«La voce è il prodotto acustico della vibrazione delle corde vocali», e comunque del passaggio dell’aria, «che passa attraverso il filtro delle cavità sopraglottali» (Boulakia 2002: 71), ma essa è anche comunemente riconosciuta come specchio dello spirito; rappresentazione immediata della natura dell’individuo che la formula; espressione, comunque compresa e culturalmente condivisa, di attitudini, emozioni, atteggiamenti e stati d’animo. Nello studio della voce, contestualmente prodotta e/o registrata, è oggi possibile usufruire di modelli quantitativi, e pertanto verificabili, ciò non è invece possibile per lo studio della voce nell’antichità. In questo caso si può tuttavia fare ricorso a modelli di analisi qualitativi i quali «includono una lista non finita di aggettivi descrittivi, spesso metaforici, che descrivono la voce» (ivi: 71). Si tratta delle cosiddette etichette associate agli usi letterari del termine “voce” la cui analisi e classificazione permette di evidenziare i modi della rappresentazione linguistica delle esperienze percettive condivise sul piano culturale. Dall’analisi delle “etichette” è possibile inoltre comprendere i fondamenti fisio-psicologici e/o socioculturali della loro stessa attribuzione. In particolare nel mondo classico antico, nel quale, come è noto, viene attribuito un forte potere simbolico alla vocalità e alla sua capacità di esprimere significati ed emozioni; il «primato della voce», come suggerisce De Martino (1955: 13), «appartiene naturalmente all’ἄνθρωπος, homo loquens per antonomasia». Sono «voci, quelle umane, fatte di sonorità (voce chiara, oscura, alta, bassa, fiato lungo, corto, ecc.) e di “parlata” (lenta, frettolosa, monotona, variegata, ecc.) e diverse per età, ambiente geo-culturale, educazione, situazione (agio, disagio), condizioni di salute. Voci dunque in una certa misura tipiche, ma anche sempre con un quid che ne rende ognuna – magari imitabile – eppure unica, inconfondibile». In questa prospettiva, e sempre nell’ambito dell’antichità classica, non è perciò banale osservare che «voce hanno le donne, di maggiore acutezza ed erotismo e perfino efficacia, ma anche di una sempre sottintesa illegittimità […]» (ivi: 13-14; c.vo mio). La voce femminile, dunque, sembra essere identificabile in base ad alcuni correlati, i quali possono essere di natura fisica (l’acutezza, ad esempio), ma anche psichica (si tratta, molto spesso, di una voce fortemente connotata sul piano dell’espressione emotiva, della capacità di seduzione…) come, più genericamente, di natura culturale (voce magica, straniera, incolta…). La classificazione delle etichette della voce in categorie polarizzate che fanno riferimento a qualità fisiche o psichiche o culturali ecc. non è tuttavia essa stessa priva di possibili sovrapposizioni e ambiguità, giacché ogni qualità implicitamente rinvia ad un complesso di valori molteplici, il cui insieme soltanto costituisce allo stesso tempo la presentazione e la valutazione di un prodotto, quello vocale, la cui percezione non può che essere di tipo olistico, con riferimento a «una struttura unica della cosa [nel nostro caso, la voce], un’unica maniera di esistere che parla contemporaneamente a tutti i nostri sensi» (Merleau-Ponty 1996 [1948]: 71). La riflessione sulle etichette della voce femminile non mette pertanto in discussione la capacità, da parte di tutte queste qualità e di ciascuna, di creare, nella rappresentazione linguistica dell’espressione sonora, «una misteriosa alchimia di corrispondenze» (ivi: 78); la loro classificazione risponde piuttosto al bisogno di individuare e commentare l’apporto dei singoli dati qualificativi del percetto (acustico) riflessi attraverso la mediazione linguistica (cfr. Albano Leoni 2002; Dovetto 2008, 2009).

Voce delle donne ed etichette della voce / Dovetto, FRANCESCA MARIA. - (2009). (Intervento presentato al convegno La lingua, le lingue, le donne (Giornata di Studio del CIRSIL) tenutosi a Università degli Studi di Bologna nel 16.1.2009).

