Il dibattito sul rapporto tra forma di governo e sistema dei partiti è stato segnato, nella fase più recente della storia repubblicana, dall’assunto indimostrato di un declino del partito politico, pervenuto, secondo un’opinione tenace e resistente alla critica, alla sua fase terminale, con l’affermarsi di nuove modalità di organizzazione della partecipazione politica. In realtà l’exitus non si è mai prodotto: resta fermo che, nella seconda modernità non esiste rappresentanza senza partiti; e ciò vale per tutti i sistemi democratici (altra questione è la crisi dei partiti e la loro trasformazione). Tuttavia, la falsa credenza, radicandosi, ha indotto a mettere tra parentesi o a obliterare alcune acquisizioni, in realtà assai solide: prima fra tutte quella di ritenere il sistema dei partiti un elemento strutturale della forma di governo italiana. La tesi, nella sua formulazione originaria è dovuta a Leopoldo Elia (che, peraltro, non giunse mai a svilupparla in una ricostruzione compiuta del sistema partitico italiano nelle dinamiche della forma di governo, poiché allora il rapporto tra riflessione giuridica costituzionale e osservazione politologica poneva ancora problemi di metodo che potevano essere enunciati, impostati preliminarmente, ma risolti con difficoltà). Di quell’approccio resta ferma l’intuizione principale: occorre individuare i modi attraverso i quali le dinamiche partitiche acquistino rilevanza giuridica nella determinazione della forma di governo (che è concetto precipuamente giuridico); e le convenzioni costituzionali – nella loro peculiare capacità di connettere diritto e fatto – sono il veicolo attraverso il quale tale rilevanza si produce. Non sembrano aver pregio , invero, le obiezioni che sono state mosse alla configurazione delle convenzioni costituzionali come fonti: non quella che adduce l’assenza di sanzione, poiché della sanzione propone un concetto troppo ristretto, come fatto positivo dell’inflizione di una pena o addirittura di un «castigo»; né, in connessione, quella che riconosce natura giuridica solo alla regola «giustiziabile», mentre il mondo del diritto è irto di regole di cui può essere garantita l’osservanza in sedi e in forme diverse dalla giurisdizione. V’è in queste costruzioni un pregiudizio: poiché il terreno in cui la convenzione costituzionale si afferma come fonte è il contesto costituzionale britannico, con le sue peculiarità non generalizzabili, la trasposizione in area continentale si fonderebbe su un errore per sopravvalutazione degli elementi di apparente affinità e per sottovalutazione delle irriducibili diversità degli ordinamenti; ma l’attribuzione di valore giuridico andrebbe escluso proprio nell’ordinamento assunto a riferimento – quello britannico – poiché a esso si opporrebbe un decisivo «elemento spirituale», consistente nel convincimento di non avere a che fare con un obbligo giuridico. Dunque, la convenzione costituzionale potrebbe diventare fonte solo se mutasse natura, cioè ove assumesse caratteri tali da farla ritenere una consuetudine. Si tratta di obiezioni fondate sulla sovrapposizione concettuale tra il piano della teoria generale e il piano dommatico: su quest’ultimo si colloca le questione del riconoscimento nella convenzione costituzionale della natura di fonte, non dovendo far velo assunti di teoria generale sostenuti dalla considerazione «originalista» del contesto in cui le convenzioni costituzionali si sono primamente diffuse con peculiarità non trapiantabili quanto ai modi della produzione normativa. Una volta sciolto il nodo metodologico maggiore, la forma di governo può essere studiata con riferimento alle trasformazioni in atto nel sistema dei partiti. Tali trasformazioni possono essere utilmente osservate con l’ausilio della network analysis, dopo che tale approccio è stato sottoposto a correzioni, secondo un metodo molto vicino a quello storico-comparativo, esplorando il nesso tra relazioni particolaristiche e relazioni universalistiche. [L’approccio è stato poi effettivamente messo in opera, e ha condotto a una ricerca le cui risultanze hanno rinnovato il dibattito su forma di governo e sistema dei partiti, spostandone sensibilmente il fulcro].

Prolegomeni minimi a una ricerca forse necessaria su forma di governo e sistema dei partiti / Staiano, Sandro. - In: FEDERALISMI.IT. - ISSN 1826-3534. - ELETTRONICO. - 3(2012), pp. 1-21.

