The Costellation of Campania Cities Emma BuondonnoDipartimento di Progettazione Urbana e di Urbanistica. Università di Napoli “Federico II”e-mail: emma.buondonno@unina.it Currently Campania Region is composed by five provinces and 551 municipalities, the territorial organization was triggered by history and administrative stratification of many centuries. The resident population of Campania region is about 10 % of the Italian population and the land area is likely to generate a spatial density of 450 inhabitants per square kilometer. Social tensions that resulted in the recent past by certain environmental emergencies derived by the crisis in waste management and growth of socially vulnerable population, have in regional planning and organization of the Campania’s city one of the reasons of the imbalance of the economic, social, administrative and government system. This phenomenon becomes increasingly alarming as reinforcing the dynamics of globalization is contrasted with an historical and stratified space as that of ancient Campania Felix. To anticipate future scenarios the disciplines of architecture and urbanism in the Campania region have a range of testing unique and highly complex. Numerous studies and researches are aimed to develop methods and models alternative to the concentration of the coastal cities of Naples and the composition of a polycentric and multi-directional process but are stuck in the suffocating vision of the metropolitan perimeter without achieving the results defined at the outset. The research report is intended to serve is based on the objective of political and administrative reorganization of the entire region in order to dial 118 medium-sized cities, from the current 551 municipalities, in a configuration of a five constellation of city attached to the Pentagon City area of 5 provincial capitals. Relations infrastructure necessary to make the constellations are largely existing and drawn from historical armor. The identification of medium-sized cities implies a reorganization of the administrative, political and economic. In particular for the province of Naples, the mayors will be reduced from 92 to 19, councilors from 380 to 85 and advisers from 1.530 to 368. For the province of Caserta, the mayors will be reduced from 104 to 24, councillors from 434 to 146 and advisers from 1.704 to 680. For the province of Avellino, the mayors will be reduced from 119 to 23, councilors from 492 to 144 and advisers from 1.642 to 690. For the Province of Benevento mayors will be reduced from 78 to 16, councilors from 268 to 98 and advisers from 1.080 to 490. Finally, for the province of Salerno mayors will be reduced from 158 to 36, councilors from 588 to 216 and advisers from 2.348 to 970. The studies of urban systems and of the geographers have often made reference to gravitational patterns and in the recent past also to entropy, both positive and negative orientation. With this contribution, therefore, seeks to demonstrate how, through the integration of the reasons of the places’s nature, historical stratification and current needs of the communities living in the territories, it is possible to experiment with new urban patterns and connections that generate constellations of cities alternative to magma urban metropolitan Naples. La Costellazione delle Città Campane Il rapporto di ricerca che in questa sede si intende illustrare mira alla riorganizzazione politico-amministrativa dell’intero territorio regionale al fine di comporre 118 città medie, dai 551 comuni esistenti, in una configurazione di 5 costellazioni di città agganciate al pentagono campano dei capoluoghi di provincia. Con il presente contributo si tenta di dimostrare come tenendo conto armonicamente delle ragioni della natura dei luoghi, della stratificazione storica e delle esigenze delle comunità attualmente insediate nei territori, sia possibile sperimentare nuovi modelli urbani e connessioni che generino costellazioni di città in alternativa al magma urbano metropolitano napoletano. Com’è risaputo la Campania è composta da cinque Province e 551 Comuni. Con una superficie territoriale di circa 13.563 chilometri quadrati e 5.790.225 mila abitanti (dati ISTAT 2007), è per estensione la dodicesima regione italiana e per densità la prima, con 427 abitanti per chilometro quadrato; la popolazione residente costituisce circa il 10 % di quella italiana e la popolazione media per comune è di circa 10.500 abitanti. La provincia di Napoli raccoglie il 53 % degli abitanti della Campania, su di una superficie che è appena il 9 % del territorio regionale. Riprendendo la nota distinzione di Manlio Rossi Doria, si può dire che in Campania vi siano due zone contrapposte: da un lato, quella che il grande meridionalista definiva la polpa, cioè la cosiddetta “fascia costiera”, ad elevata concentrazione demografica ed urbana, ormai priva di spazi vitali, e, dall’altro lato, l’osso, ovvero un’area, ossia quasi tutte le province, a bassa densità, caratterizzata da senescenza funzionale e da un progressivo decremento della popolazione. Tale organizzazione territoriale ed amministrativa, frutto di una plurisecolare stratificazione storica, determina una densità territoriale media pari a 2.633,66 abitanti per kmq per la provincia di Napoli, di contro a una densità territoriale media relativa a tutte le altre province pari a 218,48 abitanti per kmq, ovvero pari a meno del 10% di quella mediamente riscontrata nella provincia napoletana. Questo valore si abbassa di parecchio, se si esclude dal computo la provincia di Caserta, che ha una densità relativamente più alta delle restanti province. Va notato, inoltre, che la provincia di Napoli ha un numero di abitanti pari a 1,14 volte più di quelli del totale delle altre province, nonostante abbia una superficie pari a meno della decima parte di quella totale delle restanti quattro province di Avellino, Benevento, Caserta e Salerno. Mentre la Lombardia, che ha circa 9.200.000 abitanti, conta undici città capoluogo delle rispettive province su una superficie di 23.852 kmq, la Campania ha soltanto cinque città capoluogo, che sono situate nei vertici del pentagono inscritto in una circonferenza di appena 50 km di raggio, sbilanciato rispetto al resto del territorio regionale: il Cilento, il Vallo di Diano, gran parte del Sannio e dell’Irpinia, sono assai distanti da Napoli. Quest’ultima, dal momento che in essa sono concentrate tutte le funzioni di primo livello, alla scala regionale e provinciale, costituisce il “centro” di un modello di assetto territoriale ed amministrativo basato sulla località centrale per eccellenza. E’ qui che si svolge il governo della Regione, della Provincia e del Comune, tra il Centro Direzionale, Piazza Matteotti e Piazza Municipio, in un raggio di soli 10 km. I flussi di traffico veicolari avvengono da e per lo svincolo autostradale Napoli-Caserta, per agganciarsi all’asse viario nazionale Roma-Caserta-Salerno. L’armatura urbana regionale è di tipo monocentrico (Napoli) e monodirezionale (Napoli-Caserta). Su tale modello di assetto, che ha raggiunto una dimensione metropolitana coincidente con l’intera provincia di Napoli e che ha invaso anche parti delle province di Caserta e Salerno, si innesta il nuovo “disegno” delle reti infrastrutturali nazionali ed europee - il progetto è già in fase di realizzazione - con la definizione di due corridoi plurinodali: il primo corridoio trans-europeo “Berlino-Roma-Napoli-Reggio” e l’ottavo corridoio trans-balcanico “Napoli-Bari-Balcani”. Da qui il ruolo di cerniera e di piattaforma logistica del Mediterraneo che Napoli e la sua area metropolitana è chiamata a svolgere nel prossimo futuro. La spina dorsale di questa trasformazione territoriale in atto, con il potenziamento dei due scali passeggeri e merci, il porto commerciale di Napoli e l’aeroporto internazionale di Grazzanise, è costituita dalla rete infrastrutturale su ferro dell’alta velocità Roma-Caserta-Vesuvio Est. L’area napoletana, e in particolare la zona di Napoli-Caserta, si salderebbe, di fatto, all’area metropolitana di Roma, dando vita così alla terza area metropolitana europea per dimensione e popolazione insediata. Per invertire la tendenza alla saturazione delle aree attorno alla città di Napoli, attraverso progressive urbanizzazioni ed espansioni concentriche a macchia d’olio, sarebbe stato opportuno applicare a suo tempo la Legge n. 142 del 1990, definendo un assetto territoriale aderente allo schema policentrico e pluridirezionale di riequilibrio dell’intera area metropolitana esistente. Già dall’inizio degli anni Novanta, infatti, l’area metropolitana di Napoli travalicava i confini provinciali, accorpando non poche parti delle province di Caserta e Salerno. Purtroppo il