Negli ultimi anni è possibile registrare una “una svolta critica” nell’ambito dei media studies intorno alla questione del digitale (Balbi 2018). In sostanza, è come se la “età dell’oro” del cyberspazio fosse giunta – quantomeno agli occhi della circoscritta cerchia degli specialisti – al suo termine: la Rete, regno tecnologico in cui tutto sembrava possibile, conosce un drastico ridimensionamento simbolico. La rivoluzione digitale che indicava nell’Internet per tutti una nuova Terra promessa, ha impattato con scenari ben più articolati, resistenti a una integrale rifondazione tecnologica dell’essere sociale. Al punto che da più parti – e con non poche ragioni – si è messa in discussione la stessa natura rivoluzionaria del processo di digitalizzazione (Balbi e Magaudda, 2014; Ortoleva, 2014). Non solo ricchezza, prosperità, uguaglianza e libertà – che nella retorica della Rete parevano obiettivi a portata di mano (Breton, 2002) – non costituiscono il necessario precipitato di una società connessa tecnologicamente ma, di più, si teme che queste desiderabili mete finiscano col tradursi nel loro contrario, come in un ironico contrappasso di orwelliana memoria (Cfr. Morozov, 2009, 2010, 2011). L’intervento di variabili differenti tutte conflagrate per mezzo delle inedite possibilità dischiuse dalla Rete – dal crollo finanziario del 2001, all’impero del porno e del gioco d’azzardo; dalla costante tracciabilità dei consumi con le sue tecniche invasive della privacy, a un nuovo regime di accentramento della ricchezza; dalle politiche governative e di mercato di sorveglianza e controllo, al tradimento delle promesse universalizzanti della conoscenza e dell’orizzontalità democratica (Balbi e Magaudda, 2014, pp. 62-63) –, rappresentano una sorta di beckiani “effetti latenti collaterali” che inaugurano, ad avviso di chi scrive, una “seconda modernità” (Beck, 1992) del digitale. L’incanto che sembrava circondare come uno scudo simbolico l’universo digitale (LeBel, 2012) viene infranto in conseguenza dell’erosione delle sue “strutture di plausibilità” (Berger e Luckmann, 2007): il cyberspazio, non più luogo d’espressione del “sublime digitale” (Mosco, 2004), si “demagizza” (Weber, 2004), invischiandosi – come tutti gli altri oggetti prodotti dell’attività umana – nelle spire della critica. Alla luce di quanto detto sinora, il fatto che in modo crescente si venga levando l’accusa degli esperti contro gli aspetti materiali del processo di digitalizzazione, rappresenta un indicatore robusto di questo nuovo stato di cose. La “perdita dell’innocenza” ha comportato la scoperta del “corpo” delle ICT, con tutto il corollario di implicazioni sul piano della “attribuzione delle colpe” che da questa scoperta discendono (Camorrino, 2017 e 2018a). Sintomatico in tal senso il dibattito emergente sul “digital pollution” (inestricabilmente legato alla più ampia questione del Climate Change), inteso come il fallout di un’industria tra le altre – quella del digitale per l’appunto – capace di una straordinaria forza inquinante (Maxwell e Miller, 2008, 2009, 2011, 2012a, 2012b). Inerentemente a quest’ultimo aspetto, tale “svolta critica”, in termini fenomenologici, deve considerarsi il prodotto dell’indebolimento dell’immaginario digitale inteso sinora alla stregua di un “oltremondo” trasparente, immateriale, “pulito”, “green” . “Oltremondo” che, per moltissimi versi, aveva traslitterato in una sintassi 2.0 la assai potente costellazione simbolica dell’elettricità (Bachelard, 1995; Benz, 2013; Carey e Quirk, 1970; Camorrino, 2016), amplificata dall’incrocio con la mitologia dell’informazione (Davis, 2001; Pecchinenda, 2009), del dato (Aragona e Camorrino; Camorrino, 2018b; De Leonardis e Neresini, 2015) e della rete (Musso, 2007; Sféz, 1999). Discutere la genesi e il declino di questa narrazione – nel tentativo di una sintetica ricostruzione in chiave fenomenologica della transizione dalla fase “incantata” dell’immaterialità del digitale a quella “disincantata” della materialità – è l’obiettivo di questo paper.

L’indistinto confine tra materiale e immateriale. Un’analisi sociologica dell’immaginario digitale: dalla “età dell’oro” alla “perduta innocenza” / Camorrino, Antonio. - (2019). (Intervento presentato al convegno Gli indistinti confini. Transmedialità nei processi culturali e comunicativi e trandisciplinarietà nelle discipline sociologiche tenutosi a Dipartimento di Sociologia e Diritto dell’Economia SDE UNIBO nel 13-14 giugno 2019).

