Cervello, mente e linguaggio. Una introduzione alle scienze cognitive Perché affermare che l’uomo è un essere ‘speciale’, posto al vertice del mondo animale e non, piuttosto, un essere ‘qualsiasi’, anche se più evoluto, uno tra i tanti altri animali, che popolano il mondo? Quali gli argomenti e quali le prove, se ci sono, che possano legittimare una delle due conclusioni e quale la loro attendibilità? Quale ruolo assume per l’uomo il linguaggio? Come comprendere la mente e la coscienza? Quale il ruolo del cervello?Può significare qualcosa per l’uomo sapere di essere ‘speciale’? L’intelligenza artificiale è in concorrenza con l’intelligenza umana? Quale soluzione scegliere, quella di Searle o quella di Dennett? Sono queste le domande che attraversano il volume Cervello, mente e linguaggio. La complessità delle questioni in gioco rende difficile una qualsiasi risposta, tale che possa essere considerata definitiva. L’affermazione sulla ‘specialità’ dell’essere dell’uomo non è così pacifica, da poter essere accettata acriticamente. Essa si presta a critiche e a contestazioni, anche in ambito scientifico, e da parte di chi fa riferimento a teorie di matrice darwinistica o neodarwinistica e da parte di chi, facendo professione di una ipotesi di tipo creazionistico, anche se orientata in senso evoluzionistico, si oppone ad ogni ipotesi contraria rispetto alla propria. Le stesse aperture da parte di filosofi, più possibilisti a riconoscersi in visioni della realtà, vicine alle nuove concezioni scientifiche, non sono, però, tali da giustificare una rinuncia alle argomentazioni più tradizionali, costruite sull’affermazione della ‘specialità’ dell’essere dell’uomo. Dagli esiti di questo dibattito sembrerebbe che l’idea tradizionale dell’uomo, propria della tradizione giudaico-cristiana, che ha trovato la sua massima espressione nella stagione dell’umanesimo italiano, non abbia più una particolare risonanza nella cultura contemporanea, più incline al dubbio e all’incertezza, soprattutto dopo la crisi delle certezze e la morte degli assoluti, sperimentate nelle immani tragedie del Novecento. La scoperta delle funzioni del DNA consente, d’altra parte, di affermare con certezza che la vita degli esseri umani, come anche quella degli altri esseri viventi, è basata su comuni processi delle stesse sostanze chimiche. Sono le quattro sostanze base del DNA, che possono essere sintetizzate dall’uomo in laboratorio e che messe in una determinata sequenza danno le istruzioni necessarie per la sintesi, opportunamente regolata nello spazio e nel tempo, delle proteine, le molecole le cui funzioni sono fondamentali in tutti i processi di ogni organismo vivente. L’uomo, dopo ogni ragionevole dubbio e perplessità, è realmente un essere ‘speciale’? Come rispondere a questo interrogativo, diventato oggi inevitabile, come fosse una sfida? Su quali basi documentali e con quali osservazioni e argomenti? E, infine, a quale conclusione sull’uomo, si potrà arrivare, se la risposta all’interrogativo è positiva, o, se, al contrario, è negativa? Infine, cambia qualcosa sul modo di concepire l’uomo e il suo destino nel mondo, se a prevalere sia la risposta, che nega la ‘specialità’ dell’uomo, a favore di una concezione indifferenziata del mondo animale, dove le distanze tra gli esseri animali sono così labili, da risultare, infine, inconsistenti? Lo stesso interrogativo, già formulato, può essere posto in termini diversi, ma la questione e il quadro concettuale rimangono in sostanza invariati. «Perché gli esseri umani – si chiede Steven Pinker – devono essere considerati più singolari degli elefanti, dei pinguini, dei castori, dei cammelli, dei serpenti a sonagli, degli uccelli parlanti, delle murene che danno la scossa elettrica, degli insetti che si mimetizzano sulle foglie delle sequoie giganti, delle mantidi religiose, dei pipistrelli o dei pesci di profondità che hanno una lanterna fluorescente sulla testa?» . Senza dare per nulla scontate l’argomentazione di Pinker e la conclusione sottesa, c’è una ragione in particolare, che giustifichi la linea di differenziazione tra l’essere dell’uomo e tutti gli esseri animali non umani? Oppure si tratta di una forma di autopromozione, che l’uomo stesso si dà senza alcun fondamento, quasi per affermare la propria superiorità su un mondo di esseri, pensato su una misura eccessivamente umana, che, in realtà, sfugge al controllo del suo dominio, perché in balia di forze casuali, se non oscure? La domanda, così com’è posta in tutte le sue diverse varianti, è ineludibile e richiede una risposta, qualsiasi essa sia, perché è questa risposta a determinare in un senso o nell’altro il destino stesso dell’uomo nel mondo. Non c’è altra scelta possibile: o l’uomo è l’essere posto sopra tutti gli esseri animali o è, più semplicemente, uno tra loro e, certamente, non il più ‘forte’ e il più ‘dotato’. Solo se l’uomo può essere considerato un essere ‘speciale’, è legittimo stabilire una gerarchia nella scala degli esseri animali e porre l’uomo al suo vertice, come punto terminale e più alto del mondo degli esseri viventi non umani. Soprattutto, solo se è ‘speciale’, rispetto a tutti gli altri esseri viventi animali, l’uomo diventa un soggetto etico, un essere, cioè, titolare di diritti e di doveri, responsabile di se stesso, degli altri e del mondo intero, suscettibile di giudizio e di condanna, come di pena o di premio. L’interrogativo di Steven Pinker, sulla ‘singolarità’ dell’uomo, rispetto agli altri esseri animali, è legittimo e trova una risposta, forse l’unica possibile, nell’evoluzione del cervello, che ha interessato l’essere dell’uomo. Il cervello ha ‘creato’ l’attività mentale. È l’evoluzione del cervello che è stata all’origine dell’attività mentale e dello sviluppo del linguaggio e che ha determinato la ‘specialità’ dell’essere dell’uomo. Mente e linguaggio segnano il perimetro dell’umanità. Tutti gli esseri, animati o inanimati sono parte del mondo, ma soltanto l’uomo, dotato della mente e del linguaggio, fa parte del mondo e lo possiede. Il fatto di essere parte del mondo non significa di per sé possedere il mondo. Perché è attraverso il dono del linguaggio, la risorsa che lo caratterizza in via esclusiva come essere umano, che l’uomo possiede il mondo, come la sua dimora più originaria, creandolo e ricreandolo, cambiandolo e trasformandolo, ponendo domande e chiedendo risposte. Nessun altro essere può rivendicare di far parte del mondo, di possederlo, anche se solo simbolicamente,di ricrearlo e di trasformarlo, adattandolo di continuo ai suoi ‘bisogni’ e ai suoi obiettivi. Rispondere alla domanda sul perché e sul come sia possibile per l’uomo, tramite l’attività della mente e l’attività del linguaggio, abitare il mondo, possederlo e ricrearlo, è il filo conduttore di questo lavoro e la ragione ultima di una ricerca ‘appassionata’ sull’uomo e sul suo destino.  