disegno incentrato sullo schema policentrico e pluridirezionale non è stato mai attuato, né ha mai trovato consensi né in Campania sono state mai messe in atto vere e proprie strategie di pianificazione a scala regionale. Anzi bisogna ricordare la mancata attuazione della Regione metropolitana campana, con la complementare inesistente attenzione nei riguardi del Sannio, dell’Irpinia e del Cilento. Fattori questi che hanno aggravato il divario tra la concentrazione dell’area metropolitana di Napoli e la desertificazione delle altre aree regionali. Cosa che emerge con chiarezza dal confronto tra la popolazione residente nella provincia napoletana, con la sua “densità asiatica”, e la popolazione residente nelle province di Salerno, Caserta, Avellino e Benevento. Rispetto agli attuali abitanti e ai rispettivi potenziali carichi insediativi, la provincia di Salerno registra teoricamente un deficit di popolazione di circa 1.400.000 abitanti; quella di Avellino un deficit di 957 mila abitanti; quella di Benevento un deficit di 770 mila abitanti; e quella di Caserta di 428 mila unità. Al contrario la provincia di Napoli ha un surplus di popolazione residente che ammonta a due milioni e mezzo. La forte disparità tra popolazioni insediate e sostenibilità ambientale all’impatto antropico è quanto mai evidente. Stante questa situazione, la programmazione delle “aree di densificazione per il soddisfacimento di ulteriori fabbisogni di alloggi” appare come una scelta quanto mai rischiosa, sia rispetto alla vulnerabilità del territorio agli eventi sismici, vulcanici e bradisismici, sia per quanto concerne il governo ed il controllo del territorio su cui pesa il condizionamento delle attività illecite e criminose. Lo strumento urbanistico provinciale tuttora in discussione individua ben cinque aree di densificazione urbana: 1) Mugnano-Villaricca; 2) Pomigliano d’Arco; 3) Nola; 4) Giugliano in Campania; 5) Striano. Alle ultime due aree di densificazione urbana corrispondono due nuove centralità urbane. Sono altresì previste delle centralità urbane così ripartite: tre a Napoli città, a Nord, Est ed Ovest e cioè a Secondigliano, Poggioreale e Bagnoli; cinque a scala metropolitana, ad Ovest - Villaricca, a Nord - Acerra; ad Est - Somma Vesuviana e Boscotrecase, quest’ultime site in ambito vesuviano, nella nota zona rossa a rischio vulcanico permanente. Questa densificazione, contrariamente a quanto si sostiene, si configura come un nuovo PSER - Piano Straordinario di Edilizia Residenziale – quale quello degli anni Ottanta post-terremoto, riproposto questa volta su scala provinciale. E il sistema integrato regionale dei trasporti della Regione non fa altro che stabilizzare la situazione attuale in quanto ricalcato sull’esistente rete della mobilità metropolitana di Napoli, con la previsione soltanto di opere di completamento e ristrutturazione, ad eccezione di due nuovi interventi viari “esterni” che interessano il Sannio e l’Irpinia. Il problema cruciale dell’area metropolitana è rappresentato, però, dagli scambi commerciali portuali e dalla movimentazione dei container da e per il porto di Napoli, che provoca un impatto territoriale molto elevato, concernente gli aspetti quantitativi e soprattutto la qualità ambientale dei luoghi interessati. I danni da inquinamento atmosferico dovuto al prevalente ricorso ai Tir per il trasporto delle merci; i disagi causati dall’ingombro fisico e dalla carente fruizione del paesaggio, determinata dai container impilati permanentemente lungo il fronte del mare; l’incremento degli incidenti stradali, che si traducono in costi per la collettività, sono elementi tali da far escludere, allo stato attuale delle cose, la designazione di Napoli come la grande piattaforma del Mediterraneo. La dimensione del problema richiederebbe, quantomeno, la pianificazione delle funzioni a scala interregionale con la valutazione degli effettivi benefici derivanti da questa scelta, e in relazione alla questione della tutela e riqualificazione del sistema costiero. Ciò posto, sembra evidente che per la provincia di Napoli non si può pensare ad ulteriori espansioni del tessuto urbano e al rafforzamento delle infrastrutture e, contestualmente, garantire la tutela della natura e la salvaguardia dell’attività agricola e dei paesaggi rurali della “piana”, supponendo comunque di destinarne alcune parti a discariche e megapattumiere dei rifiuti prodotti da oltre tre milioni di abitanti. Per un’area a così elevata concentrazione demografica, segnata da vistosi fenomeni di disagio sociale per altro amplificati da preoccupanti livelli di violenza e criminalità, va perseguito l’obiettivo prioritario della pianificazione dell’ambiente di vita, provvedendo a conciliare lo spazio della città e la natura dei luoghi, mediante politiche finalizzate alla valorizzazione del territorio, alla riduzione del carico demografico e all’ottimizzazione della distribuzione delle attività produttive e commerciali, in modo da preservare gli spazi vitali necessari alla qualità del vivere quotidiano. L’intera cultura dell’assetto spazio-territoriale, in tutta Europa e in particolare Oltralpe, da molti anni ruota attorno alla ricerca e al dibattito sui temi della “città di domani”, come dimostrano le molteplici attività e riflessioni su “la ville émergente”, “la ville sur la ville”, “le dévelopment durable”, anche sulla base della nuova “Carta di Atene”. Tra i temi d’approfondimento vi è quello sulle Villes Nouvelles nella Regione Ile de France. Ed è così che è stata rilanciata un’idea oggetto di un’esperienza urbanistica, d’ampiezza eccezionale in Francia, che dura da circa quarant’anni, con il coinvolgimento di urbanisti, geografi, numerosi studiosi di economia urbana, di armatura urbana, che tra l’altro hanno affrontato il problema dei costi della crescita urbana, messi a confronto con quelli relativi alla creazione di nuove città. Tutti questi intellettuali hanno sempre considerato, giustamente, la città come un fenomeno da analizzare e studiare in maniera interdisciplinare. Non va dimenticato che lo studio dell’armatura urbana in Francia ha portato alla costituzione delle 8 famose “métropoles d’equilibre”, che dovevano avere appunto il compito di riequilibrare la sperequazione economica tra Parigi e la provincia (Lilla-Roubaix-Tourcoing, Nancy-Metz, Strasburgo, Lione-Saint-Etienne-Grenoble, Marsiglia, Tolosa, Bordeaux, Nantes-Saint Nazare). Qualunque sia il giudizio degli uni o degli altri studiosi, le Villes Nouvelles in Francia hanno mobilitato saperi, competenze e mezzi pubblici a un livello inusuale. Più o meno allo stesso modo, e sarebbe importante riprendere il discorso su questi altri aspetti, ci si è mossi in Gran Bretagna, con la politica volta alla creazione di una galassia di new towns, nei paesi scandinavi e in altri paesi europei. Ė importante, quindi, far tesoro di questi esempi, acquisendone metodi, risultati o anche la definizione di problematiche nuove. In sostanza si tratta di trovare soluzioni a carattere sistemico e non soluzioni unidirezionali, ben consapevoli che l’urbanistica, come tutte le discipline che, direttamente o indirettamente, si occupano di territorio, può solo collaborare e interagire con altri analisti e decisori nel dare possibili risposte, non potendo certamente fornire certezze. Rispetto alle problematiche presenti in Campania, di cui va ripercorso il cammino, comprendendone la genesi, occorre provvedere alla riorganizzazione e alla strutturazione dello spazio in modo da avere città che funzionino bene per tutti i cittadini, sì da risolverne, o quantomeno ridurne, tutti i problemi della vita quotidiana: l'approvvigionamento alimentare, il diritto all'abitazione, ai trasporti, alle reti idriche, allo smaltimento dei rifiuti, ai nuovi mezzi di comunicazione, alla tutela della salute, alle nuove forme di cultura urbana, e così via. Bisogna per di più puntare sulla qualità delle trasformazioni urbane e territoriali attraverso proposte capaci di valorizzare le caratteristiche locali e globali, proposte che debbono scaturire dalla considerazione e dall'analisi di fattori rilevanti quali le infrastrutture e le attrezzature, il rapporto con l'antico, il recupero e la valorizzazione delle risorse, la nuova residenza, le periferie, i luoghi di aggregazione. Poiché la dimensione metropolitana è ormai una realtà diffusa, la sfida non è quella di attenuarne gli effetti negativi (il grave inquinamento atmosferico e acustico, il traffico caotico, la carenza di parcheggi, di aree pedonali e ciclabili, l‘esistenza di un sistema di sprechi urbani, eccetera), ma di governarli secondo una logica di sviluppo sostenibile, ragionando in termini di risposta ai bisogni delle persone e nella consapevolezza che il territorio non è un bene