Ad Auschwitz Dio c’era. I credenti e la sfida del male Il Novecento è stato attraversato, in Europa come nel mondo, da lotte, da conflitti e da stermini di massa, sempre più estesi e più sanguinosi, tanto da essere definito come “l’era dei massacri”. Rovine, lutti e morti hanno accompagnato gli anni di tutto il secolo. L’uomo, - è questo il risultato più tragico -, è stato ucciso dal suo simile, seguendo una logica perversa, e niente fa pensare che nel futuro possano essere evitate sciagure ancora più gravi e l’uomo possa diventare soggetto di relazioni più umane nel rispetto della sua dignità e dei suoi diritti. La nascita di un mondo umano pacificato nelle sue diverse componenti rimane, ancora, il sogno più lungo a morire. Il dominio del male sembra senza confini e inarrestabile. Come uscire da questa condizione di male? In Ad Auschwitz Dio c’era il problema del male è considerato nelle sue articolazioni, seguendo in particolare le riflessioni di Henry Michel e di Paul Ricoeur, nella sofferta consapevolezza che il male non è l’ultima parola della storia. La domanda iniziale sul perché il male imperversa nel mondo è, in realtà, una domanda sull’uomo, che facendo il male abdica a se stesso e alla sua natura di essere con e per gli altri. Come tale richiama una serie di altri interrogativi ad essa collegati, dai quali si attende una risposta. Domanda e interrogativi, pur essendo sempre presenti alla coscienza dell’uomo di questo tempo, non hanno trovato, però, e non trovano mai risposte soddisfacenti, perché rimandano al grande mistero del male, come a qualcosa di ineluttabile. Le grandi tragedie del Novecento hanno segnato profondamente la coscienza dell’uomo di questo tempo, sempre più inquieto e dubbioso. L’interrogativo sul male è diventato più forte, quando l’uomo precipitato nell’inferno di Auschwitz ha sperimentato la caduta nel demoniaco e la cultura umana ha toccato l’abisso della sua degradazione. Dopo Auschwitz, come aveva affermato Adorno, non è possibile più fare nemmeno poesia, perché lo sguardo dell’uomo si è come intorpidito, la sua sensibilità è venuta meno e così anche il senso di pietà e di compassione. Perché è accaduto tutto questo? Perché l’uomo ha rinunciato al senso di umanità per rincorrere un disegno perverso di morte contro il suo simile? Soprattutto, Unde malum ? Sono le domande ricorrenti della coscienza contemporanea più sensibile, riproposte in Ad Auschwitz Dio c’era, tanto difficili e spesso senza una risposta. Quella sul male è la domanda più inquietante, che l’uomo si rivolge, quando le forze del male sembrano prevalere nel mondo e il futuro appare, per questo, ancora più indecifrabile e più buio, popolato dai tanti fantasmi che ritornano minacciosi e congiurano contro l’uomo e il suo destino. La risposta, qualsiasi essa sia, non è facile per nessuno. Diventa, però, inaccettabile per il credente, se non del tutto improponibile, quando Dio stesso viene chiamato in causa e messo sul banco degli imputati come solo responsabile del male. Di fronte al dilagare del male nel mondo, si è creduto, sulla scia della lezione di Nietzsche, nella presenza di un Dio silente e assente, rivelatosi per di più impotente, troppo lontano dal mondo per avere cura e interesse per le sorti dell’uomo, o, forse, come sostengono altri, in un Dio, che permette il male come deterrente perché l’uomo non ne sia schiavo e se ne possa allontanare. Si comprende perché, l’ateismo riflettendosi nello specchio frantumato di un mondo assurdo e ingiusto, in cui trionfa il male e dove senza ragione e senza fine è presente il soffrire degli uomini, non scorge il volto amico di Dio, ma soltanto le smorfie dell’Assurdo e del nulla, la negazione stessa di un Dio. Il pensiero ebraico del Novecento, nel fare i conti con la Sho’ah, soprattutto con Levinas e con Jonas, si è posto questo stesso problema, parlando con Levinas del male come di una prova, cui l’uomo è sottoposto da Dio, e con Jonas di un Dio silente, perché impotente di fronte alla libertà dell’uomo. Ma, un’altra risposta è egualmente possibile. Nel volume Ad Auschwitz Dio c’era. I credenti e la sfida del male se ne dà una testimonianza, riproponendo come dato indubitabile la presenza di Dio nel mondo nel segno di un amore per l’uomo, di una “passione” sconsiderata di Dio per l’uomo. La presenza di Dio non è venuta mai meno nel mondo, nemmeno nell’inferno di Auschwitz. Dio stesso è salito ancora una volta sulla croce, ogni qual volta l’uomo è stato oppresso e ucciso, caricandosi di tutto il male del mondo e rendendosi presente nelle figure esemplari di Edith Stein, di Maximilian Kolbe e di quanti altri ancora hanno testimoniato, nella sofferenza e nella morte più atroce, l’ amore di Dio per l’uomo. Il credente sa che Dio e sofferenza non suonano più contraddittori, ma l’essere di Dio è nella sofferenza e la sofferenza è nell’essere stesso di Dio. La vittima non è condannata a una s confitta definitiva Su questa trama, così tragica, ricostruita facendo riferimento alla condizione di male, vissuta dall’uomo di questo tempo, nel volume Ad Auschwitz Dio c’era si ripropone il senso della sfida cristiana di fronte al male. Il risultato è una ermeneutica della fede cristiana, articolata su due livelli di comprensione. Da una parte, si sottolinea la presenza di “un Dio vicino e accanto”nel tempo della morte dell’uomo, come risposta alle attese di salvezza di un uomo “ferito”; dall’altra si ricercano le forme di una risposta cristiana alla sfida del male. Su questo secondo piano il discorso si fa più concreto nell’individuazione di una “via d’uscita” al male. La riproposizione nella sua interezza della visione cristiana dell’uomo e del mondo va nella direzione di una riscoperta di “un ritorno al Padre”, che significa, soprattutto, condivisione di una pratica di fraternità universale, cui tutti gli uomini sono chiamati. La pratica della fraternità non è una enunciazione fine a se stessa, perché si esprime attraverso un passaggio decisivo, cui l’uomo è chiamato a fare. Il passaggio necessario, come si afferma in Ad Auschwitz Dio c’era, che l’uomo dovrà compiere sarà quello che dalla conflittualità conduce alla solidarietà, dalle virtù di tipo emulativo alle virtù di tipo collaborativo. Soprattutto, ritrovata la sua identità di uomo tra gli uomini, egli dovrà porsi il problema pratico di lottare contro il male per estendere nel mondo il dominio del bene. Il male potrà essere sconfitto, nella consapevolezza che, lottando contro il male e operando per il bene, diminuirà nel mondo il carico di sofferenza e si potrà finalmente instaurare nella storia il regno messianico della giustizia e della pace. Solo così Giobbe potrà trovare una risposta alla sua inquietudine. Come si sottolinea in Ad Auschwitz Dio c’era, è sullo sfondo di questi problemi riletti nell’ottica di una concezione cristiana dell’uomo e della storia che un parlare su Dio è ancora possibile dopo Auschwitz, nonostante il salto qualitativo nell’ordine della violenza, rappresentato dall’evento della Sho’ah e dalla forza del male che imperversa nel mondo.

