La Campania è una regione tristemente nota per densità abitativa e abusivismo edilizio, una miscela esplosiva che nel corso di decenni ha letteralmente sventrato le città costruendo periferie dormitorio, quartieri-ghetto, senza tenere minimamente in conto la necessità di affiancare all'urbanizzazione selvaggia la dotazione di servizi essenziali, di luoghi pubblici, di spazi di condivisione e di socializzazione che non siano le catene della grande distribuzione. A questo scenario tristemente noto, va oggi ad aggiungersi il nuovo Piano di Densificazione Urbana della Regione Campania, un progetto di dominio complessivo, che, facendo leva populisticamente sul ricatto abitativo, in maniera strisciante, e senza alcuna informazione, determina in Campania la Densificazione Urbana con un Programma di costruzione di 364.000 alloggi, che corrispondono a circa 1.000.000 di nuovi abitanti, 42.000.000 mq. di nuova superficie di calpestio e un volume complessivo di 122.500.000 mc di nuova costruzione, che ingrandirebbero all’infinito le cinque Città della Campania. Tale progetto si inserisce dentro un duplice processo che vede, da un lato, la necessità di rilanciare l'accumulazione economica in tempi di crisi facendo leva sulla rendita immobiliare e, dall'altro, progettare un nuovo assetto del territorio in chiave “supemetropolitana”. Per quanto riguarda il primo aspetto, vi è da dire che l'economia del mattone si presenta sempre più intrecciata con i nessi della finanziarizzazione globale, determinando una sinergia, da indagare in modo più approfondito, tra rendita immobiliare e rendita finanziaria. Il Piano di Densificazione Urbana(di cui il Piano Casa non è che un aspetto, insignificante quanto a numeri) si presenta, infatti, oltre che come strumento di rilancio dell'economia, anche come strategia di risoluzione (populistica e inconsistente) dell'emergenza abitativa, che intende fare leva proprio su strumenti finanziari di accesso al credito (ad esempio per accedere ai mutui necessari ad acquistare un appartamento, realizzato con investimenti finanziari a loro volta quotati in borsa). Dal punto di vista della trasformazione degli assetti urbani e produttivi in chiave metropolitana, invece, derivano tutta una serie di conseguenze, anche queste da approfondire, sul piano della governance e delle nuove forme di controllo sociale, che passano attraverso la privatizzazione delle città, la costruzione di enclave urbane (oltre il modello classico centro-periferia), determinando l'impossibilità di pensare, nelle città, a luoghi fisici di condivisione sottratti ai modelli di consumo e di socialità dominanti. Il dispositivo metropolitano, che sembra delinearsi con il piano di densificazione, si fonda sulla necessità di impedire ogni forma di socialità che non sia orientata al flusso produzione/consumo. Da questo punto di vista, si può senza dubbio affermare che oggi è necessario leggere le trasformazioni urbane che stanno attraversando la regione Campania come dispositivi di produzione di soggettività. In gioco, in tale contesto, vi è una certa forma del controllo sociale che punta a definire i soggetti come consumatori, che acquistano un'identità in relazione alle merci e agli status di vita offerti dalle vetrine tirate a lustro dei corsi cittadini, rinominati, per l'occasione, “centri commerciali naturali”. Come a dire che la privatizzazione degli spazi fisici (non solo la negazione di luoghi simbolici propri delle città, come gli spazi aperti, i luoghi comuni, gli spazi pubblici, ma anche la stessa definizione dell'abitare intesa, in senso riduttivo, come alloggio monofamiliare), procede parallela all'espropriazione del “comune” e della cooperazione umana. Ridisegnando le città a partire unicamente dagli insediamenti edilizi, infatti, senza tener conto minimamente dell'impatto sociale, dell'assenza di servizi, di luoghi pubblici, ciò che va delineandosi all'orizzonte è una vasta opera di normalizzazione: si esce di mattina per andare a lavorare, il pomeriggio si trascorre nella “piazza” di un centro commerciale, e di sera si ritorna nel proprio “loculo”, mentre il traffico assorbe la gran parte del tempo e i i luoghi di socializzazione svaniscono come per magia. Questi gli interrogativi che si intendono porre e discutere per capire insieme verso cosa muoversi per definire scenari futuri e strategici per il territorio della Regione Campania e delle sue Provincie, indagando un piano che rappresenta la più grande, criptica e impattante opera pubblica del dopoguerra. Questi temi ci interrogano sul senso della crisi economica in corso, sulle risposte che il capitalismo tenta di dare a partire da una nuova vocazione produttiva dei territori (in questo caso, l'economia redditiera del mattone), su cosa significhi oggi, “metropolizzazione” e, soprattutto, su come interagire con queste trasformazioni, a partire dai luoghi in cui abitiamo, attraverso strategie di resistenza che collochino il diritto all'abitare in una prospettiva che fuoriesca dalle maglie troppo strette del diritto alla casa, per investire il problema della fondazione di città, della gestione dei beni comuni (materiali e immateriali), dell’autogoverno. Di fronte alla trasformazione degli assetti urbani in vista del consumo e della produzione totale, occorre costruire percorsi di riappropriazione delle città da parte degli abitanti, ed è per questo che intendiamo proporre un convegno pubblico dove il piano di densificazione urbano possa essere analizzato e sottoposto alla discussione pubblica e alla formulazione di strategie comuni di azione e di resistenza.