illimitato, tenendo nel debito conto, lo si ribadisce, che le esigenze del cittadino di oggi non si arrestano più solo a quelli essenziali come la casa e i servizi di base, ma intercettano nuove priorità tra le quali la qualità della vita e dell’ambiente, la qualità degli spazi urbani, l’identità dei luoghi costruiti e verdi. E' su queste priorità che bisogna indirizzare le scelte di progetto per orientare lo sviluppo futuro. Ed è perciò urgente, ancor più che necessario, pensare ed attuare un modello urbano/metropolitano/regionale in cui le funzioni siano localizzate in maniera razionale, sì da massimizzare i benefici collettivi con il minimo dispendio di tempo, di energie e di risorse economiche, cosicché lo spostarsi da un luogo all'altro non avvenga in situazioni di stress permanente. E’ palese, dunque, come sia impellente progettare una griglia di riferimento per le città in cui l’infrastrutturazione del territorio e la dotazione di nuovi servizi diventino gli elementi strategici da perseguire sui quali poi, e solo in seguito, disegnare lo sviluppo dei tessuti seriali urbani (residenze, attività produttive, turistiche, eccetera) e non viceversa. Così com’è evidente quanto siano nevralgiche per il soddisfacimento dei bisogni le politiche sulle fonti di energia rinnovabili e non inquinanti in riferimento al trasporto e alla mobilità urbana, oltre che alla casa. Il nuovo “disegno” della Campania deve essere, pertanto, un progetto di nuove città in relazione alla sostenibilità ambientale all’impatto antropico, ossia deve essere un progetto basato sull’integrazione tra Natura e Architettura, tenendo nel dovuto conto densità territoriali, funzioni e destinazioni d’uso, accessibilità e mobilità, attrezzature e servizi. Con la distribuzione dei pesi di popolazione e delle attività produttive, delle attrezzature e dei servizi in funzione delle capacità di accoglimento del territorio ed alleggerimento dei pesi stessi a Napoli e nella sua area metropolitana. Più che insistere sui piani di densificazione urbana, è quindi preferibile delineare una “nuova” armatura urbana della Regione Metropolitana Campana per il riequilibrio territoriale demografico e produttivo, con la formazione delle nuove città sannite, irpine, cilentane e casertane. E’ opportuno, a questo punto, confrontare i dati della superficie territoriale, della popolazione residente nonché della densità territoriale della Campania con quelli degli Stati dell’Unione Europea. Da questo esame si evince che la Campania è dodicesima per popolazione residente, diciassettesima per estensione, mentre per densità territoriale è seconda solo ai Paesi Bassi. Tale squilibrio, che ha profonde radici storiche, non riguarda soltanto la componente demografica, ma pure gli assetti sociali, amministrativi, economici e produttivi. Esso è stato accentuato dalle tensioni sociali, che nel recente passato sono state innescate dall’incremento delle fasce di popolazione socialmente deboli e in particolare dalle emergenze ambientali, a loro volta determinate soprattutto dalla crisi della gestione dei rifiuti. Se prima tale squilibrio era imputabile essenzialmente alla configurazione fisica del territorio, nonché alle stesse opportunità che essa offriva, dal secondo dopoguerra ad oggi è specialmente espressione di un deficit politico, cioè di una inadeguata governance delle città campane. Il fenomeno è tanto più grave a fronte delle dinamiche di globalizzazione in atto che tendono a vanificare qualsiasi sforzo di pianificazione e gestione del territorio, mettendo radicalmente in discussione un sistema spaziale storico e stratificato come quello dell’antica Campania Felix. Un sistema su cui incombe, come una spada di Damocle, la questione drammaticamente cruciale dei rifiuti. La Campania – come si legge nel Rapporto sui diritti globali, a cura dell’Associazione Società Informazione (Ediesse, Roma 2010), si trova saldamente in cima alla classifica dell’illegalità ambientale per lo sversamento dei rifiuti con 573 infrazioni accertate (14,7 % sul totale nazionale) e ben 63 arresti nel corso del 2009. Secondo i dati dell’ARPA la Campania detiene altri gravi primati: 2.551 siti da bonificare tra discariche, zone di abbandono incontrollato di rifiuti speciali e residui industriali altamente inquinanti. Tra il 2006 ed il 2009 è assodato che il territorio campano è stato irreparabilmente danneggiato dallo smaltimento illegale di circa 13 milioni di tonnellate di rifiuti di ogni genere. E’ come se 520 mila Tir avessero percorso mezza Italia per trasferirvi veleni e produrre immensi giacimenti di spazzatura nelle campagne napoletane, nelle discariche, abusive e non, del casertano, nell’entroterra salernitano o nei terreni recentemente adibiti per l’occasione nel Sannio e nell’Irpinia. E’ bene sottolineare che da questa emergenza, figlia di un controllo criminoso del territorio da parte delle organizzazioni camorristiche, con la complicità di settori della politica e delle amministrazioni, lo Stato ha dimostrato e dimostra tuttora la sua incapacità ad interrompere il circolo vizioso che avvolge nella propria spirale l’intero ciclo industriale dei rifiuti e, persino, il meccanismo delle compensazioni ambientali e delle bonifiche. La singolare forma di risarcimento delle compensazioni induce amministratori spregiudicati, o ignari e inconsapevoli, a svendere la qualità del proprio territorio in cambio di risorse economiche alle quali difficilmente potrebbero accedere, anche se già sottratte attraverso varie modalità di tagli e risparmi. Ciò che viene barattato – e si tratta di un fatto gravissimo – è il diritto alla salute di intere popolazioni. Per quanto attiene alle bonifiche, va detto che le comunità locali vengono vessate da una duplice forma di espropriazione. In primo luogo, perché con l’avvelenamento del territorio, in modo abusivo o meno, si compromette seriamente la salubrità dell’ambiente e di conseguenza il benessere complessivo della vita dei cittadini; in secondo luogo, perché le ingenti risorse finanziarie necessarie per ripristinare le condizioni di salubrità dell’ambiente sono di fatto sottratte alle attività indispensabili per elevare socialmente e culturalmente le popolazioni locali o, quantomeno, per garantire livelli appena sufficienti di vivibilità che oggi si sarebbero già dovuti raggiungere. Per prefigurare scenari futuri le discipline dell’architettura e dell’urbanistica trovano nella Regione Campania un campo di sperimentazione singolare e oltremodo complesso. Numerosi studi e ricerche, che si ripromettevano di elaborare metodi e modelli alternativi in grado di risolvere il nodo della concentrazione costiera della metropoli napoletana e della composizione di un sistema policentrico e pluridirezionale si sono infranti contro una visione asfittica del perimetro metropolitano, senza pertanto riuscire a conseguire i risultati attesi. Paradossalmente tali proposte, oltre a rivelarsi inefficaci, contenevano in sé elementi che hanno finito con l’aggravare ulteriormente il problema della congestione e della ingovernabilità della terza città italiana: 1. la scelta di localizzare nell’area urbana, in particolare nel Centro Storico, le funzioni direttive e produttive a scala regionale, provinciale e cittadina; 2. la fame cronica di alloggi – bisogno al tempo stesso reale e largamente indotto – che alimenta la congestione urbana e demografica, generando un cancro con vere e proprie metastasi, su cui hanno sempre lucrato speculatori e demagoghi; 3. il depauperamento delle condizioni e della qualità della vita urbana, che è, peraltro, l’esito negativo dell’accentramento complessivo delle funzioni nell’orbita di gravitazione del capoluogo regionale, con la conseguente e crescente domanda di abitazioni. La disgregazione sociale ed economica e il degrado ambientale con la decomposizione dell’armatura delle città, aggravati dalla crisi mondiale esplosa nel settembre del 2008, sono le due facce complementari del medesimo processo, un tempo identificabile con il sottosviluppo meridionale, ora espressione dei tratti regressivi dei fenomeni di periferizzazione indotti dalla globalizzazione asimmetrica e dal turbo-capitalismo finanziario. Inoltre, in uno scenario in cui si vanno moltiplicando i segnali minacciosi derivanti dal mutamento globale del clima - desertificazione, deforestazione, impoverimento dei suoli, riduzione delle aree coltivabili, crescente mancanza d’acqua e di spazi vivibili - non è più rinviabile il ripensamento in maniera radicale del vigente modello di sviluppo. Va arrestata la spirale più reddito più consumi, optando, al posto di una crescita miope e dissennata, per una migliore disponibilità di beni e servizi, materiali e immateriali, non lesivi dell’ambiente e socialmente