Ad Auschwitz Dio c'era. I credenti e la sfida del male / Pititto, Rocco. - STAMPA. - (2005).

Ad Auschwitz Dio c'era. I credenti e la sfida del male

PITITTO, ROCCO
2005

Abstract

Ad Auschwitz Dio c’era. I credenti e la sfida del male Il Novecento è stato attraversato, in Europa come nel mondo, da lotte, da conflitti e da stermini di massa, sempre più estesi e più sanguinosi, tanto da essere definito come “l’era dei massacri”. Rovine, lutti e morti hanno accompagnato gli anni di tutto il secolo. L’uomo, - è questo il risultato più tragico -, è stato ucciso dal suo simile, seguendo una logica perversa, e niente fa pensare che nel futuro possano essere evitate sciagure ancora più gravi e l’uomo possa diventare soggetto di relazioni più umane nel rispetto della sua dignità e dei suoi diritti. La nascita di un mondo umano pacificato nelle sue diverse componenti rimane, ancora, il sogno più lungo a morire. Il dominio del male sembra senza confini e inarrestabile. Come uscire da questa condizione di male? In Ad Auschwitz Dio c’era il problema del male è considerato nelle sue articolazioni, seguendo in particolare le riflessioni di Henry Michel e di Paul Ricoeur, nella sofferta consapevolezza che il male non è l’ultima parola della storia. La domanda iniziale sul perché il male imperversa nel mondo è, in realtà, una domanda sull’uomo, che facendo il male abdica a se stesso e alla sua natura di essere con e per gli altri. Come tale richiama una serie di altri interrogativi ad essa collegati, dai quali si attende una risposta. Domanda e interrogativi, pur essendo sempre presenti alla coscienza dell’uomo di questo tempo, non hanno trovato, però, e non trovano mai risposte soddisfacenti, perché rimandano al grande mistero del male, come a qualcosa di ineluttabile. Le grandi tragedie del Novecento hanno segnato profondamente la coscienza dell’uomo di questo tempo, sempre più inquieto e dubbioso. L’interrogativo sul male è diventato più forte, quando l’uomo precipitato nell’inferno di Auschwitz ha sperimentato la caduta nel demoniaco e la cultura umana ha toccato l’abisso della sua degradazione. Dopo Auschwitz, come aveva affermato Adorno, non è possibile più fare nemmeno poesia, perché lo sguardo dell’uomo si è come intorpidito, la sua sensibilità è venuta meno e così anche il senso di pietà e di compassione. Perché è accaduto tutto questo? Perché l’uomo ha rinunciato al senso di umanità per rincorrere un disegno perverso di morte contro il suo simile? Soprattutto, Unde malum ? Sono le domande ricorrenti della coscienza contemporanea più sensibile, riproposte in Ad Auschwitz Dio c’era, tanto difficili e spesso senza una risposta. Quella sul male è la domanda più inquietante, che l’uomo si rivolge, quando le forze del male sembrano prevalere nel mondo e il futuro appare, per questo, ancora più indecifrabile e più buio, popolato dai tanti fantasmi che ritornano minacciosi e congiurano contro l’uomo e il suo destino. La risposta, qualsiasi essa sia, non è facile per nessuno. Diventa, però, inaccettabile per il credente, se non del tutto improponibile, quando Dio stesso viene chiamato in causa e messo sul banco degli imputati come solo responsabile del male. Di fronte al dilagare del male nel mondo, si è creduto, sulla scia della lezione di Nietzsche, nella presenza di un Dio silente e assente, rivelatosi per di più impotente, troppo lontano dal mondo per avere cura e interesse per le sorti dell’uomo, o, forse, come sostengono altri, in un Dio, che permette il male come deterrente perché l’uomo non ne sia schiavo e se ne possa allontanare. Si comprende perché, l’ateismo riflettendosi nello specchio frantumato di un mondo assurdo e ingiusto, in cui trionfa il male e dove senza ragione e senza