Prolegomeni minimi a una ricerca forse necessaria su forma di governo e sistema dei partiti

STAIANO, SANDRO
2012

Abstract

Il dibattito sul rapporto tra forma di governo e sistema dei partiti è stato segnato, nella fase più recente della storia repubblicana, dall’assunto indimostrato di un declino del partito politico, pervenuto, secondo un’opinione tenace e resistente alla critica, alla sua fase terminale, con l’affermarsi di nuove modalità di organizzazione della partecipazione politica. In realtà l’exitus non si è mai prodotto: resta fermo che, nella seconda modernità non esiste rappresentanza senza partiti; e ciò vale per tutti i sistemi democratici (altra questione è la crisi dei partiti e la loro trasformazione). Tuttavia, la falsa credenza, radicandosi, ha indotto a mettere tra parentesi o a obliterare alcune acquisizioni, in realtà assai solide: prima fra tutte quella di ritenere il sistema dei partiti un elemento strutturale della forma di governo italiana. La tesi, nella sua formulazione originaria è dovuta a Leopoldo Elia (che, peraltro, non giunse mai a svilupparla in una ricostruzione compiuta del sistema partitico italiano nelle dinamiche della forma di governo, poiché allora il rapporto tra riflessione giuridica costituzionale e osservazione politologica poneva ancora problemi di metodo che potevano essere enunciati, impostati preliminarmente, ma risolti con difficoltà). Di quell’approccio resta ferma l’intuizione principale: occorre individuare i modi attraverso i quali le dinamiche partitiche acquistino rilevanza giuridica nella determinazione della forma di governo (che è concetto precipuamente giuridico); e le convenzioni costituzionali – nella loro peculiare capacità di connettere diritto e fatto – sono il veicolo attraverso il quale tale rilevanza si produce. Non sembrano aver pregio , invero, le obiezioni che sono state mosse alla configurazione delle convenzioni costituzionali come fonti: non quella che adduce l’assenza di sanzione, poiché della sanzione propone un concetto troppo ristretto, come fatto positivo dell’inflizione di una pena o addirittura di un «castigo»; né, in connessione, quella che riconosce natura giuridica solo alla regola «giustiziabile», mentre il mondo del diritto è irto di regole di cui può essere garantita l’osservanza in sedi e in forme diverse dalla giurisdizione. V’è in queste costruzioni un pregiudizio: poiché il terreno in cui la convenzione costituzionale si afferma come fonte è il contesto costituzionale britannico, con le sue peculiarità non generalizzabili, la trasposizione in area continentale si fonderebbe su un errore per sopravvalutazione degli elementi di apparente affinità e per sottovalutazione delle irriducibili diversità degli ordinamenti; ma l’attribuzione di valore giuridico andrebbe escluso proprio nell’ordinamento assunto a riferimento – quello britannico – poiché a esso si opporrebbe un decisivo «elemento spirituale», consistente nel convincimento di non avere a che fare con un obbligo giuridico. Dunque, la convenzione costituzionale potrebbe diventare fonte solo se mutasse natura, cioè ove assumesse caratteri tali da farla ritenere una consuetudine. Si tratta di obiezioni fondate sulla sovrapposizione concettuale tra il piano della teoria generale e il piano dommatico: su quest’ultimo si colloca le questione del riconoscimento nella convenzione costituzionale della natura di fonte, non dovendo far velo assunti di teoria generale sostenuti dalla considerazione «originalista» del contesto in cui le convenzioni costituzionali si sono primamente diffuse con peculiarità non trapiantabili quanto ai modi della produzione normativa. Una volta sciolto il nodo metodologico maggiore, la forma di governo può essere studiata con riferimento alle trasformazioni in atto nel sistema dei partiti. Tali trasformazioni possono essere utilmente osservate con l’ausilio della network analysis, dopo che tale approccio è stato sottoposto a correzioni, secondo un metodo molto vicino a quello storico-comparativo, esplorando il nesso tra relazioni particolaristiche e relazioni universalistiche. [L’approccio è stato poi effettivamente messo in opera, e ha condotto a una ricerca le cui risultanze hanno rinnovato il dibattito su forma di governo e sistema dei partiti, spostandone sensibilmente il fulcro].
2012
Prolegomeni minimi a una ricerca forse necessaria su forma di governo e sistema dei partiti / Staiano, Sandro. - In: FEDERALISMI.IT. - ISSN 1826-3534. - ELETTRONICO. - 3(2012), pp. 1-21.
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