E’ possibile riconoscere nelle architetture prodotte in Italia alcuni caratteri tipici e “permanenti” che esprimano un’individualità espressiva, una “bellezza italiana” diremmo, che attraversa trasversalmente secoli di storia? A questa domanda Ernesto Rogers ha cercato di offrire una risposta ponendo in luce gli aspetti di continuità che a suo parere hanno da sempre legato l’architettura italiana alla sua tradizione; in tal senso, nel nostro paese si sarebbe consolidato nel tempo un complesso sistema di relazioni fra la geografia, i luoghi naturali ed antropizzati, le condizioni del clima, gli uomini e le loro tradizioni culturali che si sarebbero lentamente sedimentate nelle architetture, producendo forme, rapporti spaziali, modalità di configurare gli spazi e di vivere il rapporto con la natura che appaiono unici nel panorama occidentale. Ciò a dato vita ad un repertorio di elementi estetici su cui si è costruita la fortuna dell’architettura italiana: logge, porticati, patii, scale aperte, facciate equilibrate fra pieni e vuoti, luci ed ombre. Questi elementi, secondo Rogers, sono ancora presenti negli edifici moderni che esprimono attraverso di essi più un legame di continuità con la tradizione che un’affinità con gli esempi del razionalismo europeo, pur in un panorama molto variegato di posizioni individuali fortemente influenzate dai contesti geografici di appartenenza. I poli opposti di questa più recente produzione sono rappresentati dai due principali centri dell’architettura italiana, Milano e Roma. La prima, anche in virtù della sua posizione geografica e dei tradizionali legami culturali con i paesi centroeuropei, ha con più convinzione sposato i principi del funzionalismo e del razionalismo, rinnovando le espressioni linguistiche e dedicando una maggiore attenzione alle problematiche della produzione industriale, la seconda, sede della retorica edilizia ufficiale, è apparsa piuttosto incline al compiacimento formale, rielaborando in forme contemporanee i partiti decorativi della tradizione accademica. Un percorso intermedio è stato seguito, invece, in provincia, laddove la produzione architettonica si è ispirata ad un più sobrio pragmatismo, ad una più puntuale aderenza alla tradizione disciplinare, rinsaldando i legami con la tradizione artistica e artigianale locale. Così è accaduto, a Napoli negli anni del Regime e, a seguire, durante la frenetica ricostruzione postbellica nel corso della quale si è andata affermando all’interno di un gruppo di architetti, artisti e tecnici l’idea che un rinnovato ruolo dell’intellettuale nella trasformazione della società e della città meridionale potesse coincidere con un salutare rinnovamento delle pratiche del progetto e della produzione artistica. Questa idea è stata condivisa da personaggi del calibro di Luigi Cosenza, Paolo Ricci, Gabriele Mucchi, Amedeo Maiuri, Adriano Galli, Pietro Porcinai, fra loro uniti da stretti legami di amicizia e consuetudini di collaborazione professionale. Insieme essi hanno prodotto nell’arco di un ventennio contributi importanti sul tema del rapporto fra la progettazione architettonica, le preesistenze storiche, le condizioni climatiche e paesaggistiche, sul linguaggio contemporaneo e le tradizioni artistiche ed artigianali regionali, oltre ad una serie di opere d’arte, di trasformazione del territorio e di architetture - dalla nuova fabbrica Olivetti di Pozzuoli agli scavi archeologici nel comprensorio vesuviano e flegreo, dagli edifici della facoltà di Ingegneria di Fuorigrotta alle opere d’arte negli edifici pubblici della regione – che dei principi e delle enunciazioni teoriche sono stati la concreta sperimentazione. Al di là del valore di questa produzione, il contributo più originale dell’esperienza – e la sua attualità in un momento in cui si pone con insistenza la questione della definizione di una rinnovata qualità dell’architettura sulla base di canoni estetici plurali - è nel lavoro collettivo e nel progetto culturale ed artistico condiviso che essa sottende: si è trattato di un eroico – e per molti aspetti riuscito - tentativo di contrapporre alla frammentazione dei saperi e delle competenze professionali un nuovo modo di concepire il ruolo del tecnico, dell’architetto e dell’artista fortemente permeato di ideali umanistici che alimentavano ben definiti temi di sperimentazione: integrazione dell’architettura con le altre espressioni artistiche (e in primo luogo la pittura e la scultura), continuità e attualizzazione dell’eredità del passato, stretta relazione fra le diverse scale del progetto (l’edificio, l’arredo, il contesto naturale ed urbano), rinnovata concezione etica della produzione intellettuale in relazione alle aspettative di miglioramento sociale, economico e politico della collettività.

Arte e architettura nella Napoli moderna / Viola, Francesco. - ELETTRONICO. - (2010), pp. 82-90.

