Se «sul finire del XVIII secolo – scrive Vincenzo Giura – le condizioni delle vie di comunicazione nel Regno di Napoli non erano delle migliori», tale situazione si aggravò a seguito della Rivoluzione del 1799 e non conobbe alcun miglioramento nel periodo compreso tra la prima Restaurazione borbonica e l’arrivo dei francesi. A partire dal 1807, si diede slancio, invece, al miglioramento della rete infrastrutturale, prestando particolare attenzione alla realizzazione dei collegamenti con la Calabria, determinando, successivamente, con l’arrivo di Gioacchino Murat, una svolta nell’amministrazione della viabilità con la creazione del Corpo degli Ingegneri di Ponti e Strade, cui venne assegnata, tra gli altri incarichi, la gestione della rete viaria. Nei territori del Principato Citra, ancora privi di un idoneo sistema di comunicazione – progettato nel 1813 ma i cui lavori non sarebbero stati intrapresi prima del 1827 –, al fianco di una rete stradale tanto ‘ufficiale’ quanto inefficiente, si era stratificato, nel tempo, un sistema secondario di sentieri, mulattiere e ripidi percorsi di collegamento tra i diversi paesi. Escluso dalle grandi direttrici commerciali, il Cilento si presentava in gran parte isolato: la piana del Sele, che avrebbe potuto offrire risorse agricole e pastorali nonché un veloce collegamento con Salerno fu per secoli motivo di frattura. Allo stesso modo, continuava ad apparire difficoltosa la percorribilità della strada che conduceva a Paestum: tanto nelle descrizioni dei viaggiatori, quanto negli appelli di Francesco La Vega, prima – impegnato nel sito durante il 1795 – e di Felice Nicolas – Soprintendente alle Antichità e agli Scavi del Regno dal 1805 –, poi, se ne erano lamentate, infatti, le cattive condizioni di conservazione. Al diretto interessamento di quest’ultimo si era dovuto, inoltre, l’inizio dei lavori – ben presto interrotti – per un primo tratto della strada fino al punto di attraversamento del fiume Sele. A partire dal 1820, si iniziò a prospettare la possibilità di una prosecuzione a sud verso la città antica, ma soltanto nel 1827 si diede concreto avvio al cantiere di costruzione del raccordo Battipaglia-Vallo della Lucania – la strada del Cilento – da riconnettere alla regia Strada delle Calabrie. I lavori, la cui direzione fu affidata a due ingegneri del servizio di Acque e Strade della Provincia di Principato Citra, Giuseppe Lista e Raffaele Petrilli, se, da una parte, contribuirono a migliorare l’infrastrutturazione della piana del Sele, anche mediante la realizzazione di un ponte per il superamento del fiume, dall’altra provocarono estesi danni al patrimonio antico di Paestum, attraversando la città nel mezzo dell’area pubblica. Il tracciato della nuova strada, infatti, procedendo con un andamento nord-sud, oltre a intersecare in due punti la cinta fortificata, determinò la distruzione della metà orientale dell’anfiteatro – alterandone irrimediabilmente la struttura e condizionandone la percezione, così come oggi ancora evidente –, di una porzione di una strada basolata emersa durante i lavori di scavo, nonché di una parte delle botteghe del foro nell’area ad est dell’infrastruttura borbonica. Nonostante la manifesta opposizione di alcuni tecnici e dei custodi del sito, gli ingegneri portarono a compimento l’opera, dimostrandosi palesemente estranei al contemperamento di quelle istanze conservative che, invece, già da alcuni anni, avevano contraddistinto l’approccio e l’operatività degli architetti impegnati nella protezione del patrimonio archeologico pestano. Partendo da tali considerazioni, il contributo intende fornire un’interpretazione del delicato rapporto tra le necessità di ‘modernizzazione’ del territorio, legate a fattori di carattere politico, economico e sociale, e le questioni di conservazione del palinsesto antico di Paestum, ricorrendo a una lettura critica della consistenza attuale dei luoghi nonché della documentazione archivistica, in gran parte inedita, e delle fonti cartografiche e iconografiche, da cui emergono evidenti testimonianze dei caratteri di una trasformazione del paesaggio culturale che è stata tanto materiale quanto percettiva. Il confronto tra le posizioni dei tecnici del Corpo degli Ingegneri di Ponti e Strade e di quelli legati, invece, alle istituzioni centrali e locali preposte alla tutela – attivatesi, peraltro, nel predisporre provvedimenti disciplinari contro coloro che avevano danneggiato quelle antichità –, permette, inoltre, di valutare i limiti dei differenti approcci e la ricaduta di questi ultimi nell’operatività sulla materia antica.

Il paesaggio archeologico della Piana del Sele tra conservazione e “modernizzazione”. Paestum e la «nuova strada del Cilento» (1827-1829) / Pollone, Stefania. - In: STORIA URBANA. - ISSN 0391-2248. - 152-153(2016), pp. 79-112.