L’indistinto confine tra materiale e immateriale. Un’analisi sociologica dell’immaginario digitale: dalla “età dell’oro” alla “perduta innocenza”

antonio camorrino
2019

Abstract

Negli ultimi anni è possibile registrare una “una svolta critica” nell’ambito dei media studies intorno alla questione del digitale (Balbi 2018). In sostanza, è come se la “età dell’oro” del cyberspazio fosse giunta – quantomeno agli occhi della circoscritta cerchia degli specialisti – al suo termine: la Rete, regno tecnologico in cui tutto sembrava possibile, conosce un drastico ridimensionamento simbolico. La rivoluzione digitale che indicava nell’Internet per tutti una nuova Terra promessa, ha impattato con scenari ben più articolati, resistenti a una integrale rifondazione tecnologica dell’essere sociale. Al punto che da più parti – e con non poche ragioni – si è messa in discussione la stessa natura rivoluzionaria del processo di digitalizzazione (Balbi e Magaudda, 2014; Ortoleva, 2014). Non solo ricchezza, prosperità, uguaglianza e libertà – che nella retorica della Rete parevano obiettivi a portata di mano (Breton, 2002) – non costituiscono il necessario precipitato di una società connessa tecnologicamente ma, di più, si teme che queste desiderabili mete finiscano col tradursi nel loro contrario, come in un ironico contrappasso di orwelliana memoria (Cfr. Morozov, 2009, 2010, 2011). L’intervento di variabili differenti tutte conflagrate per mezzo delle inedite possibilità dischiuse dalla Rete – dal crollo finanziario del 2001, all’impero del porno e del gioco d’azzardo; dalla costante tracciabilità dei consumi con le sue tecniche invasive della privacy, a un nuovo regime di accentramento della ricchezza; dalle politiche governative e di mercato di sorveglianza e controllo, al tradimento delle promesse universalizzanti della conoscenza e dell’orizzontalità democratica (Balbi e Magaudda, 2014, pp. 62-63) –, rappresentano una sorta di beckiani “effetti latenti collaterali” che inaugurano, ad avviso di chi scrive, una “seconda modernità” (Beck, 1992) del digitale. L’incanto che sembrava circondare come uno scudo simbolico l’universo digitale (LeBel, 2012) viene infranto in conseguenza dell’erosione delle sue “strutture di plausibilità” (Berger e Luckmann, 2007): il cyberspazio, non più luogo d’espressione del “sublime digitale” (Mosco, 2004), si “demagizza” (Weber, 2004), invischiandosi – come tutti gli altri oggetti prodotti dell’attività umana – nelle spire della critica. Alla luce di quanto detto sinora, il fatto che in modo crescente si venga levando l’accusa degli esperti contro gli aspetti materiali del processo di digitalizzazione, rappresenta un indicatore robusto di questo nuovo stato di cose. La “perdita dell’innocenza” ha comportato la scoperta del “corpo” delle ICT, con tutto il corollario di implicazioni sul piano della “attribuzione delle colpe” che da questa scoperta discendono (Camorrino, 2017 e 2018a). Sintomatico in tal senso il dibattito emergente sul “digital pollution” (inestricabilmente legato alla più ampia questione del Climate Change), inteso come il fallout di un’industria tra le altre – quella del digitale per l’appunto – capace di una straordinaria forza inquinante (Maxwell e Miller, 2008, 2009, 2011, 2012a, 2012b). Inerentemente a quest’ultimo aspetto, tale “svolta critica”, in termini fenomenologici, deve considerarsi il prodotto dell’indebolimento dell’immaginario digitale inteso sinora alla stregua di un “oltremondo” trasparente, immateriale, “pulito”, “green” . “Oltremondo” che, per moltissimi versi, aveva traslitterato in una sintassi 2.0 la assai potente costellazione simbolica dell’elettricità (Bachelard, 1995; Benz, 2013; Carey e Quirk, 1970; Camorrino, 2016), amplificata dall’incrocio con la mitologia dell’informazione (Davis, 2001; Pecchinenda, 2009), del dato (Aragona e Camorrino; Camorrino, 2018b; De Leonardis e Neresini, 2015) e della rete (Musso, 2007; Sféz, 1999). Discutere la genesi e il declino di questa narrazione – nel tentativo di una sintetica ricostruzione in chiave fenomenologica della transizione dalla fase “incantata” dell’immaterialità del digitale a quella “disincantata” della materialità – è l’obiettivo di questo paper.
2019
L’indistinto confine tra materiale e immateriale. Un’analisi sociologica dell’immaginario digitale: dalla “età dell’oro” alla “perduta innocenza” / Camorrino, Antonio. - (2019). (Intervento presentato al convegno Gli indistinti confini. Transmedialità nei processi culturali e comunicativi e trandisciplinarietà nelle discipline sociologiche tenutosi a Dipartimento di Sociologia e Diritto dell’Economia SDE UNIBO nel 13-14 giugno 2019).
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