nuove prove, per una nuova costruzione, per un nuovo abitare in rapporto tra mondo e vita. In ultimo l'appendice richiama il dissidio tra politica e filosofia, tra etica e politica. Il richiamo è volto a ripensare la politica come posta tra l'etica e la giurisprudenza, perciò a pensare i diritti per le ragioni, una legislazione del mondo della vita, ancora più quando si avvertono ragioni senza diritti e diritti senza ragioni. È lo stesso motivo che si ripete in tutti gli studi, il legame tra la voce e la parola, il legame tra la vita e l'esistenza. Ci sono ripetizioni. Inevitabili quando si tratta di studi, che formano l'impalcatura di una filosofia. La ripetizione continua è sul nesso tra l'esistenza e la vita. Lo ripeto anche qui: siamo vita come viventi e abbiamo vita come esistenti. La vita che siamo è impropria, quella che abbiamo è propria, fatta delle nostre scelte e progetti, condizioni e risoluzioni, i sentimenti. Bisogna intendere su questo nuovo rapporto di proprio e improprio quello più antico di corpo e anima. Il principio cui riferirsi sarà quello di mettere la vita al mondo e dare mondo alla vita. Una questione di confine. Una città arriva fin dove la voce ha parola. Là dove resta attonita o si smorza in un grido, la città è finita. Il mondo finisce. Non ci sono parole di fronte all’uccisione di due giovani che stanno parlando delle vacanze che si apprestano a organizzare, mentre altri li scambiano per guardie del corpo che devono ammazzare. La mia città finisce in quel momento. E’ finita quel momento. Non c’è voce che possa trovare parola di fronte alla macchina che brucia insieme al corpo di una ragazzina colpevole di essere la fidanzatina del giovane boss del quartiere. La mia città è finita in quel momento e finisce ogni momento che ritorna quella scena senza che la voce abbia un tono, senza che non resti muta o spenta in un grido che la infiamma. La mia città finisce e dove la parola non ha voce. Dove chi parla non ha voce. E’ posto ai margini, non rientro nel discorso che recinge l’attualità della città, il suo tempo sempre attuale. La voce di chi è fuori ed è recluso nel fuori della città è posta al confine. Sono alla fine gli stessi confini di centro e di periferia. Sempre intorno alla città, a farne da confine, c’è il silenzio. Nelle carceri, nei cimiteri, posti appena fuori, a confine. Quando si passa da un paesino a un altro lungo il cammino di un viaggio sono questi i luoghi che si incontrano tra l’uno e l’altro abitato, all’inizio o alla fine della cittadina. I confini della città sono confini di voci. Carceri, ospedali, scuole, tutti i luoghi di cura o di esclusione o di formazione. Sono confini interni, interiori. Arrivano fin nelle case, quando in casa non c’è parola o non si riesce a dar voce alle parole. Arriva fin dentro la solitudine personale il confine della città, ovunque si è soli e la voce muta non risuona di parola né risuona del suo silenzio. È Aristotele che ha indicato il rimando di voce e anima, un rimando che arriva alla costituzione sociale della Città. Il "Peri Ermeneias", tradotto "Dell'Interpretazione". Una traduzione che richiama non solo la delucidazione del testo, ma l'interpretazione come si può intendere una "rappresentazione" della voce e dell'anima nella tenuta della Città. Il ruolo della voce, che si rappresenta come fondativo della tenuta della Città. Quel "peri Ermeneias", si potrà perciò meglio intendere come "della sostenibilità" ovvero di come si sostiene la città, il senso che le corrisponde come espressione dei suoi confini interni.
2012
L'anima e la voce / Ferraro, Giuseppe. - (2012).
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