Il paesaggio archeologico della Piana del Sele tra conservazione e “modernizzazione”. Paestum e la «nuova strada del Cilento» (1827-1829)

Stefania Pollone
2016

Abstract

Se «sul finire del XVIII secolo – scrive Vincenzo Giura – le condizioni delle vie di comunicazione nel Regno di Napoli non erano delle migliori», tale situazione si aggravò a seguito della Rivoluzione del 1799 e non conobbe alcun miglioramento nel periodo compreso tra la prima Restaurazione borbonica e l’arrivo dei francesi. A partire dal 1807, si diede slancio, invece, al miglioramento della rete infrastrutturale, prestando particolare attenzione alla realizzazione dei collegamenti con la Calabria, determinando, successivamente, con l’arrivo di Gioacchino Murat, una svolta nell’amministrazione della viabilità con la creazione del Corpo degli Ingegneri di Ponti e Strade, cui venne assegnata, tra gli altri incarichi, la gestione della rete viaria. Nei territori del Principato Citra, ancora privi di un idoneo sistema di comunicazione – progettato nel 1813 ma i cui lavori non sarebbero stati intrapresi prima del 1827 –, al fianco di una rete stradale tanto ‘ufficiale’ quanto inefficiente, si era stratificato, nel tempo, un sistema secondario di sentieri, mulattiere e ripidi percorsi di collegamento tra i diversi paesi. Escluso dalle grandi direttrici commerciali, il Cilento si presentava in gran parte isolato: la piana del Sele, che avrebbe potuto offrire risorse agricole e pastorali nonché un veloce collegamento con Salerno fu per secoli motivo di frattura. Allo stesso modo, continuava ad apparire difficoltosa la percorribilità della strada che conduceva a Paestum: tanto nelle descrizioni dei viaggiatori, quanto negli appelli di Francesco La Vega, prima – impegnato nel sito durante il 1795 – e di Felice Nicolas – Soprintendente alle Antichità e agli Scavi del Regno dal 1805 –, poi, se ne erano lamentate, infatti, le cattive condizioni di conservazione. Al diretto interessamento di quest’ultimo si era dovuto, inoltre, l’inizio dei lavori – ben presto interrotti – per un primo tratto della strada fino al punto di attraversamento del fiume Sele. A partire dal 1820, si iniziò a prospettare la possibilità di una prosecuzione a sud verso la città antica, ma soltanto nel 1827 si diede concreto avvio al cantiere di costruzione del raccordo Battipaglia-Vallo della Lucania – la strada del Cilento – da riconnettere alla regia Strada delle Calabrie. I lavori, la cui direzione fu affidata a due ingegneri del servizio di Acque e Strade della Provincia di Principato Citra, Giuseppe Lista e Raffaele Petrilli, se, da una parte, contribuirono a migliorare l’infrastrutturazione della piana del Sele, anche mediante la realizzazione di un ponte per il superamento del fiume, dall’altra provocarono estesi danni al patrimonio antico di Paestum, attraversando la città nel mezzo dell’area pubblica. Il tracciato della nuova strada, infatti, procedendo con un andamento nord-sud, oltre a intersecare in due punti la cinta fortificata, determinò la distruzione della metà orientale dell’anfiteatro – alterandone irrimediabilmente la struttura e condizionandone la percezione, così come oggi ancora evidente –, di una porzione di una strada basolata emersa durante i lavori di scavo, nonché di una parte delle botteghe del foro nell’area ad est dell’infrastruttura borbonica. Nonostante la manifesta opposizione di alcuni tecnici e dei custodi del sito, gli ingegneri portarono a compimento l’opera, dimostrandosi palesemente estranei al contemperamento di quelle istanze conservative che, invece, già da alcuni anni, avevano contraddistinto l’approccio e l’operatività degli architetti impegnati nella protezione del patrimonio archeologico pestano. Partendo da tali considerazioni, il contributo intende fornire un’interpretazione del delicato rapporto tra le necessità di ‘modernizzazione’ del territorio, legate a fattori di carattere politico, economico e sociale, e le questioni di conservazione del palinsesto antico di Paestum, ricorrendo a una lettura critica della consistenza attuale dei luoghi nonché della documentazione archivistica, in gran parte inedita, e delle fonti cartografiche e iconografiche, da cui emergono evidenti testimonianze dei caratteri di una trasformazione del paesaggio culturale che è stata tanto materiale quanto percettiva. Il confronto tra le posizioni dei tecnici del Corpo degli Ingegneri di Ponti e Strade e di quelli legati, invece, alle istituzioni centrali e locali preposte alla tutela – attivatesi, peraltro, nel predisporre provvedimenti disciplinari contro coloro che avevano danneggiato quelle antichità –, permette, inoltre, di valutare i limiti dei differenti approcci e la ricaduta di questi ultimi nell’operatività sulla materia antica.
2016
Il paesaggio archeologico della Piana del Sele tra conservazione e “modernizzazione”. Paestum e la «nuova strada del Cilento» (1827-1829) / Pollone, Stefania. - In: STORIA URBANA. - ISSN 0391-2248. - 152-153(2016), pp. 79-112.
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