Voce delle donne ed etichette della voce

DOVETTO, FRANCESCA MARIA
2009

Abstract

«La voce è il prodotto acustico della vibrazione delle corde vocali», e comunque del passaggio dell’aria, «che passa attraverso il filtro delle cavità sopraglottali» (Boulakia 2002: 71), ma essa è anche comunemente riconosciuta come specchio dello spirito; rappresentazione immediata della natura dell’individuo che la formula; espressione, comunque compresa e culturalmente condivisa, di attitudini, emozioni, atteggiamenti e stati d’animo. Nello studio della voce, contestualmente prodotta e/o registrata, è oggi possibile usufruire di modelli quantitativi, e pertanto verificabili, ciò non è invece possibile per lo studio della voce nell’antichità. In questo caso si può tuttavia fare ricorso a modelli di analisi qualitativi i quali «includono una lista non finita di aggettivi descrittivi, spesso metaforici, che descrivono la voce» (ivi: 71). Si tratta delle cosiddette etichette associate agli usi letterari del termine “voce” la cui analisi e classificazione permette di evidenziare i modi della rappresentazione linguistica delle esperienze percettive condivise sul piano culturale. Dall’analisi delle “etichette” è possibile inoltre comprendere i fondamenti fisio-psicologici e/o socioculturali della loro stessa attribuzione. In particolare nel mondo classico antico, nel quale, come è noto, viene attribuito un forte potere simbolico alla vocalità e alla sua capacità di esprimere significati ed emozioni; il «primato della voce», come suggerisce De Martino (1955: 13), «appartiene naturalmente all’ἄνθρωπος, homo loquens per antonomasia». Sono «voci, quelle umane, fatte di sonorità (voce chiara, oscura, alta, bassa, fiato lungo, corto, ecc.) e di “parlata” (lenta, frettolosa, monotona, variegata, ecc.) e diverse per età, ambiente geo-culturale, educazione, situazione (agio, disagio), condizioni di salute. Voci dunque in una certa misura tipiche, ma anche sempre con un quid che ne rende ognuna – magari imitabile – eppure unica, inconfondibile». In questa prospettiva, e sempre nell’ambito dell’antichità classica, non è perciò banale osservare che «voce hanno le donne, di maggiore acutezza ed erotismo e perfino efficacia, ma anche di una sempre sottintesa illegittimità […]» (ivi: 13-14; c.vo mio). La voce femminile, dunque, sembra essere identificabile in base ad alcuni correlati, i quali possono essere di natura fisica (l’acutezza, ad esempio), ma anche psichica (si tratta, molto spesso, di una voce fortemente connotata sul piano dell’espressione emotiva, della capacità di seduzione…) come, più genericamente, di natura culturale (voce magica, straniera, incolta…). La classificazione delle etichette della voce in categorie polarizzate che fanno riferimento a qualità fisiche o psichiche o culturali ecc. non è tuttavia essa stessa priva di possibili sovrapposizioni e ambiguità, giacché ogni qualità implicitamente rinvia ad un complesso di valori molteplici, il cui insieme soltanto costituisce allo stesso tempo la presentazione e la valutazione di un prodotto, quello vocale, la cui percezione non può che essere di tipo olistico, con riferimento a «una struttura unica della cosa [nel nostro caso, la voce], un’unica maniera di esistere che parla contemporaneamente a tutti i nostri sensi» (Merleau-Ponty 1996 [1948]: 71). La riflessione sulle etichette della voce femminile non mette pertanto in discussione la capacità, da parte di tutte queste qualità e di ciascuna, di creare, nella rappresentazione linguistica dell’espressione sonora, «una misteriosa alchimia di corrispondenze» (ivi: 78); la loro classificazione risponde piuttosto al bisogno di individuare e commentare l’apporto dei singoli dati qualificativi del percetto (acustico) riflessi attraverso la mediazione linguistica (cfr. Albano Leoni 2002; Dovetto 2008, 2009).
2009
Voce delle donne ed etichette della voce / Dovetto, FRANCESCA MARIA. - (2009). (Intervento presentato al convegno La lingua, le lingue, le donne (Giornata di Studio del CIRSIL) tenutosi a Università degli Studi di Bologna nel 16.1.2009).
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