Cervello, mente e linguaggio. Una introduzione alle scienze cognitive / Pititto, Rocco. - STAMPA. - (2009).

Cervello, mente e linguaggio. Una introduzione alle scienze cognitive

PITITTO, ROCCO
2009

Abstract

Cervello, mente e linguaggio. Una introduzione alle scienze cognitive Perché affermare che l’uomo è un essere ‘speciale’, posto al vertice del mondo animale e non, piuttosto, un essere ‘qualsiasi’, anche se più evoluto, uno tra i tanti altri animali, che popolano il mondo? Quali gli argomenti e quali le prove, se ci sono, che possano legittimare una delle due conclusioni e quale la loro attendibilità? Quale ruolo assume per l’uomo il linguaggio? Come comprendere la mente e la coscienza? Quale il ruolo del cervello?Può significare qualcosa per l’uomo sapere di essere ‘speciale’? L’intelligenza artificiale è in concorrenza con l’intelligenza umana? Quale soluzione scegliere, quella di Searle o quella di Dennett? Sono queste le domande che attraversano il volume Cervello, mente e linguaggio. La complessità delle questioni in gioco rende difficile una qualsiasi risposta, tale che possa essere considerata definitiva. L’affermazione sulla ‘specialità’ dell’essere dell’uomo non è così pacifica, da poter essere accettata acriticamente. Essa si presta a critiche e a contestazioni, anche in ambito scientifico, e da parte di chi fa riferimento a teorie di matrice darwinistica o neodarwinistica e da parte di chi, facendo professione di una ipotesi di tipo creazionistico, anche se orientata in senso evoluzionistico, si oppone ad ogni ipotesi contraria rispetto alla propria. Le stesse aperture da parte di filosofi, più possibilisti a riconoscersi in visioni della realtà, vicine alle nuove concezioni scientifiche, non sono, però, tali da giustificare una rinuncia alle argomentazioni più tradizionali, costruite sull’affermazione della ‘specialità’ dell’essere dell’uomo. Dagli esiti di questo dibattito sembrerebbe che l’idea tradizionale dell’uomo, propria della tradizione giudaico-cristiana, che ha trovato la sua massima espressione nella stagione dell’umanesimo italiano, non abbia più una particolare risonanza nella cultura contemporanea, più incline al dubbio e all’incertezza, soprattutto dopo la crisi delle certezze e la morte degli assoluti, sperimentate nelle immani tragedie del Novecento. La scoperta delle funzioni del DNA consente, d’altra parte, di affermare con certezza che la vita degli esseri umani, come anche quella degli altri esseri viventi, è basata su comuni processi delle stesse sostanze chimiche. Sono le quattro sostanze base del DNA, che possono essere sintetizzate dall’uomo in laboratorio e che messe in una determinata sequenza danno le istruzioni necessarie per la sintesi, opportunamente regolata nello spazio e nel tempo, delle proteine, le molecole le cui funzioni sono fondamentali in tutti i processi di ogni organismo vivente. L’uomo, dopo ogni ragionevole dubbio e perplessità, è realmente un essere ‘speciale’? Come rispondere a questo interrogativo, diventato oggi inevitabile, come fosse una sfida? Su quali basi documentali e con quali osservazioni e argomenti? E, infine, a quale conclusione sull’uomo, si potrà arrivare, se la risposta all’interrogativo è positiva, o, se, al contrario, è negativa? Infine, cambia qualcosa sul modo di concepire l’uomo e il suo destino nel mondo, se a prevalere sia la risposta, che nega la ‘specialità’ dell’uomo, a favore di una concezione indifferenziata del mondo animale, dove le distanze tra gli esseri animali sono così labili, da risultare, infine, inconsistenti? Lo stesso interrogativo, già formulato, può essere posto in termini diversi, ma la questione e il