Lo spazio della residenza, coincidendo con quello dell’intimità familiare ma anche della rappresentazione sociale, è il più esposto a convenzioni formali che costringono lo spazio dell’abitare all’interno di tendenze superficiali ed estetizzanti. Pochi sono stati i momenti di sostanziale e duraturo cambiamento, quelli in cui la forma si è manifestata come il modo evidente di un processo di innovazione sociale, uno di questi è certamente il Modernismo. Con questo termine non si vuole intendere, strettamente, un periodo storico circoscritto ed irripetibile, quanto una sensibilità che si è espressa attraverso delle costanti valide, allo stesso modo, in epoche diverse. I cui principi costanti possono riassumersi nella propensione all’integrazione di più funzioni che supera la tradizionale struttura della casa in vani, una semplificazione formale che trova nell’estetica industriale e nell’uso di materiali a vista privi di rivestimenti decorativi il mezzo più adeguato, l’impiego della luce naturale combinata a quella artificiale come elemento materico capace di accentuare leggerezza strutturale e apertura dell’interno verso l’esterno. Questi obiettivi, sebbene alla base di una ricerca ancora oggi attuale, che lega la dimensione spaziale dell’architettura con quella oggettuale del design, hanno degli archetipi precisi. La Maison de Verre, realizzata da Pierre Chareau a Parigi tra il 1928 e il 1932 è certamente uno di questi. Lo è, ancora prima dei suoi esiti, per le stesse ragioni fondative. Essa infatti è stata realizzata come parziale, anche se sostanziale, opera di trasformazione di una comune abitazione condominiale. Un “hotel particulier” del XVIII secolo al centro di Parigi di cui si era, in un primo tempo, prevista la totale demolizione per sostituirlo con un’abitazione nello stile moderno. Le resistenze opposte all’abbattimento dal locatario di un appartamento situato all’ultimo piano, imposero la realizzazione di una singolare soluzione. Una struttura metallica fu costituita in sostituzione della parte inferiore demolita, in modo da poter sorreggere, conservandolo intatto, il livello superiore che continuò ad essere abitato dal litigioso condomino. Questo singolare incidente fu alla base di una straordinaria invenzione spaziale che dettò, da lì in poi, alcuni principi immutabili. Grazie all’opera di liberazione operata sostituendo alla pesante muratura l’esile struttura in acciaio, fu possibile realizzare un ambiente centrale aperto, a doppia altezza, attraverso cui sono integrate le funzioni di vita comune, soggiorno, biblioteca e pranzo. In questo grande ambiente centrale confluiscono, mediante grandi porte scorrevoli, anche lo studio medico del proprietario e gli spazi di riposo. L’aspirazione all’apertura e alla continuità degli ambienti fu poi completata sostituendo alla tradizionale facciata in muratura, segnata da un’ordinaria partitura di pieni e vuoti, una facciata continua in vetro mattone, che creando una tessitura regolare e traslucida, genera una straordinaria diffusione della luce. Nella Maison de Verre, Chareau adopera diffusamente materiali industriali, quali pavimenti in lionoleum, sistemi di apertura scorrevoli su binari, lamiere forate, travi in ferro e pannelli in legno lasciati a vista. Questo episodio rappresenta per la sua chiarezza e determinazione un costante riferimento linguistico che, attraverso figure come Jean Prouvè, con i suoi studi sull’abitazione metallica industrializzata, sfociate nella Maison Tropicale, o quelle di Richard Buckminster Fuller, con esempi come la Dymaxion House, giunge sino ai nostri giorni, attraverso una ricerca sulla residenza che concilia l’idea industriale della macchina per abitare con una dimensione poetica ed affettiva che deve sempre accompagnare il vivere quotidiano.

Residenza ed estetica industriale / Housing and Industrial Aesthetics / Morone, Alfonso. - In: AREA. - ISSN 0394-0055. - n.°144 anno XXVII 2016 gennaio/febbraio(2016), pp. VI-VII.

