Giustizia e senso comune Il diritto romano in età classica aveva natura giurisprudenziale. Il circuito romano di creazione del diritto, infatti, principiava dalla controversia concreta e perveniva ad esprimere una regola valevole per il singolo caso. La decisione poteva restare isolata ma avrebbe innescato ampio dibattito sulla sua adeguatezza al quale avrebbero partecipato magistrati, giudici, giuristi e pubblica opinione. Un dibattito che avrebbe condotto alla fissazione della regola quale precedente da cui decisioni future non avrebbero potuto facilmente prescindere, posto che la decisione fosse stata condivisa dalla comunità. Il sistema, in questo modo, era capace di garantire il massimo di aderenza delle singole decisioni al senso comune. Il primo obiettivo di qualunque sistema giuridico democratico cui dovrebbe istituzionalmente riuscire la conquista del gradimento dei cittadini rispetto alle sentenze giudiziarie, le quali assurgerebbero così a specchio di quel senso comune da vedersi come il fulcro delle singole regole e del loro complesso ordinato. Fondamentale sarebbe quindi, rimettere il senso comune nel circuito contemporaneo di creazione del diritto. Nei sistemi giuridici dell’Europa continentale, invece, la rispondenza della regola al senso comune è affidata alla legge che spesso delude rispetto a un’aspettativa del genere. Per questo i giudici dovrebbero assumere un ruolo creativo, smettendo la funzione meramente ricognitiva loro imposta dalla preminenza del legislatore disegnato dagli Illuministi. I giudici dovrebbero accorciare le distanze tra legge e cittadini. Negli ordinamenti di Civil Law ai giudici compere solo il legem dicere ma essi dovrebbero allenarsi all’esercizio della normopoiesi pro bono publico. La monografia si articola in 6 saggi. Nel primo Note critiche sul concetto di causa si analizza il termine causa nelle fonti romane. In esse il termine appare assumere solitamente il significato di interesse concretamente perseguito, quale emerge o dalle dichiarazioni delle parti o dall’equilibrio complessivo degli interessi. Vi è quindi corrispondenza di impostazione tra le più antiche dottrine dei giuristi romani e le attuali impostazioni dei privatisti, i quali si sono liberati della nozione astratta di causa e l’hanno giustamente ancorata alla composizione e all’equilibrio degli interessi in concreto perseguiti. Nel secondo Violazione del criterio della buona fede e risarcibilità si sottolinea che è evidente un processo di riunificazione delle forme di tutela che determina una ricomposizione unitaria della buona fede oltre il pubblico e oltre il privato, nel quale la iurisdictio de dolo, nella sua articolata strategia di reintegrazione-risarcimento-ripristino della fattispecie lesa, da un lato, e la categoria romanistica del dolus praesens dall’altro assumono un rilevante valore euristico. Nel terzo Il riferimento alla giustizia nell’elaborazione del diritto l’a. rileva che l’estrema complessità e multiformità culturale delle società moderne rende estremamente difficile operare una sintesi in cui la rcezione moribus costituisca il normale modo di produzione del ius mentre la lex è lo strumento a cui si ricorre in speciali circostanze per operare immediati salti qualitativi. Si tratta di recuperare il valore dell’interpretatio quale ars e soprattutto il ruolo sociale del giurista quale mediatore tra senso comune e l’aspirazione quotidiana alla giustizia del caso concreto. Nel quarto Degiurisdizionalizzazione del processo esecutivo immobiliare: brevi profili comparatistici e prospettive de iure condendo si afferma che in diritto romano almeno fino al III secolo d. C. il ricorso alla iurisdictio per i procedimenti di esecuzione forzata è stato limitato alle sole ipotesi in cui essa sembrava veramente indispensabile, lasciando ai privati, creditori direttamente interessati ovvero imprenditori economici professionalmente qualificati, agenti nell’interesse dei primi, ampi spazi di azione: ciò sul presupposto concettuale della sussidiarietà della iurisdictio e più in generale dell’intervento statuale, negli ambiti rivolti all’affermazione ed alla tutela del diritto di ciascuno. Un ritorno alla genuina tradizione del diritto romano significherebbe realizzare una procedura di vendita forzata su base volontaria o privata largamente rimessa nel suo svolgimento pratico all’iniziativa ed al senso di responsabilità e di correttezza dell’esecutato ovviamente nell’ambito di un quadro normativo generale chiaro nel quale al giudice residuerebbe un ruolo di supervisione e controllo a garanzia della regolarità del procedimento. Nel quinto Giustizia e senso comune: il c.d. danno da disturbo si afferma che l’esperienza giurisprudenziale romana appare emblematica di come l’ancoraggio al senso comune abbia supportato gli interpreti nel loro sforzo costante di migliorare quotidianamente il diritto realizzando concretamente la giustizia. Finora però nell’età moderna, sono le decisioni dei giudici che hanno dimostrato contrariamente al dogmatismo-formalistico della dottrina, una capacità di penetrazione topica del senso comune in funzione evolutiva dell’ordinamnto. Un esempio significativo è nella sentenza del Consiglio di Stato sez. VI del 12 marzo 2004 n. 1261 con la quale è stata riconosciuta la risarcibilità del c.d. danno da disturbo e che riprende una analoga pronuncia del TAR Puglia Lecce sez. I 18 aprile 2002 n. 1569. Il Consiglio di Stato ha elaborato con maggiore compiutezza l’ipotesi del danno da disturbo sancendone la ricorrenza nel caso in cui il cittadino abbia subito un pregiudizio in conseguenza dell’illegittima compressione di facoltà di cui egli era già titolare. Il danno da disturbo si differenzia dal danno da ritardo normalmente individuato nella lesione di un interesse legittimo pretensivo cagionata dal ritardo con cui la P.A. abbia emesso il provvedimento finale, inteso ad ampliare la sfera giuridica del privato. Il giudice amministrativo ha dato un fondamento concettuale alla sua interpretatio innovativa. L’aderenza al senso comune di giustizia ha consentito ai giudici di superare la posizione formalistica per la quale l’annullamento del provvedimento illegittimo doveva considerarsi di per sé integralmente satisfattivo delle pretese del ricorrente apprestando soluzioni che si sono dimostrate idonee a ripristinare le situazioni giuridiche illegittimamente lese. Nel sesto Principio di legalità e giudizio di equità: problemi di giustizia. La lezione di La Pira si studia la personalità di La Pira, personalità monolitica avendo il suo fulcro in una profonda carica mistico-religiosa in cui si fondono e si alimentano la prospettiva dello studioso di diritto romano e quella dell’uomo politicamente impegnato per la sua collettività. Il diritto romano, il suo studio e il suo insegnamento diventano occasione per il compimento di quella missione che egli da cristiano , sente di dover portare avanti per l’attuazione della giustizia. Lo smarrimento del giurista contemporaneo di fronte al problema dell’enucleazione degli orientamenti della collettività e del rispetto dei suoi interessi e valori tradisce la progressiva perdita di corrispondenza con la comunità, quell’originario collegamento che consentiva al giurista romano di entrare a pieno titolo nella vicenda della formazione della regola consuetudinaria, di quel ius moribus receptum che veniva ad integrare, ammodernandolo, il diritto vigente.