quadro concettuale rimangono in sostanza invariati. «Perché gli esseri umani – si chiede Steven Pinker – devono essere considerati più singolari degli elefanti, dei pinguini, dei castori, dei cammelli, dei serpenti a sonagli, degli uccelli parlanti, delle murene che danno la scossa elettrica, degli insetti che si mimetizzano sulle foglie delle sequoie giganti, delle mantidi religiose, dei pipistrelli o dei pesci di profondità che hanno una lanterna fluorescente sulla testa?» . Senza dare per nulla scontate l’argomentazione di Pinker e la conclusione sottesa, c’è una ragione in particolare, che giustifichi la linea di differenziazione tra l’essere dell’uomo e tutti gli esseri animali non umani? Oppure si tratta di una forma di autopromozione, che l’uomo stesso si dà senza alcun fondamento, quasi per affermare la propria superiorità su un mondo di esseri, pensato su una misura eccessivamente umana, che, in realtà, sfugge al controllo del suo dominio, perché in balia di forze casuali, se non oscure? La domanda, così com’è posta in tutte le sue diverse varianti, è ineludibile e richiede una risposta, qualsiasi essa sia, perché è questa risposta a determinare in un senso o nell’altro il destino stesso dell’uomo nel mondo. Non c’è altra scelta possibile: o l’uomo è l’essere posto sopra tutti gli esseri animali o è, più semplicemente, uno tra loro e, certamente, non il più ‘forte’ e il più ‘dotato’. Solo se l’uomo può essere considerato un essere ‘speciale’, è legittimo stabilire una gerarchia nella scala degli esseri animali e porre l’uomo al suo vertice, come punto terminale e più alto del mondo degli esseri viventi non umani. Soprattutto, solo se è ‘speciale’, rispetto a tutti gli altri esseri viventi animali, l’uomo diventa un soggetto etico, un essere, cioè, titolare di diritti e di doveri, responsabile di se stesso, degli altri e del mondo intero, suscettibile di giudizio e di condanna, come di pena o di premio. L’interrogativo di Steven Pinker, sulla ‘singolarità’ dell’uomo, rispetto agli altri esseri animali, è legittimo e trova una risposta, forse l’unica possibile, nell’evoluzione del cervello, che ha interessato l’essere dell’uomo. Il cervello ha ‘creato’ l’attività mentale. È l’evoluzione del cervello che è stata all’origine dell’attività mentale e dello sviluppo del linguaggio e che ha determinato la ‘specialità’ dell’essere dell’uomo. Mente e linguaggio segnano il perimetro dell’umanità. Tutti gli esseri, animati o inanimati sono parte del mondo, ma soltanto l’uomo, dotato della mente e del linguaggio, fa parte del mondo e lo possiede. Il fatto di essere parte del mondo non significa di per sé possedere il mondo. Perché è attraverso il dono del linguaggio, la risorsa che lo caratterizza in via esclusiva come essere umano, che l’uomo possiede il mondo, come la sua dimora più originaria, creandolo e ricreandolo, cambiandolo e trasformandolo, ponendo domande e chiedendo risposte. Nessun altro essere può rivendicare di far parte del mondo, di possederlo, anche se solo simbolicamente,di ricrearlo e di trasformarlo, adattandolo di continuo ai suoi ‘bisogni’ e ai suoi obiettivi. Rispondere alla domanda sul perché e sul come sia possibile per l’uomo, tramite l’attività della mente e l’attività del linguaggio, abitare il mondo, possederlo e ricrearlo, è il filo conduttore di questo lavoro e la ragione ultima di una ricerca ‘appassionata’ sull’uomo e sul suo destino.  
2009
9788889671153
Cervello, mente e linguaggio. Una introduzione alle scienze cognitive / Pititto, Rocco. - STAMPA. - (2009).
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/11588/360082
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