C’è una responsabilità del Novecento, della sua letteratura e della sua filosofia. Kafka vi partecipa come chiunque altro si è posto davanti alla Legge senza passarla. A questo punto lo studio di quella responsabilità passa nella propria di chi resta, e sopravvive, a quell’eredità: occorre confessare, nel leggerla e scriverla, se passare la Legge, attraversarla, farne parte o se ritrovare nel gesto di Kafka qualcosa che rimane ancora come un’opportunità concessa all’esperienza di stare là davanti alla Legge, Vor dem Gesetze, senza lasciarsi più morire, senza più attendere, ma vivendo la pienezza del presente, del “terzo mondo”. Kafka ha chiamato così, “terzo mondo”, quello dal quale si sentiva attratto e posto fuori. Scriveva al padre: «Perciò il mondo era diviso per me in tre parti: nell’una vivevo schiavo, sottoposto a leggi inventate solo per me e alle quali io, non so per quali ragioni, non sapevo pienamente assoggettarmi; nella seconda, infinitamente lontano dalla mia, vivevi tu, partecipe del governo, occupato a dare ordini e a irritarti quando non erano obbediti; e infine c’era il terzo mondo dove la gente viveva felice da comandi e obbedienze». Si può riconoscere che il “terzo mondo” sia il mondo degli altri, il mondo di tutti, dove ognuno vive felice da comandi e obbedienze. Un mondo fatto di tanti mondi, si potrà dire. Un mondo “pensato” fuori da leggi e comandi familiari cui ci deve piegare. Non è il migliore dei mondi possibili, ma quello della compossibilità dei mondi differenti. Senza Io.
LA PORTA DI KAFKAIL RACCONTO, LA LEGGE E UN TERZO MONDO / Ferraro, Giuseppe. - STAMPA. - 1:(1984), pp. 323-343.
LA PORTA DI KAFKAIL RACCONTO, LA LEGGE E UN TERZO MONDO
FERRARO, GIUSEPPE
1984
Abstract
C’è una responsabilità del Novecento, della sua letteratura e della sua filosofia. Kafka vi partecipa come chiunque altro si è posto davanti alla Legge senza passarla. A questo punto lo studio di quella responsabilità passa nella propria di chi resta, e sopravvive, a quell’eredità: occorre confessare, nel leggerla e scriverla, se passare la Legge, attraversarla, farne parte o se ritrovare nel gesto di Kafka qualcosa che rimane ancora come un’opportunità concessa all’esperienza di stare là davanti alla Legge, Vor dem Gesetze, senza lasciarsi più morire, senza più attendere, ma vivendo la pienezza del presente, del “terzo mondo”. Kafka ha chiamato così, “terzo mondo”, quello dal quale si sentiva attratto e posto fuori. Scriveva al padre: «Perciò il mondo era diviso per me in tre parti: nell’una vivevo schiavo, sottoposto a leggi inventate solo per me e alle quali io, non so per quali ragioni, non sapevo pienamente assoggettarmi; nella seconda, infinitamente lontano dalla mia, vivevi tu, partecipe del governo, occupato a dare ordini e a irritarti quando non erano obbediti; e infine c’era il terzo mondo dove la gente viveva felice da comandi e obbedienze». Si può riconoscere che il “terzo mondo” sia il mondo degli altri, il mondo di tutti, dove ognuno vive felice da comandi e obbedienze. Un mondo fatto di tanti mondi, si potrà dire. Un mondo “pensato” fuori da leggi e comandi familiari cui ci deve piegare. Non è il migliore dei mondi possibili, ma quello della compossibilità dei mondi differenti. Senza Io.File | Dimensione | Formato | |
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