utili. Come osserva Francesco Soverina nel Cittadino della società globale, “uno sviluppo sostenibile, fondato su un equilibrato rapporto tra popolazione, ambiente e risorse, è la strada da percorrere. Una strada imposta dalla necessità di una svolta energetica basata sulle fonti rinnovabili e sull’uso razionale dell’energia, e suggerita da ragioni etiche, tra cui in primo luogo la responsabilità verso le generazioni future, giacché per la prima volta nella storia ricade su di noi la decisione «se la Terra debba rimanere un luogo abitabile» (Lester R. Brown). L'uomo, in quanto membro del genere umano, deve porre un'estrema attenzione nel valutare le ripercussioni che le sue azioni possono avere sull'ambiente: è questa la tesi sostenuta dal filosofo Hans Jonas (1903-1993), che auspica un’etica della responsabilità poggiante sulla consapevolezza delle interdipendenze innescate dal progresso tecnico”. Tra i fattori che contribuiscono ad acuire la crisi ecologica planetaria vi è certamente quello della esplosione urbana. Entro il 2025 le città con più di un milione di persone saranno circa 650, di cui quasi 600 in Asia, in America Latina, in Africa, dove vivrà l’80 % della popolazione urbana mondiale. Già adesso è pari quasi a zero la sostenibilità sociale, economica ed ambientale delle metropoli del sottosviluppo e, più in generale, la gestione delle grandi concentrazioni urbane costituirà anche nell’Occidente capitalistico una delle maggiori sfide del XXI secolo. La dilatazione progressiva dei confini della metropoli incrementa in maniera esponenziale la mobilità interna ed esterna all’area e gli spostamenti ed il pendolarismo dalla periferia al centro e viceversa come attesta in maniera inconfutabile il caso italiano. Sempre dal Rapporto sui diritti globali si traggono dati eloquenti: l’Italia è il paese europeo con la più alta quantità pro capite di mobilità motorizzata con 598 auto ogni mille abitanti (+ 91 % dal 1980). Nel trasporto su gomma, infatti, i mezzi privati soddisfano circa l’82 % della domanda, con una crescita sostenuta della percentuale riferibile ai mezzi a due ruote. Come ha rilevato anche il WWF, il 67,4 % dei trasferimenti in città è appannaggio dell’auto privata. Inoltre, pur svolgendosi il 75 % della mobilità sulle corte e medie distanze, la legge finanziaria 2010 riserva invece un miliardo e mezzo all’incirca alle infrastrutture strategiche – autostrade e linee ad alta velocità ferroviaria – e soltanto 120 milioni di euro per la mobilità urbana alternativa. Se si prendono in considerazione i trasporti per i pendolari verso i cuori delle metropoli, emerge un dato ancor più grave, la mancanza degli investimenti necessari per attenuare gli effetti della paralisi del traffico e la congestione che assedia le grandi città. In Italia, infatti, dei 14 milioni di pendolari che si spostano quotidianamente dai centri minori verso quelli maggiori soltanto più di due milioni e mezzo fanno ricorso ai treni che, per lo più, sono affollati, obsoleti ed oggi spesso a rischio per la sicurezza degli utenti. Un’ulteriore osservazione deve essere fatta. Molti Stati dell’Unione Europea negli ultimi anni hanno diminuito e semplificato la loro suddivisione amministrativa, e molti di essi, pur avendo una superficie territoriale superiore a quella della Regione Campania, hanno un numero inferiore di comuni. Ad esempio l’Inghilterra, con una popolazione di circa 50 milioni e 100 mila abitanti ed una superficie di 130.395 chilometri quadrati, ha soltanto 233 comuni contro i 551 della Campania. Gli Stati con il minor numero di comuni sono la Danimarca e l’Islanda, rispettivamente con 98 e 79. La proposta per un nuovo assetto urbano della Regione Campania, inserita nell’ottica di una pianificazione sostenibile e nel rispetto dei criteri per la valutazione dell’impatto antropico sul territorio, scaturisce quindi dalla necessità di un riequilibrio omogeneo dei pesi demografici sul territorio regionale e delle funzioni urbane ad essi collegati. Tale obiettivo va perseguito con la realizzazione delle cosiddette città medie, ovvero città con una popolazione tra i 50 mila e i 100 mila abitanti, assumendo come parametro teorico la densità territoriale regionale media di 500 ab/kmq. L’accorpamento dei 551 comuni in 118 città medie è la soluzione alternativa alla situazione attuale contraddistinta da forti elementi di squilibrio territoriale che, a loro volta, sono causa di diseconomie non più sostenibili. Sia la concentrazione senza sviluppo di Napoli e della sua area metropolitana, che la polverizzazione e dispersione dei centri storici minori ormai in fase di disgregazione, a senescenza funzionale e al di sotto della soglia minima della funzionalità, sono fonti di ingenti sprechi economici; infatti per unità urbane che si allontanino dalla dimensione media ottimale dei 100 mila abitanti con densità territoriali medie intorno ai 400 – 500 ab/kmq si apre una divaricazione sempre più crescente tra le risorse economiche investite, necessarie al funzionamento delle macchine urbano-amministrative, ed il soddisfacimento dei fabbisogni delle popolazioni residenti. La soluzione prospettata dell’accorpamento dei comuni in città medie viene fuori dall’analisi della struttura geo-morfologica, della stratificazione storico-archeologica dei territori, dell’armatura urbana ed infrastrutturale di ciascuna provincia, dall’indagine sulle comunità locali e dall’impatto antropico sostenibile per ciascun comprensorio. La congruenza tra la metodologia e i criteri adottati e la proposta avanzata della composizione della Costellazione delle città medie campane è l’esito di un approccio organico alla programmazione e pianificazione per il governo del territorio, che deve essere in sintonia con la natura dei luoghi e dei territori stessi. In particolare l’ipotesi progettuale prefigurata si fonda sulla corrispondenza ed omogenea distribuzione tra le funzioni urbane e i pesi demografici. Si risponde così da un lato al soddisfacimento reale delle esigenze e dei fabbisogni delle comunità locali per la loro crescita culturale, sociale ed economica, dall’altro si riducono lievitazioni esponenziali dei costi e delle spese pubbliche, arginando in questo modo i fenomeni ricorrenti di emergenze ambientali e l’espansione del debito pubblico. Tutto ciò si pone in alternativa alla trasformazione, oggi imperante, dei territori e delle infrastrutture di connessione all’insegna dell’intreccio strettissimo tra movimentazione e commercializzazione delle merci. Questo modello, che segna una netta discontinuità con le tradizioni delle comunità locali, è di fatto imposto dalla logica e dalle dinamiche della globalizzazione neo-liberista, di cui una delle maggiori espressioni sono i non-luoghi dei mega-centri commerciali, icone prive di qualsiasi propria identità al punto da riesumare dal passato forme, simboli e canoni estetici ma trasfigurati in modo tale che reale e virtuale si sovrappongano generando contenitori contrassegnati dagli elementi paradigmatici della falsificazione, il kitsch del kitsch. L’obiettivo del riequilibrio demografico e territoriale della Regione Campania attraverso la Costellazione delle città medie ha un’ulteriore, significativa ricaduta in termini di semplificazione e alleggerimento dei costi della macchina politico-amministrativa, favorendo una più calibrata e adeguata rappresentanza istituzionale, non intralciata da un’inutile e superflua moltiplicazione di ruoli e di ingranaggi burocratici. Avvertita sin dagli anni Settanta, l’esigenza di far evolvere in armonia il tessuto sociale ed economico dei territori della Campania, con la composizione omogenea di città e di valori urbani, si è tradotta in uno strumento legislativo, la Legge n° 54 del 1974, su cui, ad esempio, ha fatto leva la comunità ischitana per far convergere in una sola Amministrazione le sei esistenti. Una scelta del genere costituisce una fondamentale opportunità per i cittadini di avere la possibilità di collegarsi più direttamente agli organismi politico-amministrativi dell’Unione Europea. Riferimenti bibliografici Stam M., Scmidt H., Lissitzky E., Meyer H. (1923), ABC n. 1, Zurigo. Benevolo L. (1963), Storia dell’urbanistica moderna, Laterza, Bari. Dericke P-H. (1970), Economia urbana, Il Mulino, Bologna. Gottmann J. (1970), Megalopoli. Funzioni e relazioni di una pluricittà, Einaudi, Torino. Betri M. L. (1971), Cittadella e Cecilia. Due esperimenti di colonia agricola socialista. 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The costellation of Campania cities. La costellazione delle città campane / Buondonno, Emma. - ELETTRONICO. - 1:(2010), pp. 867-879. (Intervento presentato al convegno Abitare il futuro...dopo Copenhagen. Inhabiting the future...after Copenhagen. tenutosi a Facoltà di Architettura, Università degli Studi di Napoli Federico II, Complesso dello Spirito Santo, Napoli nel 13 e 14 dicembre 2010).
