Questa raccolta di saggi in lingua francese su Ricoeur prosegue la riflessione da me intrapresa nella precedente monografia “Paul Ricoeur. Une herméneutique de la condition humaine” (Ellipses, 2002). Essa ha l’ambizione di offrire una visione globale dell’opera del filosofo, nella sua unità di fondo, pur dando conto dei molteplici e ricchissimi sviluppi che l’hanno caratterizzata, all’interno di un lungo e operoso percorso di ricerca. In essa il tema della traduzione compare esplicitamente solo alla fine, come paradigma che ne ispira la fase conclusiva. L’ermeneutica ricoeuriana non dimentica mai la sollecitudine verso le persone che agiscono e soffrono, attori e narratori delle loro vite nel tempo umano della storia. Il soggetto ricoeuriano non è l’io fondante il mondo e gli altri io, ma il sé, discepolo del testo, cioè quella soggettività che appartiene a ciascuno nel suo rapporto costitutivo con l’alterità, in se stesso e nell’altro uomo. Nell’incrocio di prospettive fra tempo e memoria, la filosofia di Ricoeur rifiuta la chiusura del passato, concepito come irrevocabile, ma è aperta al futuro, grazie alla forza dell’iniziativa del presente e alle mediazioni imperfette tra passato, presente e futuro, che danno un senso alla prospettiva di condividere con e per gli altri una vita buona in istituzioni giuste. Ricoeur resta un pensatore quanto mai cauto rispetto alle audacie della metafisica e dell’ontoteologia. Tuttavia, è possibile individuare nel suo itinerario un nucleo metafisico, destinato a resistere al vaglio della critica, in ciò che lui chiama, con Nabert, l’”affermazione originaria”, cioè lo sforzo e il desiderio di esistere, comune a tutti gli esseri umani che vengono al mondo. Ricoeur si muove comunque nel senso di una filosofia senza assoluto, nella rinuncia al sapere assoluto hegeliano, rinuncia che è alla base dell’abbandono del grande progetto giovanile di una Poetica della volontà, vista come conclusione dell’intero disegno della Filosofia della volontà, quasi una sorta di filosofia della Trascendenza. Una visione globale del lavoro di Ricoeur suggerisce l'esistenza di uno sviluppo a spirale, in quanto nelle opere più recenti troviamo un ritorno alla stessa ricerca sulla volontà - nel contesto di una antropologia filosofica - che ispirò il progetto degli anni giovanili di Ricoeur. Movimento a spirale e non ritorno circolare alle origini, perché il principio e la fine non coincidono, ma si arricchiscono a vicenda, dopo un lungo viaggio di molti decenni attraverso l'universo del linguaggio. Questa deviazione - secondo la mia ipotesi di lavoro - si è progressivamente sviluppata attraverso tre paradigmi non contraddittori fra di loro, anzi intimamente solidali: simbolo, testo e traduzione. Nella traduzione, ciò che è al lavoro è il familiare e lo straniero, il sé e l'altro, l'altro che troviamo in noi stessi e che non può essere ridotto all'alterità dell'altro uomo. Nella traduzione abbiamo un concetto plurale di umanità, che è pur sempre una. Il lavoro sempre correggibile di traduzione, in ultima analisi, suggerisce l'idea di una ermeneutica dell’incompiutezza dell’esistenza. Il libro si conclude con un’analisi dell’ultima opera di Ricoeur, “Percorsi del riconoscimento”, che culmina col riconoscimento mutuo dei soggetti, passando per il riconoscimento come identificazione e per il riconoscimento di sé, conferma quell’apertura all’alterità che abbiamo riscontrato alla base del paradigma della traduzione.
Ricoeur. Herméneutique et traduction / Iervolino, Domenico. - STAMPA. - (2007).
Ricoeur. Herméneutique et traduction
IERVOLINO, DOMENICO
2007
Abstract
Questa raccolta di saggi in lingua francese su Ricoeur prosegue la riflessione da me intrapresa nella precedente monografia “Paul Ricoeur. Une herméneutique de la condition humaine” (Ellipses, 2002). Essa ha l’ambizione di offrire una visione globale dell’opera del filosofo, nella sua unità di fondo, pur dando conto dei molteplici e ricchissimi sviluppi che l’hanno caratterizzata, all’interno di un lungo e operoso percorso di ricerca. In essa il tema della traduzione compare esplicitamente solo alla fine, come paradigma che ne ispira la fase conclusiva. L’ermeneutica ricoeuriana non dimentica mai la sollecitudine verso le persone che agiscono e soffrono, attori e narratori delle loro vite nel tempo umano della storia. Il soggetto ricoeuriano non è l’io fondante il mondo e gli altri io, ma il sé, discepolo del testo, cioè quella soggettività che appartiene a ciascuno nel suo rapporto costitutivo con l’alterità, in se stesso e nell’altro uomo. Nell’incrocio di prospettive fra tempo e memoria, la filosofia di Ricoeur rifiuta la chiusura del passato, concepito come irrevocabile, ma è aperta al futuro, grazie alla forza dell’iniziativa del presente e alle mediazioni imperfette tra passato, presente e futuro, che danno un senso alla prospettiva di condividere con e per gli altri una vita buona in istituzioni giuste. Ricoeur resta un pensatore quanto mai cauto rispetto alle audacie della metafisica e dell’ontoteologia. Tuttavia, è possibile individuare nel suo itinerario un nucleo metafisico, destinato a resistere al vaglio della critica, in ciò che lui chiama, con Nabert, l’”affermazione originaria”, cioè lo sforzo e il desiderio di esistere, comune a tutti gli esseri umani che vengono al mondo. Ricoeur si muove comunque nel senso di una filosofia senza assoluto, nella rinuncia al sapere assoluto hegeliano, rinuncia che è alla base dell’abbandono del grande progetto giovanile di una Poetica della volontà, vista come conclusione dell’intero disegno della Filosofia della volontà, quasi una sorta di filosofia della Trascendenza. Una visione globale del lavoro di Ricoeur suggerisce l'esistenza di uno sviluppo a spirale, in quanto nelle opere più recenti troviamo un ritorno alla stessa ricerca sulla volontà - nel contesto di una antropologia filosofica - che ispirò il progetto degli anni giovanili di Ricoeur. Movimento a spirale e non ritorno circolare alle origini, perché il principio e la fine non coincidono, ma si arricchiscono a vicenda, dopo un lungo viaggio di molti decenni attraverso l'universo del linguaggio. Questa deviazione - secondo la mia ipotesi di lavoro - si è progressivamente sviluppata attraverso tre paradigmi non contraddittori fra di loro, anzi intimamente solidali: simbolo, testo e traduzione. Nella traduzione, ciò che è al lavoro è il familiare e lo straniero, il sé e l'altro, l'altro che troviamo in noi stessi e che non può essere ridotto all'alterità dell'altro uomo. Nella traduzione abbiamo un concetto plurale di umanità, che è pur sempre una. Il lavoro sempre correggibile di traduzione, in ultima analisi, suggerisce l'idea di una ermeneutica dell’incompiutezza dell’esistenza. Il libro si conclude con un’analisi dell’ultima opera di Ricoeur, “Percorsi del riconoscimento”, che culmina col riconoscimento mutuo dei soggetti, passando per il riconoscimento come identificazione e per il riconoscimento di sé, conferma quell’apertura all’alterità che abbiamo riscontrato alla base del paradigma della traduzione.File | Dimensione | Formato | |
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