Dalla Metropoli Imperialista alla Megalopoli Schiavista / Buondonno, Emma; F., Ricci. - (2010). (Intervento presentato al convegno Città o metropoli? dalla densificazione all'autogoverno cittadino tenutosi a Aula consiliare Caserta, P.zza Vanvitelli, Caserta (CE) nel 28 e 29 maggio 2010).

Dalla Metropoli Imperialista alla Megalopoli Schiavista

BUONDONNO, EMMA;
2010

Abstract

La Campania è una regione tristemente nota per densità abitativa e abusivismo edilizio, una miscela esplosiva che nel corso di decenni ha letteralmente sventrato le città costruendo periferie dormitorio, quartieri-ghetto, senza tenere minimamente in conto la necessità di affiancare all'urbanizzazione selvaggia la dotazione di servizi essenziali, di luoghi pubblici, di spazi di condivisione e di socializzazione che non siano le catene della grande distribuzione. A questo scenario tristemente noto, va oggi ad aggiungersi il nuovo Piano di Densificazione Urbana della Regione Campania, un progetto di dominio complessivo, che, facendo leva populisticamente sul ricatto abitativo, in maniera strisciante, e senza alcuna informazione, determina in Campania la Densificazione Urbana con un Programma di costruzione di 364.000 alloggi, che corrispondono a circa 1.000.000 di nuovi abitanti, 42.000.000 mq. di nuova superficie di calpestio e un volume complessivo di 122.500.000 mc di nuova costruzione, che ingrandirebbero all’infinito le cinque Città della Campania. Tale progetto si inserisce dentro un duplice processo che vede, da un lato, la necessità di rilanciare l'accumulazione economica in tempi di crisi facendo leva sulla rendita immobiliare e, dall'altro, progettare un nuovo assetto del territorio in chiave “supemetropolitana”. Per quanto riguarda il primo aspetto, vi è da dire che l'economia del mattone si presenta sempre più intrecciata con i nessi della finanziarizzazione globale, determinando una sinergia, da indagare in modo più approfondito, tra rendita immobiliare e rendita finanziaria. Il Piano di Densificazione Urbana(di cui il Piano Casa non è che un aspetto, insignificante quanto a numeri) si presenta, infatti, oltre che come strumento di rilancio dell'economia, anche come strategia di risoluzione (populistica e inconsistente) dell'emergenza abitativa, che intende fare leva proprio su strumenti finanziari di accesso al credito (ad esempio per accedere ai mutui necessari ad acquistare un appartamento, realizzato con investimenti finanziari a loro volta quotati in borsa). Dal punto di vista della trasformazione degli assetti urbani e produttivi in chiave metropolitana, invece, derivano tutta una serie di conseguenze, anche queste da approfondire, sul piano della governance e delle nuove forme di controllo sociale, che passano attraverso la privatizzazione delle città, la costruzione di enclave urbane (oltre il modello classico centro-periferia), determinando l'impossibilità di pensare, nelle città, a luoghi fisici di condivisione sottratti ai modelli di consumo e di socialità dominanti. Il dispositivo metropolitano, che sembra delinearsi con il piano di densificazione, si fonda sulla necessità di impedire ogni forma di socialità che