The costellation of Campania cities. La costellazione delle città campane.
BUONDONNO, EMMA
2010
Abstract
The Costellation of Campania Cities Emma BuondonnoDipartimento di Progettazione Urbana e di Urbanistica. Università di Napoli “Federico II”e-mail: emma.buondonno@unina.it Currently Campania Region is composed by five provinces and 551 municipalities, the territorial organization was triggered by history and administrative stratification of many centuries. The resident population of Campania region is about 10 % of the Italian population and the land area is likely to generate a spatial density of 450 inhabitants per square kilometer. Social tensions that resulted in the recent past by certain environmental emergencies derived by the crisis in waste management and growth of socially vulnerable population, have in regional planning and organization of the Campania’s city one of the reasons of the imbalance of the economic, social, administrative and government system. This phenomenon becomes increasingly alarming as reinforcing the dynamics of globalization is contrasted with an historical and stratified space as that of ancient Campania Felix. To anticipate future scenarios the disciplines of architecture and urbanism in the Campania region have a range of testing unique and highly complex. Numerous studies and researches are aimed to develop methods and models alternative to the concentration of the coastal cities of Naples and the composition of a polycentric and multi-directional process but are stuck in the suffocating vision of the metropolitan perimeter without achieving the results defined at the outset. The research report is intended to serve is based on the objective of political and administrative reorganization of the entire region in order to dial 118 medium-sized cities, from the current 551 municipalities, in a configuration of a five constellation of city attached to the Pentagon City area of 5 provincial capitals. Relations infrastructure necessary to make the constellations are largely existing and drawn from historical armor. The identification of medium-sized cities implies a reorganization of the administrative, political and economic. In particular for the province of Naples, the mayors will be reduced from 92 to 19, councilors from 380 to 85 and advisers from 1.530 to 368. For the province of Caserta, the mayors will be reduced from 104 to 24, councillors from 434 to 146 and advisers from 1.704 to 680. For the province of Avellino, the mayors will be reduced from 119 to 23, councilors from 492 to 144 and advisers from 1.642 to 690. For the Province of Benevento mayors will be reduced from 78 to 16, councilors from 268 to 98 and advisers from 1.080 to 490. Finally, for the province of Salerno mayors will be reduced from 158 to 36, councilors from 588 to 216 and advisers from 2.348 to 970. The studies of urban systems and of the geographers have often made reference to gravitational patterns and in the recent past also to entropy, both positive and negative orientation. With this contribution, therefore, seeks to demonstrate how, through the integration of the reasons of the places’s nature, historical stratification and current needs of the communities living in the territories, it is possible to experiment with new urban patterns and connections that generate constellations of cities alternative to magma urban metropolitan Naples. La Costellazione delle Città Campane Il rapporto di ricerca che in questa sede si intende illustrare mira alla riorganizzazione politico-amministrativa dell’intero territorio regionale al fine di comporre 118 città medie, dai 551 comuni esistenti, in una configurazione di 5 costellazioni di città agganciate al pentagono campano dei capoluoghi di provincia. Con il presente contributo si tenta di dimostrare come tenendo conto armonicamente delle ragioni della natura dei luoghi, della stratificazione storica e delle esigenze delle comunità attualmente insediate nei territori, sia possibile sperimentare nuovi modelli urbani e connessioni che generino costellazioni di città in alternativa al magma urbano metropolitano napoletano. Com’è risaputo la Campania è composta da cinque Province e 551 Comuni. Con una superficie territoriale di circa 13.563 chilometri quadrati e 5.790.225 mila abitanti (dati ISTAT 2007), è per estensione la dodicesima regione italiana e per densità la prima, con 427 abitanti per chilometro quadrato; la popolazione residente costituisce circa il 10 % di quella italiana e la popolazione media per comune è di circa 10.500 abitanti. La provincia di Napoli raccoglie il 53 % degli abitanti della Campania, su di una superficie che è appena il 9 % del territorio regionale. Riprendendo la nota distinzione di Manlio Rossi Doria, si può dire che in Campania vi siano due zone contrapposte: da un lato, quella che il grande meridionalista definiva la polpa, cioè la cosiddetta “fascia costiera”, ad elevata concentrazione demografica ed urbana, ormai priva di spazi vitali, e, dall’altro lato, l’osso, ovvero un’area, ossia quasi tutte le province, a bassa densità, caratterizzata da senescenza funzionale e da un progressivo decremento della popolazione. Tale organizzazione territoriale ed amministrativa, frutto di una plurisecolare stratificazione storica, determina una densità territoriale media pari a 2.633,66 abitanti per kmq per la provincia di Napoli, di contro a una densità territoriale media relativa a tutte le altre province pari a 218,48 abitanti per kmq, ovvero pari a meno del 10% di quella mediamente riscontrata nella provincia napoletana. Questo valore si abbassa di parecchio, se si esclude dal computo la provincia di Caserta, che ha una densità relativamente più alta delle restanti province. Va notato, inoltre, che la provincia di Napoli ha un numero di abitanti pari a 1,14 volte più di quelli del totale delle altre province, nonostante abbia una superficie pari a meno della decima parte di quella totale delle restanti quattro province di Avellino, Benevento, Caserta e Salerno. Mentre la Lombardia, che ha circa 9.200.000 abitanti, conta undici città capoluogo delle rispettive province su una superficie di 23.852 kmq, la Campania ha soltanto cinque città capoluogo, che sono situate nei vertici del pentagono inscritto in una circonferenza di appena 50 km di raggio, sbilanciato rispetto al resto del territorio regionale: il Cilento, il Vallo di Diano, gran parte del Sannio e dell’Irpinia, sono assai distanti da Napoli. Quest’ultima, dal momento che in essa sono concentrate tutte le funzioni di primo livello, alla scala regionale e provinciale, costituisce il “centro” di un modello di assetto territoriale ed amministrativo basato sulla località centrale per eccellenza. E’ qui che si svolge il governo della Regione, della Provincia e del Comune, tra il Centro Direzionale, Piazza Matteotti e Piazza Municipio, in un raggio di soli 10 km. I flussi di traffico veicolari avvengono da e per lo svincolo autostradale Napoli-Caserta, per agganciarsi all’asse viario nazionale Roma-Caserta-Salerno. L’armatura urbana regionale è di tipo monocentrico (Napoli) e monodirezionale (Napoli-Caserta). Su tale modello di assetto, che ha raggiunto una dimensione metropolitana coincidente con l’intera provincia di Napoli e che ha invaso anche parti delle province di Caserta e Salerno, si innesta il nuovo “disegno” delle reti infrastrutturali nazionali ed europee - il progetto è già in fase di realizzazione - con la definizione di due corridoi plurinodali: il primo corridoio trans-europeo “Berlino-Roma-Napoli-Reggio” e l’ottavo corridoio trans-balcanico “Napoli-Bari-Balcani”. Da qui il ruolo di cerniera e di piattaforma logistica del Mediterraneo che Napoli e la sua area metropolitana è chiamata a svolgere nel prossimo futuro. La spina dorsale di questa trasformazione territoriale in atto, con il potenziamento dei due scali passeggeri e merci, il porto commerciale di Napoli e l’aeroporto internazionale di Grazzanise, è costituita dalla rete infrastrutturale su ferro dell’alta velocità Roma-Caserta-Vesuvio Est. L’area napoletana, e in particolare la zona di Napoli-Caserta, si salderebbe, di fatto, all’area metropolitana di Roma, dando vita così alla terza area metropolitana europea per dimensione e popolazione insediata. Per invertire la tendenza alla saturazione delle aree attorno alla città di Napoli, attraverso progressive urbanizzazioni ed espansioni concentriche a macchia d’olio, sarebbe stato opportuno applicare a suo tempo la Legge n. 142 del 1990, definendo un assetto territoriale aderente allo schema policentrico e pluridirezionale