GIUSTIZIA E SENSO COMUNE / Palma, Antonio. - STAMPA. - (2006).

GIUSTIZIA E SENSO COMUNE

PALMA, ANTONIO
2006

Abstract

Giustizia e senso comune Il diritto romano in età classica aveva natura giurisprudenziale. Il circuito romano di creazione del diritto, infatti, principiava dalla controversia concreta e perveniva ad esprimere una regola valevole per il singolo caso. La decisione poteva restare isolata ma avrebbe innescato ampio dibattito sulla sua adeguatezza al quale avrebbero partecipato magistrati, giudici, giuristi e pubblica opinione. Un dibattito che avrebbe condotto alla fissazione della regola quale precedente da cui decisioni future non avrebbero potuto facilmente prescindere, posto che la decisione fosse stata condivisa dalla comunità. Il sistema, in questo modo, era capace di garantire il massimo di aderenza delle singole decisioni al senso comune. Il primo obiettivo di qualunque sistema giuridico democratico cui dovrebbe istituzionalmente riuscire la conquista del gradimento dei cittadini rispetto alle sentenze giudiziarie, le quali assurgerebbero così a specchio di quel senso comune da vedersi come il fulcro delle singole regole e del loro complesso ordinato. Fondamentale sarebbe quindi, rimettere il senso comune nel circuito contemporaneo di creazione del diritto. Nei sistemi giuridici dell’Europa continentale, invece, la rispondenza della regola al senso comune è affidata alla legge che spesso delude rispetto a un’aspettativa del genere. Per questo i giudici dovrebbero assumere un ruolo creativo, smettendo la funzione meramente ricognitiva loro imposta dalla preminenza del legislatore disegnato dagli Illuministi. I giudici dovrebbero accorciare le distanze tra legge e cittadini. Negli ordinamenti di Civil Law ai giudici compere solo il legem dicere ma essi dovrebbero allenarsi all’esercizio della normopoiesi pro bono publico. La monografia si articola in 6 saggi. Nel primo Note critiche sul concetto di causa si analizza il termine causa nelle fonti romane. In esse il termine appare assumere solitamente il significato di interesse concretamente perseguito, quale emerge o dalle dichiarazioni delle parti o dall’equilibrio complessivo degli interessi. Vi è quindi corrispondenza di impostazione tra le più antiche dottrine dei giuristi romani e le attuali impostazioni dei privatisti, i quali si sono liberati della nozione astratta di causa e l’hanno giustamente ancorata alla composizione e all’equilibrio degli interessi in concreto perseguiti. Nel secondo Violazione del criterio della buona fede e risarcibilità si sottolinea che è evidente un processo di riunificazione delle forme di tutela che determina una ricomposizione unitaria della buona fede oltre il pubblico e oltre il privato, nel quale la iurisdictio de dolo, nella sua articolata strategia di reintegrazione-risarcimento-ripristino della fattispecie lesa, da un lato, e la categoria romanistica del dolus praesens dall’altro assumono un rilevante valore euristico. Nel terzo Il riferimento alla giustizia nell’elaborazione del diritto l’a. rileva che l’estrema complessità e multiformità culturale delle società moderne rende estremamente difficile operare una sintesi in cui la rcezione moribus costituisca il normale modo di produzione del ius mentre la lex è lo strumento a cui si ricorre in speciali circostanze per operare immediati salti qualitativi. Si tratta di recuperare il valore dell’interpretatio quale ars e soprattutto il ruolo sociale del giurista quale mediatore tra senso comune e l’aspirazione quotidiana alla giustizia del caso concreto. Nel quarto Degiurisdizionalizzazione del processo esecutivo immobiliare: brevi profili comparatistici e prospettive de iure condendo si afferma che in diritto romano almeno fino al III secolo d. C. il ricorso alla iurisdictio per i procedimenti di esecuzione forzata è stato limitato alle sole ipotesi