non sia orientata al flusso produzione/consumo. Da questo punto di vista, si può senza dubbio affermare che oggi è necessario leggere le trasformazioni urbane che stanno attraversando la regione Campania come dispositivi di produzione di soggettività. In gioco, in tale contesto, vi è una certa forma del controllo sociale che punta a definire i soggetti come consumatori, che acquistano un'identità in relazione alle merci e agli status di vita offerti dalle vetrine tirate a lustro dei corsi cittadini, rinominati, per l'occasione, “centri commerciali naturali”. Come a dire che la privatizzazione degli spazi fisici (non solo la negazione di luoghi simbolici propri delle città, come gli spazi aperti, i luoghi comuni, gli spazi pubblici, ma anche la stessa definizione dell'abitare intesa, in senso riduttivo, come alloggio monofamiliare), procede parallela all'espropriazione del “comune” e della cooperazione umana. Ridisegnando le città a partire unicamente dagli insediamenti edilizi, infatti, senza tener conto minimamente dell'impatto sociale, dell'assenza di servizi, di luoghi pubblici, ciò che va delineandosi all'orizzonte è una vasta opera di normalizzazione: si esce di mattina per andare a lavorare, il pomeriggio si trascorre nella “piazza” di un centro commerciale, e di sera si ritorna nel proprio “loculo”, mentre il traffico assorbe la gran parte del tempo e i i luoghi di socializzazione svaniscono come per magia. Questi gli interrogativi che si intendono porre e discutere per capire insieme verso cosa muoversi per definire scenari futuri e strategici per il territorio della Regione Campania e delle sue Provincie, indagando un piano che rappresenta la più grande, criptica e impattante opera pubblica del dopoguerra. Questi temi ci interrogano sul senso della crisi economica in corso, sulle risposte che il capitalismo tenta di dare a partire da una nuova vocazione produttiva dei territori (in questo caso, l'economia redditiera del mattone), su cosa significhi oggi, “metropolizzazione” e, soprattutto, su come interagire con queste trasformazioni, a partire dai luoghi in cui abitiamo, attraverso strategie di resistenza che collochino il diritto all'abitare in una prospettiva che fuoriesca dalle maglie troppo strette del diritto alla casa, per investire il problema della fondazione di città, della gestione dei beni comuni (materiali e immateriali), dell’autogoverno. Di fronte alla trasformazione degli assetti urbani in vista del consumo e della produzione totale, occorre costruire percorsi di riappropriazione delle città da parte degli abitanti, ed è per questo che intendiamo proporre un convegno pubblico dove il piano di densificazione urbano possa essere analizzato e sottoposto alla discussione pubblica e alla formulazione di strategie comuni di azione e di resistenza.
2010
Dalla Metropoli Imperialista alla Megalopoli Schiavista / Buondonno, Emma; F., Ricci. - (2010). (Intervento presentato al convegno Città o metropoli? dalla densificazione all'autogoverno cittadino tenutosi a Aula consiliare Caserta, P.zza Vanvitelli, Caserta (CE) nel 28 e 29 maggio 2010).
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