di riequilibrio dell’intera area metropolitana esistente. Già dall’inizio degli anni Novanta, infatti, l’area metropolitana di Napoli travalicava i confini provinciali, accorpando non poche parti delle province di Caserta e Salerno. Purtroppo il disegno incentrato sullo schema policentrico e pluridirezionale non è stato mai attuato, né ha mai trovato consensi né in Campania sono state mai messe in atto vere e proprie strategie di pianificazione a scala regionale. Anzi bisogna ricordare la mancata attuazione della Regione metropolitana campana, con la complementare inesistente attenzione nei riguardi del Sannio, dell’Irpinia e del Cilento. Fattori questi che hanno aggravato il divario tra la concentrazione dell’area metropolitana di Napoli e la desertificazione delle altre aree regionali. Cosa che emerge con chiarezza dal confronto tra la popolazione residente nella provincia napoletana, con la sua “densità asiatica”, e la popolazione residente nelle province di Salerno, Caserta, Avellino e Benevento. Rispetto agli attuali abitanti e ai rispettivi potenziali carichi insediativi, la provincia di Salerno registra teoricamente un deficit di popolazione di circa 1.400.000 abitanti; quella di Avellino un deficit di 957 mila abitanti; quella di Benevento un deficit di 770 mila abitanti; e quella di Caserta di 428 mila unità. Al contrario la provincia di Napoli ha un surplus di popolazione residente che ammonta a due milioni e mezzo. La forte disparità tra popolazioni insediate e sostenibilità ambientale all’impatto antropico è quanto mai evidente. Stante questa situazione, la programmazione delle “aree di densificazione per il soddisfacimento di ulteriori fabbisogni di alloggi” appare come una scelta quanto mai rischiosa, sia rispetto alla vulnerabilità del territorio agli eventi sismici, vulcanici e bradisismici, sia per quanto concerne il governo ed il controllo del territorio su cui pesa il condizionamento delle attività illecite e criminose. Lo strumento urbanistico provinciale tuttora in discussione individua ben cinque aree di densificazione urbana: 1) Mugnano-Villaricca; 2) Pomigliano d’Arco; 3) Nola; 4) Giugliano in Campania; 5) Striano. Alle ultime due aree di densificazione urbana corrispondono due nuove centralità urbane. Sono altresì previste delle centralità urbane così ripartite: tre a Napoli città, a Nord, Est ed Ovest e cioè a Secondigliano, Poggioreale e Bagnoli; cinque a scala metropolitana, ad Ovest - Villaricca, a Nord - Acerra; ad Est - Somma Vesuviana e Boscotrecase, quest’ultime site in ambito vesuviano, nella nota zona rossa a rischio vulcanico permanente. Questa densificazione, contrariamente a quanto si sostiene, si configura come un nuovo PSER - Piano Straordinario di Edilizia Residenziale – quale quello degli anni Ottanta post-terremoto, riproposto questa volta su scala provinciale. E il sistema integrato regionale dei trasporti della Regione non fa altro che stabilizzare la situazione attuale in quanto ricalcato sull’esistente rete della mobilità metropolitana di Napoli, con la previsione soltanto di opere di completamento e ristrutturazione, ad eccezione di due nuovi interventi viari “esterni” che interessano il Sannio e l’Irpinia. Il problema cruciale dell’area metropolitana è rappresentato, però, dagli scambi commerciali portuali e dalla movimentazione dei container da e per il porto di Napoli, che provoca un impatto territoriale molto elevato, concernente gli aspetti quantitativi e soprattutto la qualità ambientale dei luoghi interessati. I danni da inquinamento atmosferico dovuto al prevalente ricorso ai Tir per il trasporto delle merci; i disagi causati dall’ingombro fisico e dalla carente fruizione del paesaggio, determinata dai container impilati permanentemente lungo il fronte del mare; l’incremento degli incidenti stradali, che si traducono in costi per la collettività, sono elementi tali da far escludere, allo stato attuale delle cose, la designazione di Napoli come la grande piattaforma del Mediterraneo. La dimensione del problema richiederebbe, quantomeno, la pianificazione delle funzioni a scala interregionale con la valutazione degli effettivi benefici derivanti da questa scelta, e in relazione alla questione della tutela e riqualificazione del sistema costiero. Ciò posto, sembra evidente che per la provincia di Napoli non si può pensare ad ulteriori espansioni del tessuto urbano e al rafforzamento delle infrastrutture e, contestualmente, garantire la tutela della natura e la salvaguardia dell’attività agricola e dei paesaggi rurali della “piana”, supponendo comunque di destinarne alcune parti a discariche e megapattumiere dei rifiuti prodotti da oltre tre milioni di abitanti. Per un’area a così elevata concentrazione demografica, segnata da vistosi fenomeni di disagio sociale per altro amplificati da preoccupanti livelli di violenza e criminalità, va perseguito l’obiettivo prioritario della pianificazione dell’ambiente di vita, provvedendo a conciliare lo spazio della città e la natura dei luoghi, mediante politiche finalizzate alla valorizzazione del territorio, alla riduzione del carico demografico e all’ottimizzazione della distribuzione delle attività produttive e commerciali, in modo da preservare gli spazi vitali necessari alla qualità del vivere quotidiano. L’intera cultura dell’assetto spazio-territoriale, in tutta Europa e in particolare Oltralpe, da molti anni ruota attorno alla ricerca e al dibattito sui temi della “città di domani”, come dimostrano le molteplici attività e riflessioni su “la ville émergente”, “la ville sur la ville”, “le dévelopment durable”, anche sulla base della nuova “Carta di Atene”. Tra i temi d’approfondimento vi è quello sulle Villes Nouvelles nella Regione Ile de France. Ed è così che è stata rilanciata un’idea oggetto di un’esperienza urbanistica, d’ampiezza eccezionale in Francia, che dura da circa quarant’anni, con il coinvolgimento di urbanisti, geografi, numerosi studiosi di economia urbana, di armatura urbana, che tra l’altro hanno affrontato il problema dei costi della crescita urbana, messi a confronto con quelli relativi alla creazione di nuove città. Tutti questi intellettuali hanno sempre considerato, giustamente, la città come un fenomeno da analizzare e studiare in maniera interdisciplinare. Non va dimenticato che lo studio dell’armatura urbana in Francia ha portato alla costituzione delle 8 famose “métropoles d’equilibre”, che dovevano avere appunto il compito di riequilibrare la sperequazione economica tra Parigi e la provincia (Lilla-Roubaix-Tourcoing, Nancy-Metz, Strasburgo, Lione-Saint-Etienne-Grenoble, Marsiglia, Tolosa, Bordeaux, Nantes-Saint Nazare). Qualunque sia il giudizio degli uni o degli altri studiosi, le Villes Nouvelles in Francia hanno mobilitato saperi, competenze e mezzi pubblici a un livello inusuale. Più o meno allo stesso modo, e sarebbe importante riprendere il discorso su questi altri aspetti, ci si è mossi in Gran Bretagna, con la politica volta alla creazione di una galassia di new towns, nei paesi scandinavi e in altri paesi europei. Ė importante, quindi, far tesoro di questi esempi, acquisendone metodi, risultati o anche la definizione di problematiche nuove. In sostanza si tratta di trovare soluzioni a carattere sistemico e non soluzioni unidirezionali, ben consapevoli che l’urbanistica, come tutte le discipline che, direttamente o indirettamente, si occupano di territorio, può solo collaborare e interagire con altri analisti e decisori nel dare possibili risposte, non potendo certamente fornire certezze. Rispetto alle problematiche presenti in Campania, di cui va ripercorso il cammino, comprendendone la genesi, occorre provvedere alla riorganizzazione e alla strutturazione dello spazio in modo da avere città che funzionino bene per tutti i cittadini, sì da risolverne, o quantomeno ridurne, tutti i problemi della vita quotidiana: l'approvvigionamento alimentare, il diritto all'abitazione, ai trasporti, alle reti idriche, allo smaltimento dei rifiuti, ai nuovi mezzi di comunicazione, alla tutela della salute, alle nuove forme di cultura urbana, e così via. Bisogna per di più puntare sulla qualità delle trasformazioni urbane e territoriali attraverso proposte capaci di valorizzare le caratteristiche locali e globali, proposte che debbono scaturire dalla considerazione e dall'analisi di fattori rilevanti quali le infrastrutture e le attrezzature, il rapporto con l'antico, il recupero e la valorizzazione delle risorse, la nuova residenza, le periferie, i luoghi di aggregazione. Poiché la dimensione metropolitana è ormai una realtà diffusa, la sfida non è quella di attenuarne gli effetti negativi (il grave inquinamento atmosferico e acustico, il traffico caotico, la carenza di parcheggi, di aree