In letteratura è diffuso il ricorso al cosiddetto credit paradox per spiegare la relazione tra lo spread richiesto su un prestito e l’incremento del volume di credito concesso. Di norma, nell’attività industriale, la produzione di quantità maggiori di uno stesso prodotto genera risparmi di costo in virtù delle economie di scala. Questo consente all’azienda che produce il bene di avere maggiori margini nella scelta dei prezzi di vendita. Tuttavia, ciò non accade con la commodity prestito bancario. Il prezzo (tasso di interesse) che la banca dovrebbe richiedere per aumentare i volumi concessi nei confronti di una medesima controparte, o uno stesso settore, se visto da una prospettiva più ampia, non diminuisce, anzi, aumenta per effetto della concentrazione del rischio. Il più alto spread richiesto dipende, in ultima analisi, dall’impatto della maggiore esposizione al rischio. Il punto è che le banche non possono seguire questa regola nella prassi per ragioni di carattere commerciale: chi gestisce la relazione con il cliente preferisce considerare i maggiori volumi come la base per impostare un rapporto migliore e più profittevole. Nonostante sia una sorta di dogma della moderna teoria del portafoglio, le banche molto spesso hanno pochi incentivi a rispettare il principio della diversificazione, perché i portafogli creditizi non sono misurati secondo una logica risk-based e il management non è quindi disposto ad accettare una diminuzione dei guadagni derivanti da interessi. Detto in altre parole, in alcune circostanze, le banche non hanno incentivi a cercare rendimenti commisurati ai rischi del loro portafoglio prestiti o, più correttamente, hanno incentivi maggiori a seguire strade diverse. Quanto alle cause da cui origina la concentrazione del rischio, innanzitutto, la specializzazione del portafoglio prestiti della banca in determinati settori o aree geografiche. Gli impieghi delle banche specializzate finiscono per essere erogati a debitori altamente correlati tra loro e con il ciclo economico. Ai nostri fini, rileva anche considerare l’impatto della disintermediazione. Se, come è vero, tra le imprese di maggiori dimensioni, e di migliore qualità, si è diffuso negli ultimi anni il ricorso a canali alternativi al credito bancario, c’è il rischio che nei portafogli prestiti delle banche si generi una crescente concentrazione di prestiti di qualità sempre peggiore. Terzo punto: la relazione con il cliente ad ogni costo. Il ruolo del credito quale prodotto “di partenza” del rapporto con il cliente, destinato ad evolvere verso altre, più articolate forme, produce un disallineamento tra le logiche commerciali e la gestione del rischio di credito, e può spingere le banche ad accettare un’esposizione maggiore di quanto sarebbe reputato opportuno. Dal punto di vista di una consapevole assunzione del rischio di credito, la banca tenterà di ridurre l’impatto negativo associato alla sua manifestazione. Le logiche secondo le quali questo obiettivo può essere perseguito possono essere così definite :  controllo e prevenzione: l’espressione si riferisce all’applicazione al portafoglio prestiti dei principi della modern portfolio theory (MPT) , e a un sistema di gestione dei prestiti basato su tecniche quantitative, in grado di misurare il rischio a livello di portafoglio in termini di dimensione complessiva, di frazionamento e diversificazione;  pricing del rischio e capital allocation: consiste nell’individazione di un mark-up rispetto al costo della raccolta, definito in base ad estrapolazioni storiche e a raggruppamenti in macro-classi individuate in funzione della dimensione del prestito, del settore di appartenenza della controparte e della forma tecnica dell’affidamento. Il limite di questo approccio sta nell’assumere una distribuzione fondamentalmente uniforme del costo delle sofferenze sui diversi debitori. Per le modalità con cui è definito, il pricing in questione, lungi dall’essere il risultato di rigorose tecniche di analisi quantitativa, è stata la ragione della insufficiente differenziazione in base al rischio dei diversi debitori ;  selezione dei debitori e delle operazioni: è l’approccio cui le banche hanno storicamente devoluto la massima attenzione. Le principali criticità stanno, da una parte, nella mancata distinzione tra probabilità di insolvenza e capacità di recupero coattivo del credito (motivo per cui le garanzie diventano elemento cruciale nella decisione di affidamento), e, dall’altra, nella incapacità di andare oltre la logica binaria di un giudizio che contempli solo due opzioni: “affidabilità” e “non affidabilità”. L’adozione della moderna teoria del portafoglio ha reso necessario un ripensamento dei criteri e delle regole che presiedono alla gestione del rischio di credito, secondo un impianto di ispirazione prettamente quantitativa, ben distante dai metodi più tradizionali cui prima si accennava. A spingere le banche verso un’impostazione più quantitativa del credit risk management hanno contribuito alcuni importanti fattori di contesto: la diffusione di derivati e strumenti finanziari complessi, assai più difficili da gestire rispetto ai tradizionali strumenti di debito (prestiti e obbligazioni), di cui, è pur vero, i primi rappresentano un’evoluzione; lo sviluppo di mercati secondari che aggiungono liquidità a strumenti di per sé illiquidi; e, non da ultimo, i segnali inequivocabili che provengono dalle autorità di vigilanza internazionali, che richiedono alle banche la capacità di gestire in maniera più attiva e dinamica il proprio loan book rispetto a quanto avveniva in passato. Il contributo si propone di approfondire l’analisi del rischio di concentrazione del credito nel portafoglio prestiti delle banche, nella cornice regolamentare di Basilea 2. Il lavoro è articolato come segue: il paragrafo 2 definisce il rischio di concentrazione del credito, il paragrafo 3 ne illustra il trattamento regolamentare nell’ambito del secondo pilastro, con riferimento agli approcci Internal Rating-Based (IRB); il paragrafo 4 fornisce una overview sugli approcci alla misurazione, sugli strumenti di gestione e sulle procedure di stress testing; il paragrafo 5 conclude.