Residenza ed estetica industriale / Housing and Industrial Aesthetics

MORONE, ALFONSO
2016

Abstract

Lo spazio della residenza, coincidendo con quello dell’intimità familiare ma anche della rappresentazione sociale, è il più esposto a convenzioni formali che costringono lo spazio dell’abitare all’interno di tendenze superficiali ed estetizzanti. Pochi sono stati i momenti di sostanziale e duraturo cambiamento, quelli in cui la forma si è manifestata come il modo evidente di un processo di innovazione sociale, uno di questi è certamente il Modernismo. Con questo termine non si vuole intendere, strettamente, un periodo storico circoscritto ed irripetibile, quanto una sensibilità che si è espressa attraverso delle costanti valide, allo stesso modo, in epoche diverse. I cui principi costanti possono riassumersi nella propensione all’integrazione di più funzioni che supera la tradizionale struttura della casa in vani, una semplificazione formale che trova nell’estetica industriale e nell’uso di materiali a vista privi di rivestimenti decorativi il mezzo più adeguato, l’impiego della luce naturale combinata a quella artificiale come elemento materico capace di accentuare leggerezza strutturale e apertura dell’interno verso l’esterno. Questi obiettivi, sebbene alla base di una ricerca ancora oggi attuale, che lega la dimensione spaziale dell’architettura con quella oggettuale del design, hanno degli archetipi precisi. La Maison de Verre, realizzata da Pierre Chareau a Parigi tra il 1928 e il 1932 è certamente uno di questi. Lo è, ancora prima dei suoi esiti, per le stesse ragioni fondative. Essa infatti è stata realizzata come parziale, anche se sostanziale, opera di trasformazione di una comune abitazione condominiale. Un “hotel particulier” del XVIII secolo al centro di Parigi di cui si era, in un primo tempo, prevista la totale demolizione per sostituirlo con un’abitazione nello stile moderno. Le resistenze opposte all’abbattimento dal locatario di un appartamento situato all’ultimo piano, imposero la realizzazione di una singolare soluzione. Una struttura metallica fu costituita in sostituzione della parte inferiore demolita, in modo da poter sorreggere, conservandolo intatto, il livello superiore che continuò ad essere abitato dal litigioso condomino. Questo singolare incidente fu alla base di una straordinaria invenzione spaziale che dettò, da lì in poi, alcuni principi immutabili. Grazie all’opera di liberazione operata sostituendo alla pesante muratura l’esile struttura in acciaio, fu possibile realizzare un ambiente centrale aperto, a doppia altezza, attraverso cui sono integrate le funzioni di vita comune, soggiorno, biblioteca e pranzo. In questo grande ambiente centrale confluiscono, mediante grandi porte scorrevoli, anche lo studio medico del proprietario e gli spazi di riposo. L’aspirazione all’apertura e alla continuità degli ambienti fu poi completata sostituendo alla tradizionale facciata in muratura, segnata da un’ordinaria partitura di pieni e vuoti, una facciata continua in vetro mattone, che creando una tessitura regolare e traslucida, genera una straordinaria diffusione della luce. Nella Maison de Verre, Chareau adopera diffusamente materiali industriali, quali pavimenti in lionoleum, sistemi di apertura scorrevoli su binari, lamiere forate, travi in ferro e pannelli in legno lasciati a vista. Questo episodio rappresenta per la sua chiarezza e determinazione un costante riferimento linguistico che, attraverso figure come Jean Prouvè, con i suoi studi sull’abitazione metallica industrializzata, sfociate nella Maison Tropicale, o quelle di Richard Buckminster Fuller, con esempi come la Dymaxion House, giunge sino ai nostri giorni, attraverso una ricerca sulla residenza che concilia l’idea industriale della macchina per abitare con una dimensione poetica ed affettiva che deve sempre accompagnare il vivere quotidiano.
2016
Residenza ed estetica industriale / Housing and Industrial Aesthetics / Morone, Alfonso. - In: AREA. - ISSN 0394-0055. - n.°144 anno XXVII 2016 gennaio/febbraio(2016), pp. VI-VII.
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