pedonali e ciclabili, l‘esistenza di un sistema di sprechi urbani, eccetera), ma di governarli secondo una logica di sviluppo sostenibile, ragionando in termini di risposta ai bisogni delle persone e nella consapevolezza che il territorio non è un bene illimitato, tenendo nel debito conto, lo si ribadisce, che le esigenze del cittadino di oggi non si arrestano più solo a quelli essenziali come la casa e i servizi di base, ma intercettano nuove priorità tra le quali la qualità della vita e dell’ambiente, la qualità degli spazi urbani, l’identità dei luoghi costruiti e verdi. E' su queste priorità che bisogna indirizzare le scelte di progetto per orientare lo sviluppo futuro. Ed è perciò urgente, ancor più che necessario, pensare ed attuare un modello urbano/metropolitano/regionale in cui le funzioni siano localizzate in maniera razionale, sì da massimizzare i benefici collettivi con il minimo dispendio di tempo, di energie e di risorse economiche, cosicché lo spostarsi da un luogo all'altro non avvenga in situazioni di stress permanente. E’ palese, dunque, come sia impellente progettare una griglia di riferimento per le città in cui l’infrastrutturazione del territorio e la dotazione di nuovi servizi diventino gli elementi strategici da perseguire sui quali poi, e solo in seguito, disegnare lo sviluppo dei tessuti seriali urbani (residenze, attività produttive, turistiche, eccetera) e non viceversa. Così com’è evidente quanto siano nevralgiche per il soddisfacimento dei bisogni le politiche sulle fonti di energia rinnovabili e non inquinanti in riferimento al trasporto e alla mobilità urbana, oltre che alla casa. Il nuovo “disegno” della Campania deve essere, pertanto, un progetto di nuove città in relazione alla sostenibilità ambientale all’impatto antropico, ossia deve essere un progetto basato sull’integrazione tra Natura e Architettura, tenendo nel dovuto conto densità territoriali, funzioni e destinazioni d’uso, accessibilità e mobilità, attrezzature e servizi. Con la distribuzione dei pesi di popolazione e delle attività produttive, delle attrezzature e dei servizi in funzione delle capacità di accoglimento del territorio ed alleggerimento dei pesi stessi a Napoli e nella sua area metropolitana. Più che insistere sui piani di densificazione urbana, è quindi preferibile delineare una “nuova” armatura urbana della Regione Metropolitana Campana per il riequilibrio territoriale demografico e produttivo, con la formazione delle nuove città sannite, irpine, cilentane e casertane. E’ opportuno, a questo punto, confrontare i dati della superficie territoriale, della popolazione residente nonché della densità territoriale della Campania con quelli degli Stati dell’Unione Europea. Da questo esame si evince che la Campania è dodicesima per popolazione residente, diciassettesima per estensione, mentre per densità territoriale è seconda solo ai Paesi Bassi. Tale squilibrio, che ha profonde radici storiche, non riguarda soltanto la componente demografica, ma pure gli assetti sociali, amministrativi, economici e produttivi. Esso è stato accentuato dalle tensioni sociali, che nel recente passato sono state innescate dall’incremento delle fasce di popolazione socialmente deboli e in particolare dalle emergenze ambientali, a loro volta determinate soprattutto dalla crisi della gestione dei rifiuti. Se prima tale squilibrio era imputabile essenzialmente alla configurazione fisica del territorio, nonché alle stesse opportunità che essa offriva, dal secondo dopoguerra ad oggi è specialmente espressione di un deficit politico, cioè di una inadeguata governance delle città campane. Il fenomeno è tanto più grave a fronte delle dinamiche di globalizzazione in atto che tendono a vanificare qualsiasi sforzo di pianificazione e gestione del territorio, mettendo radicalmente in discussione un sistema spaziale storico e stratificato come quello dell’antica Campania Felix. Un sistema su cui incombe, come una spada di Damocle, la questione drammaticamente cruciale dei rifiuti. La Campania – come si legge nel Rapporto sui diritti globali, a cura dell’Associazione Società Informazione (Ediesse, Roma 2010), si trova saldamente in cima alla classifica dell’illegalità ambientale per lo sversamento dei rifiuti con 573 infrazioni accertate (14,7 % sul totale nazionale) e ben 63 arresti nel corso del 2009. Secondo i dati dell’ARPA la Campania detiene altri gravi primati: 2.551 siti da bonificare tra discariche, zone di abbandono incontrollato di rifiuti speciali e residui industriali altamente inquinanti. Tra il 2006 ed il 2009 è assodato che il territorio campano è stato irreparabilmente danneggiato dallo smaltimento illegale di circa 13 milioni di tonnellate di rifiuti di ogni genere. E’ come se 520 mila Tir avessero percorso mezza Italia per trasferirvi veleni e produrre immensi giacimenti di spazzatura nelle campagne napoletane, nelle discariche, abusive e non, del casertano, nell’entroterra salernitano o nei terreni recentemente adibiti per l’occasione nel Sannio e nell’Irpinia. E’ bene sottolineare che da questa emergenza, figlia di un controllo criminoso del territorio da parte delle organizzazioni camorristiche, con la complicità di settori della politica e delle amministrazioni, lo Stato ha dimostrato e dimostra tuttora la sua incapacità ad interrompere il circolo vizioso che avvolge nella propria spirale l’intero ciclo industriale dei rifiuti e, persino, il meccanismo delle compensazioni ambientali e delle bonifiche. La singolare forma di risarcimento delle compensazioni induce amministratori spregiudicati, o ignari e inconsapevoli, a svendere la qualità del proprio territorio in cambio di risorse economiche alle quali difficilmente potrebbero accedere, anche se già sottratte attraverso varie modalità di tagli e risparmi. Ciò che viene barattato – e si tratta di un fatto gravissimo – è il diritto alla salute di intere popolazioni. Per quanto attiene alle bonifiche, va detto che le comunità locali vengono vessate da una duplice forma di espropriazione. In primo luogo, perché con l’avvelenamento del territorio, in modo abusivo o meno, si compromette seriamente la salubrità dell’ambiente e di conseguenza il benessere complessivo della vita dei cittadini; in secondo luogo, perché le ingenti risorse finanziarie necessarie per ripristinare le condizioni di salubrità dell’ambiente sono di fatto sottratte alle attività indispensabili per elevare socialmente e culturalmente le popolazioni locali o, quantomeno, per garantire livelli appena sufficienti di vivibilità che oggi si sarebbero già dovuti raggiungere. Per prefigurare scenari futuri le discipline dell’architettura e dell’urbanistica trovano nella Regione Campania un campo di sperimentazione singolare e oltremodo complesso. Numerosi studi e ricerche, che si ripromettevano di elaborare metodi e modelli alternativi in grado di risolvere il nodo della concentrazione costiera della metropoli napoletana e della composizione di un sistema policentrico e pluridirezionale si sono infranti contro una visione asfittica del perimetro metropolitano, senza pertanto riuscire a conseguire i risultati attesi. Paradossalmente tali proposte, oltre a rivelarsi inefficaci, contenevano in sé elementi che hanno finito con l’aggravare ulteriormente il problema della congestione e della ingovernabilità della terza città italiana: 1. la scelta di localizzare nell’area urbana, in particolare nel Centro Storico, le funzioni direttive e produttive a scala regionale, provinciale e cittadina; 2. la fame cronica di alloggi – bisogno al tempo stesso reale e largamente indotto – che alimenta la congestione urbana e demografica, generando un cancro con vere e proprie metastasi, su cui hanno sempre lucrato speculatori e demagoghi; 3. il depauperamento delle condizioni e della qualità della vita urbana, che è, peraltro, l’esito negativo dell’accentramento complessivo delle funzioni nell’orbita di gravitazione del capoluogo regionale, con la conseguente e crescente domanda di abitazioni. La disgregazione sociale ed economica e il degrado ambientale con la decomposizione dell’armatura delle città, aggravati dalla crisi mondiale esplosa nel settembre del 2008, sono le due facce complementari del medesimo processo, un tempo identificabile con il sottosviluppo meridionale, ora espressione dei tratti regressivi dei fenomeni di periferizzazione indotti dalla globalizzazione asimmetrica e dal turbo-capitalismo finanziario. Inoltre, in uno scenario in cui si vanno moltiplicando i segnali minacciosi derivanti dal mutamento globale del clima - desertificazione, deforestazione, impoverimento dei suoli, riduzione delle aree coltivabili, crescente mancanza d’acqua e di spazi vivibili - non è più rinviabile il ripensamento in maniera radicale