Una prima descrizione dei fattori di rischio causa di malattia nei contadini fu fatta da Bernardino Ramazzini nel De morbis artificum diatriba (1713), riconoscendone fondamentalmente due, l’aria e la cattiva alimentazione; tali fattori, oltre a condizionare la comparsa di patologie, ne influenzavano la diversa risposta alle terapie mediche: egli consigliava, per esempio, di “non prelevare loro sangue in abbondanza come si fa invece nella gente di città”. Dopo circa due secoli, il mondo rurale diventa oggetto d’interesse scientifico per la peculiarità delle cause ambientali, biologiche e fisiopatologiche alla base dei processi morbosi, che, nonostante il passare dei secoli, restano gli stessi indicati da Ramazzini. Tuttavia, per il ritardato sviluppo del mondo rurale, riconducibile in parte a ragioni storiche, ma in parte anche ad un mancato coordinamento tra interventi di bonifica ambientale, sanitaria e tecnologica, ancora nel 1932, come affermò al congresso di Medicina del Lavoro di quell’anno Pellegrini, riprendendo un’affermazione di Castellino, il rurale restava un grande sconosciuto, mentre al XIX congresso del 1953, col contributo fondamentale dell’INAIL, si cercava ancora di fotografare un mondo nel quale le auspicate bonifiche socio-sanitarie non erano state sostanzialmente applicate. In effetti, pur essendo stata l’Italia ad economia in prevalenza agricola fino agli anni ’60, poche ricerche mediche e sociali avevano affrontato sistematicamente il problema del rapporto tra lavoro agricolo e insorgenza di malattia. Anche per tale motivo, nel corso del ‘900 i lavoratori dell’agricoltura ottennero le tutele assicurative su malattia, infortunio. vecchiaia e invalidità, rispetto alla classe operaia dell’industria, con notevole ritardo e sempre con qualche limitazione. Il sostanziale disinteresse pubblico, legislativo e scientifico per la sicurezza e tutela della salute degli agricoltori era dovuto, e in parte è ancora dovuto, alla tipologia organizzativa del lavoro agricolo, basata prevalentemente sulla conduzione familiare, o sul lavoro non strutturato di dipendenza, quale il cottimo, la mezzadria, o il lavoro stagionale. Giuridicamente tali attività hanno sempre ostacolato l’applicazione degli obblighi di prevenzione e tutela a carico di datori di lavoro e in favore dei prestatori d’opera agricola: zappatori, mungitori e raccoglitori, presi a mo’ d’esempio di mansioni lavorative rurali, hanno dovuto assicurarsi da loro stessi il minimo di prevenzione dai rischi della vita, rimanendo in pratica esclusi da diritti che all’oggi sembrano scontati, quali quelli ad una dignitosa salute fisica e sociale e ad un lavoro esente da pericoli. La Medicina del Lavoro, nata come disciplina autonoma nel corso del secolo scorso proprio per contribuire allo studio del rapporto fra malattie e lavoro, ha risentito di tale disinteresse, dedicando e sviluppando pochi studi e ricerche per la conoscenza dei fattori di rischio in agricoltura rispetto a quelli d’altri comparti lavorativi. Già Ramazzini nel De morbis su 55 trattazioni di malattie in lavoratori, riassume in un solo capitolo quelle dei contadini, pur essendo l’umanità alla sua epoca quasi tutta dedita ai lavori agricoli. Così nel ‘900, al primo congresso italiano di Medicina del Lavoro (1907, Palermo) non si discusse di medicina rurale: eppure essa rappresentava la gran parte dell’emergenza sanitaria dell’epoca non solamente come effetto d’esposizione a rischio lavorativo, ma anche di ordine sociale e ‘geografico’, vedi la piaga della malaria e dell’anchilostomiasi, che hanno condizionato demograficamente e socialmente larghe fette del territorio nazionale. La scuola medica napoletana da Ferrannini a Castellino e Caccuri ha dato contributi occasionali, limitati ad una generica analisi descrittiva del multiforme mondo della ruralità, senza approfondimento epidemiologico dei fattori di rischio, tipologia di lavoro ed insorgenza di patologie nei lavoratori agricoli della Campania. Pertanto, anche nel Congresso internazionale di Medicina del Lavoro tenuto a Napoli nel 1954, il tema fu del tutto trascurato: ancora nel 1960 S. Caccuri riassumeva in suo scritto la patologia dei rurali senza apporti nuovi di conoscenza. Nel frattempo, il problema, e l’interesse scientifico per esso, si esauriva da sé, con qualche ritardo nel Meridione ma inesorabile, con l’industrializzazione, l’urbanizzazione e i conseguenti spopolamento e abbandono di quel mondo rurale, che rimase, pertanto, per sempre ‘sconosciuto’.

Zappatori, mungitori e raccoglitori: i rischi del lavoro primario da Bernardino Ramazzini alla scuola medica di Nicolò Castellino / Sbordone, Carmine; Vallefuoco, M. C.; Manno, Maurizio; Grasso, A.. - (2008), pp. x-x. (Intervento presentato al convegno 43º Congresso della Società Italiana di Storia della Medicina tenutosi a Napoli-Potenza nel 16/19 Ottobre 2003).

