La ricostruzione materiale e morale del secondo dopoguerra non poteva evitare di fare i conti con le contraddizioni emerse con il conflitto, che avevano gettato più di un’ombra sulla capacità di espansione progressiva dei principi razionali che per lungo tempo si era ritenuto dovessero guidare la storia e le varie pratiche immerse nel suo orizzonte. Né poteva l’architettura sfuggire ad una tale condizione, che le richiedeva di mettere in questione gli stessi principi razionali dei movimenti internazionali. L’interrogazione ripetuta sul nodo continuità/discontinuità rivelava i sintomi del disagio e la pressante richiesta di riconsiderare il significato stesso dei termini alla ricerca di una prospettiva che a quel disagio potesse reagire ‘positivamente’ e che non poteva non investire, perciò, fondamenti e fini del fare progettuale. Tale apertura problematica motiva l’incontro tra il filosofo Enzo Paci ed Ernesto Nathan Rogers, impegnato a ripensare verso nuovi orizzonti critici l’eredità del moderno. L’immer wieder (sempre di nuovo) costituisce in Paci un Leitmotiv in cui esplicita un’accezione della continuità come continuità di rinnovamento. Ma l’influenza di Paci sul dibattito architettonico si rivela non solo dalla lettura dei suoi scritti per le riviste di architettura ma anche rivisitando alcuni tratti del suo percorso filosofico. Questo scritto prova ad enucleare alcuni capisaldi del suo pensiero attraverso testi forse meno noti ai lettori di quelli apparsi sulle riviste di architettura per leggervi, esplicitamente o in filigrana, le ragioni critiche di questa influenza. Con Paci la nostra disciplina ha contratto molti debiti, che vanno al di là della Casabella ‘rogersiana’ e che si estendono come un’onda lunga sul dibattito di quegli anni e, più recentemente, sulla stessa rivista nell'arco di tempo in cui è stata diretta da Vittorio Gregotti. Il quale ha avuto modo di affermare che “molti vocaboli della fenomenologia paciana sono (…) passati nel linguaggio degli architetti: alcuni di noi parlano sovente di sospensione del giudizio, di orizzonti, di intenzionalità, di Umwelt, di relazione, di mondo della vita, espressioni che, sia pure con vistosi slittamenti, descrivono anche oggi, per alcuni architetti, un’area particolare di metodi, di prospettive, di esperienze di resistenza di fronte alle ideologie della crisi, di volontà di ricostituzione di relazioni necessarie tra disciplina e contesto fisico sociale.”
Enzo Paci. Un filosofo in dialogo con gli architetti / Rispoli, Francesco. - In: RASSEGNA DI ARCHITETTURA E URBANISTICA. - ISSN 0392-8608. - STAMPA. - 115/116:(2005), pp. 98-111.
Enzo Paci. Un filosofo in dialogo con gli architetti
RISPOLI, FRANCESCO
2005
Abstract
La ricostruzione materiale e morale del secondo dopoguerra non poteva evitare di fare i conti con le contraddizioni emerse con il conflitto, che avevano gettato più di un’ombra sulla capacità di espansione progressiva dei principi razionali che per lungo tempo si era ritenuto dovessero guidare la storia e le varie pratiche immerse nel suo orizzonte. Né poteva l’architettura sfuggire ad una tale condizione, che le richiedeva di mettere in questione gli stessi principi razionali dei movimenti internazionali. L’interrogazione ripetuta sul nodo continuità/discontinuità rivelava i sintomi del disagio e la pressante richiesta di riconsiderare il significato stesso dei termini alla ricerca di una prospettiva che a quel disagio potesse reagire ‘positivamente’ e che non poteva non investire, perciò, fondamenti e fini del fare progettuale. Tale apertura problematica motiva l’incontro tra il filosofo Enzo Paci ed Ernesto Nathan Rogers, impegnato a ripensare verso nuovi orizzonti critici l’eredità del moderno. L’immer wieder (sempre di nuovo) costituisce in Paci un Leitmotiv in cui esplicita un’accezione della continuità come continuità di rinnovamento. Ma l’influenza di Paci sul dibattito architettonico si rivela non solo dalla lettura dei suoi scritti per le riviste di architettura ma anche rivisitando alcuni tratti del suo percorso filosofico. Questo scritto prova ad enucleare alcuni capisaldi del suo pensiero attraverso testi forse meno noti ai lettori di quelli apparsi sulle riviste di architettura per leggervi, esplicitamente o in filigrana, le ragioni critiche di questa influenza. Con Paci la nostra disciplina ha contratto molti debiti, che vanno al di là della Casabella ‘rogersiana’ e che si estendono come un’onda lunga sul dibattito di quegli anni e, più recentemente, sulla stessa rivista nell'arco di tempo in cui è stata diretta da Vittorio Gregotti. Il quale ha avuto modo di affermare che “molti vocaboli della fenomenologia paciana sono (…) passati nel linguaggio degli architetti: alcuni di noi parlano sovente di sospensione del giudizio, di orizzonti, di intenzionalità, di Umwelt, di relazione, di mondo della vita, espressioni che, sia pure con vistosi slittamenti, descrivono anche oggi, per alcuni architetti, un’area particolare di metodi, di prospettive, di esperienze di resistenza di fronte alle ideologie della crisi, di volontà di ricostituzione di relazioni necessarie tra disciplina e contesto fisico sociale.”I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.