Il II° Pilastro di Basilea 2: il rischio di concentrazione nel portafoglio prestiti delle banche / Curcio, Domenico. - In: BANCHE E BANCHIERI. - ISSN 0390-1378. - STAMPA. - 1(2009), pp. 61-73.

Il II° Pilastro di Basilea 2: il rischio di concentrazione nel portafoglio prestiti delle banche

CURCIO, DOMENICO
2009

Abstract

In letteratura è diffuso il ricorso al cosiddetto credit paradox per spiegare la relazione tra lo spread richiesto su un prestito e l’incremento del volume di credito concesso. Di norma, nell’attività industriale, la produzione di quantità maggiori di uno stesso prodotto genera risparmi di costo in virtù delle economie di scala. Questo consente all’azienda che produce il bene di avere maggiori margini nella scelta dei prezzi di vendita. Tuttavia, ciò non accade con la commodity prestito bancario. Il prezzo (tasso di interesse) che la banca dovrebbe richiedere per aumentare i volumi concessi nei confronti di una medesima controparte, o uno stesso settore, se visto da una prospettiva più ampia, non diminuisce, anzi, aumenta per effetto della concentrazione del rischio. Il più alto spread richiesto dipende, in ultima analisi, dall’impatto della maggiore esposizione al rischio. Il punto è che le banche non possono seguire questa regola nella prassi per ragioni di carattere commerciale: chi gestisce la relazione con il cliente preferisce considerare i maggiori volumi come la base per impostare un rapporto migliore e più profittevole. Nonostante sia una sorta di dogma della moderna teoria del portafoglio, le banche molto spesso hanno pochi incentivi a rispettare il principio della diversificazione, perché i portafogli creditizi non sono misurati secondo una logica risk-based e il management non è quindi disposto ad accettare una diminuzione dei guadagni derivanti da interessi. Detto in altre parole, in alcune circostanze, le banche non hanno incentivi a cercare rendimenti commisurati ai rischi del loro portafoglio prestiti o, più correttamente, hanno incentivi maggiori a seguire strade diverse. Quanto alle cause da cui origina la concentrazione del rischio, innanzitutto, la specializzazione del portafoglio prestiti della banca in determinati settori o aree geografiche. Gli impieghi delle banche specializzate finiscono per essere erogati a debitori altamente correlati tra loro e con il ciclo economico. Ai nostri fini, rileva anche considerare l’impatto della disintermediazione. Se, come è vero, tra le imprese di maggiori dimensioni, e di migliore qualità, si è diffuso negli ultimi anni il ricorso a canali alternativi al credito bancario, c’è il rischio che nei portafogli prestiti delle banche si generi una crescente concentrazione di prestiti di qualità sempre peggiore. Terzo punto: la relazione con il cliente ad ogni costo. Il ruolo del credito quale prodotto “di partenza” del rapporto con il cliente, destinato ad evolvere verso altre, più articolate forme, produce un disallineamento tra le logiche commerciali e la gestione del rischio di credito, e può spingere le banche ad accettare un’esposizione maggiore di quanto sarebbe reputato opportuno. Dal punto di vista di una consapevole assunzione del rischio di credito, la banca tenterà di ridurre l’impatto negativo associato alla sua manifestazione. Le logiche secondo le quali questo obiettivo può essere perseguito possono essere così definite :  controllo e