in cui essa sembrava veramente indispensabile, lasciando ai privati, creditori direttamente interessati ovvero imprenditori economici professionalmente qualificati, agenti nell’interesse dei primi, ampi spazi di azione: ciò sul presupposto concettuale della sussidiarietà della iurisdictio e più in generale dell’intervento statuale, negli ambiti rivolti all’affermazione ed alla tutela del diritto di ciascuno. Un ritorno alla genuina tradizione del diritto romano significherebbe realizzare una procedura di vendita forzata su base volontaria o privata largamente rimessa nel suo svolgimento pratico all’iniziativa ed al senso di responsabilità e di correttezza dell’esecutato ovviamente nell’ambito di un quadro normativo generale chiaro nel quale al giudice residuerebbe un ruolo di supervisione e controllo a garanzia della regolarità del procedimento. Nel quinto Giustizia e senso comune: il c.d. danno da disturbo si afferma che l’esperienza giurisprudenziale romana appare emblematica di come l’ancoraggio al senso comune abbia supportato gli interpreti nel loro sforzo costante di migliorare quotidianamente il diritto realizzando concretamente la giustizia. Finora però nell’età moderna, sono le decisioni dei giudici che hanno dimostrato contrariamente al dogmatismo-formalistico della dottrina, una capacità di penetrazione topica del senso comune in funzione evolutiva dell’ordinamnto. Un esempio significativo è nella sentenza del Consiglio di Stato sez. VI del 12 marzo 2004 n. 1261 con la quale è stata riconosciuta la risarcibilità del c.d. danno da disturbo e che riprende una analoga pronuncia del TAR Puglia Lecce sez. I 18 aprile 2002 n. 1569. Il Consiglio di Stato ha elaborato con maggiore compiutezza l’ipotesi del danno da disturbo sancendone la ricorrenza nel caso in cui il cittadino abbia subito un pregiudizio in conseguenza dell’illegittima compressione di facoltà di cui egli era già titolare. Il danno da disturbo si differenzia dal danno da ritardo normalmente individuato nella lesione di un interesse legittimo pretensivo cagionata dal ritardo con cui la P.A. abbia emesso il provvedimento finale, inteso ad ampliare la sfera giuridica del privato. Il giudice amministrativo ha dato un fondamento concettuale alla sua interpretatio innovativa. L’aderenza al senso comune di giustizia ha consentito ai giudici di superare la posizione formalistica per la quale l’annullamento del provvedimento illegittimo doveva considerarsi di per sé integralmente satisfattivo delle pretese del ricorrente apprestando soluzioni che si sono dimostrate idonee a ripristinare le situazioni giuridiche illegittimamente lese. Nel sesto Principio di legalità e giudizio di equità: problemi di giustizia. La lezione di La Pira si studia la personalità di La Pira, personalità monolitica avendo il suo fulcro in una profonda carica mistico-religiosa in cui si fondono e si alimentano la prospettiva dello studioso di diritto romano e quella dell’uomo politicamente impegnato per la sua collettività. Il diritto romano, il suo studio e il suo insegnamento diventano occasione per il compimento di quella missione che egli da cristiano , sente di dover portare avanti per l’attuazione della giustizia. Lo smarrimento del giurista contemporaneo di fronte al problema dell’enucleazione degli orientamenti della collettività e del rispetto dei suoi interessi e valori tradisce la progressiva perdita di corrispondenza con la comunità, quell’originario collegamento che consentiva al giurista romano di entrare a pieno titolo nella vicenda della formazione della regola consuetudinaria, di quel ius moribus receptum che veniva ad integrare, ammodernandolo, il diritto vigente.
2006
9788834865781
GIUSTIZIA E SENSO COMUNE / Palma, Antonio. - STAMPA. - (2006).
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/11588/116220
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