Zappatori, mungitori e raccoglitori: i rischi del lavoro primario da Bernardino Ramazzini alla scuola medica di Nicolò Castellino

SBORDONE, CARMINE;MANNO, MAURIZIO;
2008

Abstract

Una prima descrizione dei fattori di rischio causa di malattia nei contadini fu fatta da Bernardino Ramazzini nel De morbis artificum diatriba (1713), riconoscendone fondamentalmente due, l’aria e la cattiva alimentazione; tali fattori, oltre a condizionare la comparsa di patologie, ne influenzavano la diversa risposta alle terapie mediche: egli consigliava, per esempio, di “non prelevare loro sangue in abbondanza come si fa invece nella gente di città”. Dopo circa due secoli, il mondo rurale diventa oggetto d’interesse scientifico per la peculiarità delle cause ambientali, biologiche e fisiopatologiche alla base dei processi morbosi, che, nonostante il passare dei secoli, restano gli stessi indicati da Ramazzini. Tuttavia, per il ritardato sviluppo del mondo rurale, riconducibile in parte a ragioni storiche, ma in parte anche ad un mancato coordinamento tra interventi di bonifica ambientale, sanitaria e tecnologica, ancora nel 1932, come affermò al congresso di Medicina del Lavoro di quell’anno Pellegrini, riprendendo un’affermazione di Castellino, il rurale restava un grande sconosciuto, mentre al XIX congresso del 1953, col contributo fondamentale dell’INAIL, si cercava ancora di fotografare un mondo nel quale le auspicate bonifiche socio-sanitarie non erano state sostanzialmente applicate. In effetti, pur essendo stata l’Italia ad economia in prevalenza agricola fino agli anni ’60, poche ricerche mediche e sociali avevano affrontato sistematicamente il problema del rapporto tra lavoro agricolo e insorgenza di malattia. Anche per tale motivo, nel corso del ‘900 i lavoratori dell’agricoltura ottennero le tutele assicurative su malattia, infortunio. vecchiaia e invalidità, rispetto alla classe operaia dell’industria, con notevole ritardo e sempre con qualche limitazione. Il sostanziale disinteresse pubblico, legislativo e scientifico per la sicurezza e tutela della salute degli agricoltori era dovuto, e in parte è ancora dovuto, alla tipologia organizzativa del lavoro agricolo, basata prevalentemente sulla conduzione familiare, o sul lavoro non strutturato di dipendenza, quale il cottimo, la mezzadria, o il lavoro stagionale. Giuridicamente tali attività hanno sempre ostacolato l’applicazione degli obblighi di prevenzione e tutela a carico di datori di lavoro e in favore dei prestatori d’opera agricola: zappatori, mungitori e raccoglitori, presi a mo’ d’esempio di mansioni lavorative rurali, hanno dovuto assicurarsi da loro stessi il minimo di prevenzione dai rischi della vita, rimanendo in pratica esclusi da diritti che all’oggi sembrano scontati, quali quelli ad una dignitosa salute fisica e sociale e ad un lavoro esente da pericoli. La Medicina del Lavoro, nata come disciplina autonoma nel corso del secolo scorso proprio per contribuire allo studio del rapporto fra malattie e lavoro, ha risentito di tale disinteresse, dedicando e sviluppando pochi studi e ricerche per la conoscenza dei fattori di rischio in agricoltura rispetto a quelli d’altri comparti lavorativi. Già Ramazzini nel De morbis su 55 trattazioni di malattie in lavoratori, riassume in un solo capitolo quelle dei contadini, pur essendo l’umanità alla sua epoca quasi tutta dedita ai lavori agricoli. Così nel ‘900, al primo congresso italiano di Medicina del Lavoro (1907, Palermo) non si discusse di medicina rurale: eppure essa rappresentava la gran parte dell’emergenza sanitaria dell’epoca non solamente come effetto d’esposizione a rischio lavorativo, ma anche di ordine sociale e ‘geografico’, vedi la piaga della malaria e dell’anchilostomiasi, che hanno condizionato demograficamente e socialmente larghe fette del territorio nazionale. La scuola medica napoletana da Ferrannini a Castellino e Caccuri ha dato contributi occasionali, limitati ad una generica analisi descrittiva del multiforme mondo della ruralità, senza approfondimento epidemiologico dei fattori di rischio, tipologia di lavoro ed insorgenza di patologie nei lavoratori agricoli della Campania. Pertanto, anche nel Congresso internazionale di Medicina del Lavoro tenuto a Napoli nel 1954, il tema fu del tutto trascurato: ancora nel 1960 S. Caccuri riassumeva in suo scritto la patologia dei rurali senza apporti nuovi di conoscenza. Nel frattempo, il problema, e l’interesse scientifico per esso, si esauriva da sé, con qualche ritardo nel Meridione ma inesorabile, con l’industrializzazione, l’urbanizzazione e i conseguenti spopolamento e abbandono di quel mondo rurale, che rimase, pertanto, per sempre ‘sconosciuto’.
2008
Zappatori, mungitori e raccoglitori: i rischi del lavoro primario da Bernardino Ramazzini alla scuola medica di Nicolò Castellino / Sbordone, Carmine; Vallefuoco, M. C.; Manno, Maurizio; Grasso, A.. - (2008), pp. x-x. (Intervento presentato al convegno 43º Congresso della Società Italiana di Storia della Medicina tenutosi a Napoli-Potenza nel 16/19 Ottobre 2003).
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