Arte e architettura nella Napoli moderna

VIOLA, FRANCESCO
2010

Abstract

E’ possibile riconoscere nelle architetture prodotte in Italia alcuni caratteri tipici e “permanenti” che esprimano un’individualità espressiva, una “bellezza italiana” diremmo, che attraversa trasversalmente secoli di storia? A questa domanda Ernesto Rogers ha cercato di offrire una risposta ponendo in luce gli aspetti di continuità che a suo parere hanno da sempre legato l’architettura italiana alla sua tradizione; in tal senso, nel nostro paese si sarebbe consolidato nel tempo un complesso sistema di relazioni fra la geografia, i luoghi naturali ed antropizzati, le condizioni del clima, gli uomini e le loro tradizioni culturali che si sarebbero lentamente sedimentate nelle architetture, producendo forme, rapporti spaziali, modalità di configurare gli spazi e di vivere il rapporto con la natura che appaiono unici nel panorama occidentale. Ciò a dato vita ad un repertorio di elementi estetici su cui si è costruita la fortuna dell’architettura italiana: logge, porticati, patii, scale aperte, facciate equilibrate fra pieni e vuoti, luci ed ombre. Questi elementi, secondo Rogers, sono ancora presenti negli edifici moderni che esprimono attraverso di essi più un legame di continuità con la tradizione che un’affinità con gli esempi del razionalismo europeo, pur in un panorama molto variegato di posizioni individuali fortemente influenzate dai contesti geografici di appartenenza. I poli opposti di questa più recente produzione sono rappresentati dai due principali centri dell’architettura italiana, Milano e Roma. La prima, anche in virtù della sua posizione geografica e dei tradizionali legami culturali con i paesi centroeuropei, ha con più convinzione sposato i principi del funzionalismo e del razionalismo, rinnovando le espressioni linguistiche e dedicando una maggiore attenzione alle problematiche della produzione industriale, la seconda, sede della retorica edilizia ufficiale, è apparsa piuttosto incline al compiacimento formale, rielaborando in forme contemporanee i partiti decorativi della tradizione accademica. Un percorso intermedio è stato seguito, invece, in provincia, laddove la produzione architettonica si è ispirata ad un più sobrio pragmatismo, ad una più puntuale aderenza alla tradizione disciplinare, rinsaldando i legami con la tradizione artistica e artigianale locale. Così è accaduto, a Napoli negli anni del Regime e, a seguire, durante la frenetica ricostruzione postbellica nel corso della quale si è andata affermando all’interno di un gruppo di architetti, artisti e tecnici l’idea che un rinnovato ruolo dell’intellettuale nella trasformazione della società e della città meridionale potesse coincidere con un salutare rinnovamento delle pratiche del progetto e della produzione artistica. Questa idea è stata condivisa da personaggi del calibro di Luigi Cosenza, Paolo Ricci, Gabriele Mucchi, Amedeo Maiuri, Adriano Galli, Pietro Porcinai, fra loro uniti da stretti legami di amicizia e consuetudini di collaborazione professionale. Insieme essi hanno prodotto nell’arco di un ventennio contributi importanti sul tema del rapporto fra la progettazione architettonica, le preesistenze storiche, le condizioni climatiche e paesaggistiche, sul linguaggio contemporaneo e le tradizioni artistiche ed artigianali regionali, oltre ad una serie di opere d’arte, di trasformazione del territorio e di architetture - dalla nuova fabbrica Olivetti di Pozzuoli agli scavi archeologici nel comprensorio vesuviano e flegreo, dagli edifici della facoltà di Ingegneria di Fuorigrotta alle opere d’arte negli edifici pubblici della regione – che dei principi e delle enunciazioni teoriche sono stati la concreta sperimentazione. Al di là del valore di questa produzione, il contributo più originale dell’esperienza – e la sua attualità in un momento in cui si pone con insistenza la questione della definizione di una rinnovata qualità dell’architettura sulla base di canoni estetici plurali - è nel lavoro collettivo e nel progetto culturale ed artistico condiviso che essa sottende: si è trattato di un eroico – e per molti aspetti riuscito - tentativo di contrapporre alla frammentazione dei saperi e delle competenze professionali un nuovo modo di concepire il ruolo del tecnico, dell’architetto e dell’artista fortemente permeato di ideali umanistici che alimentavano ben definiti temi di sperimentazione: integrazione dell’architettura con le altre espressioni artistiche (e in primo luogo la pittura e la scultura), continuità e attualizzazione dell’eredità del passato, stretta relazione fra le diverse scale del progetto (l’edificio, l’arredo, il contesto naturale ed urbano), rinnovata concezione etica della produzione intellettuale in relazione alle aspettative di miglioramento sociale, economico e politico della collettività.
2010
9788884971623
Arte e architettura nella Napoli moderna / Viola, Francesco. - ELETTRONICO. - (2010), pp. 82-90.
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