del vigente modello di sviluppo. Va arrestata la spirale più reddito più consumi, optando, al posto di una crescita miope e dissennata, per una migliore disponibilità di beni e servizi, materiali e immateriali, non lesivi dell’ambiente e socialmente utili. Come osserva Francesco Soverina nel Cittadino della società globale, “uno sviluppo sostenibile, fondato su un equilibrato rapporto tra popolazione, ambiente e risorse, è la strada da percorrere. Una strada imposta dalla necessità di una svolta energetica basata sulle fonti rinnovabili e sull’uso razionale dell’energia, e suggerita da ragioni etiche, tra cui in primo luogo la responsabilità verso le generazioni future, giacché per la prima volta nella storia ricade su di noi la decisione «se la Terra debba rimanere un luogo abitabile» (Lester R. Brown). L'uomo, in quanto membro del genere umano, deve porre un'estrema attenzione nel valutare le ripercussioni che le sue azioni possono avere sull'ambiente: è questa la tesi sostenuta dal filosofo Hans Jonas (1903-1993), che auspica un’etica della responsabilità poggiante sulla consapevolezza delle interdipendenze innescate dal progresso tecnico”. Tra i fattori che contribuiscono ad acuire la crisi ecologica planetaria vi è certamente quello della esplosione urbana. Entro il 2025 le città con più di un milione di persone saranno circa 650, di cui quasi 600 in Asia, in America Latina, in Africa, dove vivrà l’80 % della popolazione urbana mondiale. Già adesso è pari quasi a zero la sostenibilità sociale, economica ed ambientale delle metropoli del sottosviluppo e, più in generale, la gestione delle grandi concentrazioni urbane costituirà anche nell’Occidente capitalistico una delle maggiori sfide del XXI secolo. La dilatazione progressiva dei confini della metropoli incrementa in maniera esponenziale la mobilità interna ed esterna all’area e gli spostamenti ed il pendolarismo dalla periferia al centro e viceversa come attesta in maniera inconfutabile il caso italiano. Sempre dal Rapporto sui diritti globali si traggono dati eloquenti: l’Italia è il paese europeo con la più alta quantità pro capite di mobilità motorizzata con 598 auto ogni mille abitanti (+ 91 % dal 1980). Nel trasporto su gomma, infatti, i mezzi privati soddisfano circa l’82 % della domanda, con una crescita sostenuta della percentuale riferibile ai mezzi a due ruote. Come ha rilevato anche il WWF, il 67,4 % dei trasferimenti in città è appannaggio dell’auto privata. Inoltre, pur svolgendosi il 75 % della mobilità sulle corte e medie distanze, la legge finanziaria 2010 riserva invece un miliardo e mezzo all’incirca alle infrastrutture strategiche – autostrade e linee ad alta velocità ferroviaria – e soltanto 120 milioni di euro per la mobilità urbana alternativa. Se si prendono in considerazione i trasporti per i pendolari verso i cuori delle metropoli, emerge un dato ancor più grave, la mancanza degli investimenti necessari per attenuare gli effetti della paralisi del traffico e la congestione che assedia le grandi città. In Italia, infatti, dei 14 milioni di pendolari che si spostano quotidianamente dai centri minori verso quelli maggiori soltanto più di due milioni e mezzo fanno ricorso ai treni che, per lo più, sono affollati, obsoleti ed oggi spesso a rischio per la sicurezza degli utenti. Un’ulteriore osservazione deve essere fatta. Molti Stati dell’Unione Europea negli ultimi anni hanno diminuito e semplificato la loro suddivisione amministrativa, e molti di essi, pur avendo una superficie territoriale superiore a quella della Regione Campania, hanno un numero inferiore di comuni. Ad esempio l’Inghilterra, con una popolazione di circa 50 milioni e 100 mila abitanti ed una superficie di 130.395 chilometri quadrati, ha soltanto 233 comuni contro i 551 della Campania. Gli Stati con il minor numero di comuni sono la Danimarca e l’Islanda, rispettivamente con 98 e 79. La proposta per un nuovo assetto urbano della Regione Campania, inserita nell’ottica di una pianificazione sostenibile e nel rispetto dei criteri per la valutazione dell’impatto antropico sul territorio, scaturisce quindi dalla necessità di un riequilibrio omogeneo dei pesi demografici sul territorio regionale e delle funzioni urbane ad essi collegati. Tale obiettivo va perseguito con la realizzazione delle cosiddette città medie, ovvero città con una popolazione tra i 50 mila e i 100 mila abitanti, assumendo come parametro teorico la densità territoriale regionale media di 500 ab/kmq. L’accorpamento dei 551 comuni in 118 città medie è la soluzione alternativa alla situazione attuale contraddistinta da forti elementi di squilibrio territoriale che, a loro volta, sono causa di diseconomie non più sostenibili. Sia la concentrazione senza sviluppo di Napoli e della sua area metropolitana, che la polverizzazione e dispersione dei centri storici minori ormai in fase di disgregazione, a senescenza funzionale e al di sotto della soglia minima della funzionalità, sono fonti di ingenti sprechi economici; infatti per unità urbane che si allontanino dalla dimensione media ottimale dei 100 mila abitanti con densità territoriali medie intorno ai 400 – 500 ab/kmq si apre una divaricazione sempre più crescente tra le risorse economiche investite, necessarie al funzionamento delle macchine urbano-amministrative, ed il soddisfacimento dei fabbisogni delle popolazioni residenti. La soluzione prospettata dell’accorpamento dei comuni in città medie viene fuori dall’analisi della struttura geo-morfologica, della stratificazione storico-archeologica dei territori, dell’armatura urbana ed infrastrutturale di ciascuna provincia, dall’indagine sulle comunità locali e dall’impatto antropico sostenibile per ciascun comprensorio. La congruenza tra la metodologia e i criteri adottati e la proposta avanzata della composizione della Costellazione delle città medie campane è l’esito di un approccio organico alla programmazione e pianificazione per il governo del territorio, che deve essere in sintonia con la natura dei luoghi e dei territori stessi. In particolare l’ipotesi progettuale prefigurata si fonda sulla corrispondenza ed omogenea distribuzione tra le funzioni urbane e i pesi demografici. Si risponde così da un lato al soddisfacimento reale delle esigenze e dei fabbisogni delle comunità locali per la loro crescita culturale, sociale ed economica, dall’altro si riducono lievitazioni esponenziali dei costi e delle spese pubbliche, arginando in questo modo i fenomeni ricorrenti di emergenze ambientali e l’espansione del debito pubblico. Tutto ciò si pone in alternativa alla trasformazione, oggi imperante, dei territori e delle infrastrutture di connessione all’insegna dell’intreccio strettissimo tra movimentazione e commercializzazione delle merci. Questo modello, che segna una netta discontinuità con le tradizioni delle comunità locali, è di fatto imposto dalla logica e dalle dinamiche della globalizzazione neo-liberista, di cui una delle maggiori espressioni sono i non-luoghi dei mega-centri commerciali, icone prive di qualsiasi propria identità al punto da riesumare dal passato forme, simboli e canoni estetici ma trasfigurati in modo tale che reale e virtuale si sovrappongano generando contenitori contrassegnati dagli elementi paradigmatici della falsificazione, il kitsch del kitsch. L’obiettivo del riequilibrio demografico e territoriale della Regione Campania attraverso la Costellazione delle città medie ha un’ulteriore, significativa ricaduta in termini di semplificazione e alleggerimento dei costi della macchina politico-amministrativa, favorendo una più calibrata e adeguata rappresentanza istituzionale, non intralciata da un’inutile e superflua moltiplicazione di ruoli e di ingranaggi burocratici. Avvertita sin dagli anni Settanta, l’esigenza di far evolvere in armonia il tessuto sociale ed economico dei territori della Campania, con la composizione omogenea di città e di valori urbani, si è tradotta in uno strumento legislativo, la Legge n° 54 del 1974, su cui, ad esempio, ha fatto leva la comunità ischitana per far convergere in una sola Amministrazione le sei esistenti. Una scelta del genere costituisce una fondamentale opportunità per i cittadini di avere la possibilità di collegarsi più direttamente agli organismi politico-amministrativi dell’Unione Europea. Riferimenti bibliografici Stam M., Scmidt H., Lissitzky E., Meyer H. (1923), ABC n. 1, Zurigo. Benevolo L. (1963), Storia dell’urbanistica moderna, Laterza, Bari. Dericke P-H. (1970), Economia urbana, Il Mulino, Bologna. Gottmann J. (1970), Megalopoli. Funzioni e relazioni di una pluricittà, Einaudi, Torino. Betri M. L. (1971), Cittadella e Cecilia. Due esperimenti di colonia agricola socialista. 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