prevenzione: l’espressione si riferisce all’applicazione al portafoglio prestiti dei principi della modern portfolio theory (MPT) , e a un sistema di gestione dei prestiti basato su tecniche quantitative, in grado di misurare il rischio a livello di portafoglio in termini di dimensione complessiva, di frazionamento e diversificazione;  pricing del rischio e capital allocation: consiste nell’individazione di un mark-up rispetto al costo della raccolta, definito in base ad estrapolazioni storiche e a raggruppamenti in macro-classi individuate in funzione della dimensione del prestito, del settore di appartenenza della controparte e della forma tecnica dell’affidamento. Il limite di questo approccio sta nell’assumere una distribuzione fondamentalmente uniforme del costo delle sofferenze sui diversi debitori. Per le modalità con cui è definito, il pricing in questione, lungi dall’essere il risultato di rigorose tecniche di analisi quantitativa, è stata la ragione della insufficiente differenziazione in base al rischio dei diversi debitori ;  selezione dei debitori e delle operazioni: è l’approccio cui le banche hanno storicamente devoluto la massima attenzione. Le principali criticità stanno, da una parte, nella mancata distinzione tra probabilità di insolvenza e capacità di recupero coattivo del credito (motivo per cui le garanzie diventano elemento cruciale nella decisione di affidamento), e, dall’altra, nella incapacità di andare oltre la logica binaria di un giudizio che contempli solo due opzioni: “affidabilità” e “non affidabilità”. L’adozione della moderna teoria del portafoglio ha reso necessario un ripensamento dei criteri e delle regole che presiedono alla gestione del rischio di credito, secondo un impianto di ispirazione prettamente quantitativa, ben distante dai metodi più tradizionali cui prima si accennava. A spingere le banche verso un’impostazione più quantitativa del credit risk management hanno contribuito alcuni importanti fattori di contesto: la diffusione di derivati e strumenti finanziari complessi, assai più difficili da gestire rispetto ai tradizionali strumenti di debito (prestiti e obbligazioni), di cui, è pur vero, i primi rappresentano un’evoluzione; lo sviluppo di mercati secondari che aggiungono liquidità a strumenti di per sé illiquidi; e, non da ultimo, i segnali inequivocabili che provengono dalle autorità di vigilanza internazionali, che richiedono alle banche la capacità di gestire in maniera più attiva e dinamica il proprio loan book rispetto a quanto avveniva in passato. Il contributo si propone di approfondire l’analisi del rischio di concentrazione del credito nel portafoglio prestiti delle banche, nella cornice regolamentare di Basilea 2. Il lavoro è articolato come segue: il paragrafo 2 definisce il rischio di concentrazione del credito, il paragrafo 3 ne illustra il trattamento regolamentare nell’ambito del secondo pilastro, con riferimento agli approcci Internal Rating-Based (IRB); il paragrafo 4 fornisce una overview sugli approcci alla misurazione, sugli strumenti di gestione e sulle procedure di stress testing; il paragrafo 5 conclude.
2009
Il II° Pilastro di Basilea 2: il rischio di concentrazione nel portafoglio prestiti delle banche / Curcio, Domenico. - In: BANCHE E BANCHIERI. - ISSN 0390-1378. - STAMPA. - 1(2009), pp. 61-73.
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