fine è presente il soffrire degli uomini, non scorge il volto amico di Dio, ma soltanto le smorfie dell’Assurdo e del nulla, la negazione stessa di un Dio. Il pensiero ebraico del Novecento, nel fare i conti con la Sho’ah, soprattutto con Levinas e con Jonas, si è posto questo stesso problema, parlando con Levinas del male come di una prova, cui l’uomo è sottoposto da Dio, e con Jonas di un Dio silente, perché impotente di fronte alla libertà dell’uomo. Ma, un’altra risposta è egualmente possibile. Nel volume Ad Auschwitz Dio c’era. I credenti e la sfida del male se ne dà una testimonianza, riproponendo come dato indubitabile la presenza di Dio nel mondo nel segno di un amore per l’uomo, di una “passione” sconsiderata di Dio per l’uomo. La presenza di Dio non è venuta mai meno nel mondo, nemmeno nell’inferno di Auschwitz. Dio stesso è salito ancora una volta sulla croce, ogni qual volta l’uomo è stato oppresso e ucciso, caricandosi di tutto il male del mondo e rendendosi presente nelle figure esemplari di Edith Stein, di Maximilian Kolbe e di quanti altri ancora hanno testimoniato, nella sofferenza e nella morte più atroce, l’ amore di Dio per l’uomo. Il credente sa che Dio e sofferenza non suonano più contraddittori, ma l’essere di Dio è nella sofferenza e la sofferenza è nell’essere stesso di Dio. La vittima non è condannata a una s confitta definitiva Su questa trama, così tragica, ricostruita facendo riferimento alla condizione di male, vissuta dall’uomo di questo tempo, nel volume Ad Auschwitz Dio c’era si ripropone il senso della sfida cristiana di fronte al male. Il risultato è una ermeneutica della fede cristiana, articolata su due livelli di comprensione. Da una parte, si sottolinea la presenza di “un Dio vicino e accanto”nel tempo della morte dell’uomo, come risposta alle attese di salvezza di un uomo “ferito”; dall’altra si ricercano le forme di una risposta cristiana alla sfida del male. Su questo secondo piano il discorso si fa più concreto nell’individuazione di una “via d’uscita” al male. La riproposizione nella sua interezza della visione cristiana dell’uomo e del mondo va nella direzione di una riscoperta di “un ritorno al Padre”, che significa, soprattutto, condivisione di una pratica di fraternità universale, cui tutti gli uomini sono chiamati. La pratica della fraternità non è una enunciazione fine a se stessa, perché si esprime attraverso un passaggio decisivo, cui l’uomo è chiamato a fare. Il passaggio necessario, come si afferma in Ad Auschwitz Dio c’era, che l’uomo dovrà compiere sarà quello che dalla conflittualità conduce alla solidarietà, dalle virtù di tipo emulativo alle virtù di tipo collaborativo. Soprattutto, ritrovata la sua identità di uomo tra gli uomini, egli dovrà porsi il problema pratico di lottare contro il male per estendere nel mondo il dominio del bene. Il male potrà essere sconfitto, nella consapevolezza che, lottando contro il male e operando per il bene, diminuirà nel mondo il carico di sofferenza e si potrà finalmente instaurare nella storia il regno messianico della giustizia e della pace. Solo così Giobbe potrà trovare una risposta alla sua inquietudine. Come si sottolinea in Ad Auschwitz Dio c’era, è sullo sfondo di questi problemi riletti nell’ottica di una concezione cristiana dell’uomo e della storia che un parlare su Dio è ancora possibile dopo Auschwitz, nonostante il salto qualitativo nell’ordine della violenza, rappresentato dall’evento della Sho’ah e dalla forza del male che imperversa nel mondo.
2005
883823969X
Ad Auschwitz Dio c'era. I credenti e la sfida del male / Pititto, Rocco. - STAMPA. - (2005).
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/11588/116256
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